lunedì 24 dicembre 2012
sabato 22 dicembre 2012
giovedì 20 dicembre 2012
IPOD Playlist
.....
Dammi solo un minuto
un soffio di fiato
un attimo ancora
stare insieme è finito
abbiamo capito
ma dirselo è dura
svegliati svegliami dai......
Dammi solo un minuto - Pooh
Dammi solo un minuto
un soffio di fiato
un attimo ancora
stare insieme è finito
abbiamo capito
ma dirselo è dura
svegliati svegliami dai......
Dammi solo un minuto - Pooh
lunedì 17 dicembre 2012
Note di Matematica
Mio figlio lo chiama “cambio”, io lo chiamavo “riporto”. Si tratta di quella tecnica che permette agli
alunni la gestione delle somme che superano il nove in decine.
Cercando in Internet le due parole sono tutt'oggi riconosciute e non c’è stata
l’obsolescenza di una a favore dell’altra.
Così
ieri sera, mentre mio figlio era alle
prese con 12 addizioni di questo tipo, ho osservato sia il metodo che la
rappresentazione di ciò che stava facendo.
Ho
apprezzato la simbologia, l’uso dei colori e la tecnica. Alle decine era
associato il rosso mentre le unità stavano accoppiate con il blu. L’associazione
era chiara e mai disattesa.
L’associazione
del colore con un concetto facilita l’apprendimento.
Come
i colori erano rigidi anche i due schemi, il primo fatto di palline infilate su
due assi diversi, uno per le unita e l’altro per le decine e il secondo fatto
con i numeri. Questi davano due diverse visioni dell’operazione. Il metodo simbolico
era funzionale al risultato numerico.
L’associazione di schemi e simboli a concetti
aiuta a memorizzare più velocemente.
All'inizio questo metodo era per il bimbo molto laborioso e dispendioso. Troppi
i cambi tra penne e colori e viceversa !
Con
il passare del tempo e completando le
operazioni, le proteste si sono fatte sempre più flebili, mentre gli automatismi
aumentavano. Le righe e i quadrati
venivano bene anche a mano libera.
L’esercizio come l’allenamento affina la tecnica
e aumenta l’efficienza. Funziona con le addizioni in seconda elementare come
per chi si allena per la maratona.
Infine
ho valutato l’atteggiamento di quel bambino che avevo svegliato molto presto al
mattino e di cui, in parte, comprendevo i mugugni. “Hai ragione!”, pensavo mentre cercavo
affiancarlo nel districarsi tra i “cambi”.
Ma
giunti all'ultima operazione, quando i meccanismi erano ormai assimilati, mio
figlio mi disse :
“Papà,
non dirmi niente, l’ultima voglio farla tutta da solo!”.
Contento
per quello scatto finale, quando pensavo che le sue energie fossero finite,
restai in silenzio a guardarlo mentre svolgeva correttamente l’operazione. Concluse gli esercizi con una cornice più bella
di quelle fatte fino a quel momento.
Insomma
il bimbo ha carattere e voglia di imparare!
domenica 16 dicembre 2012
Tweet
Al cuore fa bene fare le scale
al cuore se non fa le scale fa bene far l'amore
Il cuore qualcosa deve fare
Altrimenti muore
Tweet di Concita De Gregorio @concitadeg
al cuore se non fa le scale fa bene far l'amore
Il cuore qualcosa deve fare
Altrimenti muore
Tweet di Concita De Gregorio @concitadeg
sabato 15 dicembre 2012
venerdì 14 dicembre 2012
Note di Natale
Ci si abitua ai sentieri ripidi, stretti e connessi. L’abitudine
e la crescente destrezza ci aiuta a non temere difficoltà che un tempo ci avrebbero
fatto desistere. Si diventa sempre più
resistenti sia nello spirito che nel fisico. Si impara ad andare avanti pronti a nuove
difficoltà.
Non è raro chiedersi : “Chi me la fatto fare ?”. Ma se si
inciampa in un problema è meglio imparare a come affrontarlo per evitare di
inciampare la prossima volta.
Come dicono certi guru : “ Far diventare un problema una opportunità”.
Come dicono certi guru : “ Far diventare un problema una opportunità”.
I problemi sono diventati opportunità e quello che un tempo sembrava improponibile è oggi la normalità
e occasione di serenità. Spirito di adattamento, consapevolezza o
rassegnazione?
Chi lo può dire ! E’ la realtà che mi circonda e con cui devo confrontarmi in ogni momento.
Ci sono momenti in cui il cuore sembra ribellarsi. Ritorna
la sensazione di spiccare il volo, vissuta qualche anno fa. Sale l’ansia che
alimenta il timore che alimenta l’ansia. Il vortice sembra inarrestabile e
assaporo ogni momento come se fosse l’ultimo. Non chiudo gli occhi ma resto
immobile per non dare nessun alibi a quel cuore che sembra dimenticarsi di me. Non mi muovo e ascolto, in attesa che quell'incendio che mi
sta bruciando dentro perda vigore. Sono
attimi lunghi, che sembra difficile vivere uno di seguito all'altro Poi la fiamma comincia ad affievolirsi, l’aria
sembra fluire con più facilità nei polmoni e la paura scema assieme al quel
senso di leggerezza tanto inebriante quanto terribile. Il tempo torna a scorrere come ricordavo e il
cuore torna a nascondersi tanto da diventare impercettibile.
Ho vissuto molti di questi momenti. “E’ solo stress!”, mi sono
detto, ma queste situazioni sono diventate palestra per l’autocontrollo e campanello
di allarme. Momenti difficili che
insegnano qualcosa.
Tra dieci giorni è Natale. Da qualche anno ogni Natale è
diverso. Rimane comunque un giorno particolare, oserei dire, un momento
difficile. La memoria e i ricordi si incrociano con il presente. Ci sto scomodo
come se indossassi un vestito diventato stretto e di qualche taglia di troppo.
Mi sento come quando, durante una passeggiata in montagna,
ci si trova di fronte a un torrente ingrossato da un recente temporale. La
strada sembra sbarrata e proseguire sembra impossibile. Poi, passati i primi
istanti di sgomento, si intravedono degli appoggi possibili. Alcuni grossi massi
sembrano li apposta per aiutarci. Pochi,
difficili, da affrontare con attenzione, per non scivolare ed essere travolto.
Con balzi precisi, fatti con il cuore in gola, si raggiunge l’altra
sponda pronti a proseguire il sentiero, meditando una strada diversa per il
ritorno.
Ecco il Natale è per me un attraversamento, da fare un po’ con il cuore in gola, prestando
attenzione a non scivolare nei pochi appoggi disponibili, per non farmi portare via
dalla corrente dei ricordi.
giovedì 6 dicembre 2012
Questioni di cuore
"..... La causa dello scompenso cardiaco sta nell'incapacità delle cellule del
cuore, una volta diventate adulte, di moltiplicarsi e rimpiazzare quelle
uccise, ad esempio da un infarto. Le sopravvissute sono costrette a
ingrossarsi per compensare la forza mancante nel muscolo cardiaco. Vanno
così incontro a squilibri metabolici che lentamente le uccidono,
indebolendo ancor di più il cuore e innescando un circolo vizioso che lo
porta allo sfiancamento. "
Tratto da un articolo apparso su Repubblica il 5 dicembre 2012
Tratto da un articolo apparso su Repubblica il 5 dicembre 2012
mercoledì 5 dicembre 2012
Pensiero
Entravo a casa di mio padre contro voglia, spesso ancora con il pigiama addosso.
Quando mi veniva a prendere nei fine settimana che dovevo passare con lui, facevo spesso storie. Avrei preferito stare a casa mia, con i miei giocattoli, con i miei cani e con quelle strane costruzioni che amavo fare con sedie, cuscini e coperte. Quest’ultime erano la mia passione. Di solito erano fatte con due sedie su cui stendevo una coperta. Sembravano delle capanne, dentro alle quali trovavano riparo i miei pupazzi di peluche.
Mio padre non aveva tutto ciò. Solo con il tempo, con l’arrivo di una coperta e un telo copri divano, cominciai pure da lui a costruire quelle improbabili casupole.
Anche i giocattoli mancavano. A dir la verità, i giocattoli che lui mi comprava, facendomi promettere che li avrei lasciati da lui, me li sono quasi sempre portati a casa, quando tornavo la sera. Casa sua non era casa mia. Non ci stavo volentieri a mangiare e tanto meno a dormire. Mi raccontava che quelle poche volte che avevo dormito là, lo avevo fatto controvoglia, cedendo al sonno a tarda ora, mentre aspettavo mia madre. Con il tempo ho cominciato a sentirmi a mio agio, in quell'appartamento al piano terra, soprattutto da quando iniziai le scuole elementari e passavo là due pomeriggi alla settimana. Ero affidato a una ragazza che mi veniva a prendere a scuola aiutandomi a fare i compiti.
Quando mi veniva a prendere nei fine settimana che dovevo passare con lui, facevo spesso storie. Avrei preferito stare a casa mia, con i miei giocattoli, con i miei cani e con quelle strane costruzioni che amavo fare con sedie, cuscini e coperte. Quest’ultime erano la mia passione. Di solito erano fatte con due sedie su cui stendevo una coperta. Sembravano delle capanne, dentro alle quali trovavano riparo i miei pupazzi di peluche.
Mio padre non aveva tutto ciò. Solo con il tempo, con l’arrivo di una coperta e un telo copri divano, cominciai pure da lui a costruire quelle improbabili casupole.
Anche i giocattoli mancavano. A dir la verità, i giocattoli che lui mi comprava, facendomi promettere che li avrei lasciati da lui, me li sono quasi sempre portati a casa, quando tornavo la sera. Casa sua non era casa mia. Non ci stavo volentieri a mangiare e tanto meno a dormire. Mi raccontava che quelle poche volte che avevo dormito là, lo avevo fatto controvoglia, cedendo al sonno a tarda ora, mentre aspettavo mia madre. Con il tempo ho cominciato a sentirmi a mio agio, in quell'appartamento al piano terra, soprattutto da quando iniziai le scuole elementari e passavo là due pomeriggi alla settimana. Ero affidato a una ragazza che mi veniva a prendere a scuola aiutandomi a fare i compiti.
Anche
con lei, passati i primi tempi di affiatamento cominciai a fare qualche
capriccio.
Stava con me fino alle sette, quando o tornava mio padre e passava mia madre a prendermi.
Volevo fare di testa mia e, sin da piccolo, ero caparbio e poco propenso ad ascoltare gli altri. Ero indispettito per come gli adulti potevano decidere su quello che dovevo fare, senza la minima considerazione per le mie idee e dei miei desideri.
La regola dei genitori alterni, durante i fine settimana, fu difficile da digerire per i motivi appena detti. Non ricordo mio padre quando viveva ancora a casa, tanto che per farmene una ragione, gli ho chiesto spesso di raccontarmi com'era la vita in quegli anni.
I miei, mio padre e mia madre, dopo la separazione, cercarono con fatica di tornare a fare i genitori, ma forse in questo modo hanno impedito a me di essere un figlio vero.
Con mio padre passavo i fine settimana in modo tranquillo. I primi tempi facevamo gite nei dintorni. Qualche volta si stava via anche per due giorni. Si partiva al sabato per tornare la domenica pomeriggio. All'inizio di ogni viaggio protestavo, quasi impaurito nel lasciare luoghi noti, ma al ritorno, ero contento e, pian piano, viaggiare è diventato un piacere che ancor oggi non ho abbandonato.
Stava con me fino alle sette, quando o tornava mio padre e passava mia madre a prendermi.
Volevo fare di testa mia e, sin da piccolo, ero caparbio e poco propenso ad ascoltare gli altri. Ero indispettito per come gli adulti potevano decidere su quello che dovevo fare, senza la minima considerazione per le mie idee e dei miei desideri.
La regola dei genitori alterni, durante i fine settimana, fu difficile da digerire per i motivi appena detti. Non ricordo mio padre quando viveva ancora a casa, tanto che per farmene una ragione, gli ho chiesto spesso di raccontarmi com'era la vita in quegli anni.
I miei, mio padre e mia madre, dopo la separazione, cercarono con fatica di tornare a fare i genitori, ma forse in questo modo hanno impedito a me di essere un figlio vero.
Con mio padre passavo i fine settimana in modo tranquillo. I primi tempi facevamo gite nei dintorni. Qualche volta si stava via anche per due giorni. Si partiva al sabato per tornare la domenica pomeriggio. All'inizio di ogni viaggio protestavo, quasi impaurito nel lasciare luoghi noti, ma al ritorno, ero contento e, pian piano, viaggiare è diventato un piacere che ancor oggi non ho abbandonato.
Non mi ha ma lasciato in quegli anni la paura, l’ansia, di rivivere tensioni e litigi. Ricordo il pianto e il terrore che provavo quando vedevo i miei litigare. Spesso, quando si incontravano, cercavo di attirare l’attenzione su di me, perché non litigassero, come se fossi un parafulmine.
Con il tempo io mi sono abituato alla regola dei genitori alternati . Mio padre e mia madre si sono sempre più allontanati. Entrambi hanno avuto la possibilità di ricostruirsi una vita con altre persone. Non mi è stato difficile accettare le nuove situazioni e i nuovi compagni, anche se per anni mi sono chiesto come sarebbe stata a mia famiglia e fosse rimasta unita.
Non ho avuto mai una famiglia unita e, quando oggi esco con mia moglie e i due miei figli, penso alle poche volte in cui sono uscito con mia madre e ,mio padre. Io stavo appiccicato a mia madre, come se la volessi proteggere da quell'uomo con cui spesso litigava. E’ andata così, io sono cresciuto con la speranza di vedere i miei genitori tornare assieme. Ma la speranza di quand'ero piccolo si è andata sempre più affievolendosi come una candela che con il tempo si consuma. Ora, quando li vedo, mi chiedo cosa pensino e quale verità abbiano portato con se durante questi anni. Mi piacerebbe sapere quanto siano stati felici dopo la separazione e se ci siano delle cose di cui desiderino parlarmi.
“Hai qualcosa da dirmi ?”, vorrei chiedere ad entrambi ma, quando sto per aprire bocca, mi blocca ancora quel senso di paura che provavo quando litigavano, come se ricordare riaprisse ferite mai guarite e che mai guariranno.
Con il tempo io mi sono abituato alla regola dei genitori alternati . Mio padre e mia madre si sono sempre più allontanati. Entrambi hanno avuto la possibilità di ricostruirsi una vita con altre persone. Non mi è stato difficile accettare le nuove situazioni e i nuovi compagni, anche se per anni mi sono chiesto come sarebbe stata a mia famiglia e fosse rimasta unita.
Non ho avuto mai una famiglia unita e, quando oggi esco con mia moglie e i due miei figli, penso alle poche volte in cui sono uscito con mia madre e ,mio padre. Io stavo appiccicato a mia madre, come se la volessi proteggere da quell'uomo con cui spesso litigava. E’ andata così, io sono cresciuto con la speranza di vedere i miei genitori tornare assieme. Ma la speranza di quand'ero piccolo si è andata sempre più affievolendosi come una candela che con il tempo si consuma. Ora, quando li vedo, mi chiedo cosa pensino e quale verità abbiano portato con se durante questi anni. Mi piacerebbe sapere quanto siano stati felici dopo la separazione e se ci siano delle cose di cui desiderino parlarmi.
“Hai qualcosa da dirmi ?”, vorrei chiedere ad entrambi ma, quando sto per aprire bocca, mi blocca ancora quel senso di paura che provavo quando litigavano, come se ricordare riaprisse ferite mai guarite e che mai guariranno.
domenica 2 dicembre 2012
Alberobello. Trullo Sovrano
sabato 1 dicembre 2012
Note
Stasera sono a
Martina Franca. Sceso al sud per la fiera del Cavallo Murgese e dell’asino di
Martina Franca. Chi l’avrebbe mai detto!
Un mese fa, l’immaginarmi da queste
parti non sarebbe stato tra le cose possibili o plausibili. Come se avessi
voluto scommettere, anni fa, di mettermi a studiare Psicologia dopo una vita a
mettere in ordine bit e byte. Insomma a far programmi e strategie spesso si
fallisce. Eppure ....
A voler controllare tutto e tutti si spendono energie da usare per ben
altro.
A voler programmare ogni attimo della nostra vita si rischia di rivedere in continuazione piani e progetti, perdendo quanto ci sta passando sotto gli occhi.
Le
mie speranze e progetti di qualche mese fa erano lontane miglia e miglia dalla
realtà di oggi.
Avevo qualcosa da dire a qualcuno ……
Il buio da queste parti sembra più buio di quanto
conoscessi. La sera sembra non esserci e la notte è l’unica alternativa al
giorno. Strade buie ti fanno sentire smarrito e, percorrendo vie quasi deserte,
si viene presi da un filo di smarrimento, simile alla paura del buio che vivevo
nella camera scura da bambino.
Si va alla ricerca dei luoghi cercando tra le
rare luci visibili. Raccordare le luci con i percorsi per raggiungerle è impresa
difficile per chi, come me, è forestiero e un po’ impacciato in un ambiente
sconosciuto.
Ci tenevo a vivere il primo volo con mio figlio.
Penso a chi ha risposto :
“ Mì no, no’ vegno !”. Ci saranno altre prime
volte ….
Abbiamo evitato la parola paura
e il bimbo ha vissuto l’esperienza tutto preso da curiosità e entusiasmo. Ho registrato
con cura l’intero viaggio, cose inutili comprese. Un giorno spero possa
apprezzare suoni e parole della sua infanzia.
domenica 25 novembre 2012
Connettività a Banda Larga
mercoledì 21 novembre 2012
No' ghe xe gnanca el can
Mappe Mentali
Quello seduto vicino a me, armeggiava con l’IPAD come ormai è consuetudine in molti
meeting. Alcuni, durante le
presentazioni, spesso usano il Tablet, come fotocamera per fissare lo schermo dove
vengono visualizzate le diapositive PowerPoint.
Ma diversamente dagli altri, che spesso passano il tempo a
guardare la posta o a prendere appunti, la persona che mi sedeva vicino faceva strani
disegni e schemi.
La cosa mi incuriosì e così, sbirciando di tanto in tanto, capii che quei
disegni altro non erano che Mappe Mentali.
La materia non mi era nuova, da qualche tempo stavo cercando
informazioni in merito, sia in Internet che in libreria, per provare questo
metodo di esporre e annotare i concetti.
L’idea di esplorare le Mappe Mentale nasce dalla necessità
rendere più efficiente l’apprendimento e lo studio, dovendo fare i conti con il
poco tempo a disposizione.
Dopo un po’, approfittando di un momento di pausa, non
mancai di chiedere informazioni. Il signore mi illustrò in pochi minuti le potenzialità
del metodo e anche la facilità d’uso degli strumenti disponibili su Tablet.
In internet ho trovato un Blog che mi sembra
interessante. mappe mentali
lunedì 19 novembre 2012
Dialogo
“ Buongiorno. Ho bisogno di fare un bonifico.” , dissi
ancora prima di accomodarmi di fronte allo sportello.
La commessa intenta a parlare con l’altro collega della
piccola filiale di banca, mi guardava
con una sorta di ansia tipica di chi sta aspettando qualcosa o qualcuno.
Pensai che, in quella
piccola filiale di banca, non dovevano essere molti i clienti e passare il
tempo poteva diventare alquanto difficile. Il numero del mio conto corrente, 457, in parte
lo stava a confermare .
Mentre mi stavo sedendo, la signorina mi aveva già chiesto
nome e cognome e già che lo ricordavo le passai anche il
numero di conto.
Lei armeggiò sulla
tastiera e in pochi secondi confermò le informazioni, numero di conto compreso.
“Devo versare questa cifra a questo beneficiario con la seguente
causale”, spiegai indicando sul foglio che avevo nel frattempo appoggiato sul
tavolo.
“In pratica mi vado a svuotare il conto”, aggiunsi quasi a
giustificare il fatto che dopo il bonifico sarebbero rimaste poche decine di
euro.
“E’ una fortuna di questi tempi poter svuotare un conto “,
disse la commessa, con tono scherzoso ma seria in volto, “Vuole sapere quanto
soldi ho nel mio conto ?”
Non risposi, “Meglio far cadere l’argomento “, pensai mentre la osservavo riempire il modulo con le
informazioni che trovava nel foglio.
“Ieri avevo cercato di fare il bonifico via Internet, ma il
sito non funzionava”, dissi cercando una spiegazione alle difficoltà che
il giorno prima avevo incontrato, cercando di usare il sito Internet.
La ragazza, ancora tutta intenta a compilare il modulo, alzò
gli occhi e fu lesta a darmi la risposta, quasi mormorando le parole, appiccicandole
il più possibile.
Mi ricordava la situazione di quando a scuola, non sapendo
una risposta, si cercava di evitare la scena muta biascicando qualcosa di quasi incomprensibile.
Non capii
immediatamente ma mentalmente, rilessi la frase appena percepita e solo al
secondo giro riuscii a decifrarla :
“Si è vero, succede, forse era colpa del tempo”, aveva un attimo prima detto la commessa.
Non replicai, ma pensai tra me e me : “ Che fosse colpa dell’umidità?”.
venerdì 16 novembre 2012
Ordine Pubblico
“L'ordine pubblico è
quell'insieme di norme fondamentali dell'ordinamento giuridico riguardante i
principi etici e politici la cui osservanza ed attuazione è ritenuta
indispensabile per l'esistenza di tale ordinamento.”
Questa è la prima riga della definizione che si trova su
Wikipedia, che poi continua con una spiegazione molto accurata.
Si parla di ordine pubblico, ad esempio, ogni qualvolta una
manifestazione esce dai binari della normale protesta democratica, sfociando in
scontri e violenze. Le manifestazioni di protesta di questa settimana, che in
alcune città sono state caratterizzate da violenti scontri con la polizia, sono
state l’occasione per aprire discussioni e confronti sulla violenza e sulle
misure per fronteggiarla. Purtroppo la violenza di pochi porta spesso a offuscare le valide motivazioni
della protesta.
La violenza è sempre un comportamento da condannare, quando
in un paese democratico c’è la libertà di manifestare a favore o contro l’operato
dei governi. Spesso l’imponenza di certe manifestazioni ha indotto azioni
correttive riguardo a leggi che apparivano oltremodo impopolari. Manifestare è
un diritto, mentre la violenza è un sopruso mai giustificabile.
Ma ritornando alla definizione di Wikipedia, il concetto di
Ordine Pubblico sembra essere ben più ampio ma pure sul significato di violenza
vorrei fare delle considerazioni.
Tutti contribuiamo all’ordine pubblico perché seguiamo “principi
etici e politici” dettati dall’ordinamento giuridico. Chi non si attiene a
queste regole va in qualche maniera perseguito. La polizia si preoccupa di
garantire la sicurezza dei cittadini reprimendo e isolando i violenti. Così
accade o dovrebbe accadere anche nelle manifestazioni. La realtà a volte è diversa
e le discussioni e le testimonianze di
questi giorni riportano nuovamente a galla la questione : appare difficile
isolare i violenti dai normali cittadini e, per questo motivo, quest’ultimi
vengono confusi con i primi.
Penso sia corretto condannare la violenza ma è altrettanto corretto
usare le giuste contromisure.
Ma veniamo al discorso relativo alla violenza. Tutti noi
riconosciamo il concetto di violenza legato a azioni che ledano, anche
fisicamente, la libertà e l’incolumità dei singoli cittadini. Quindi quando
vediamo atti di violenza la condanna è immediata e anche le misure atte a
reprimerli scattano il più delle volte in tempi brevissimi.
Ma non sempre la violenza è palese condannabile e
immediatamente reprimibile. Mi riferisco all’imbarbarimento etico politico che ha
portato a vivere la crisi che ha fatto nascere le proteste di questa settimana
nelle città di tutta Europa.
Limitandoci al nostro paese e alle notizie di mala politica,
cattive amministrazioni e uso privato di risorse pubbliche mi viene naturale classificare
tutti questi atti nella categoria degli atti violenti. Anzi lo sperpero di
milioni di euro da parte di politici e amministratori, va a limitare e incidere
sulla libertà dei singoli cittadini, oserei dire, in modo analogo a chi con una
spranga spacca una vetrina.
Pensiamo a come una corretta amministrazione del bene pubblico
potrebbe garantire una scuola che dia un futuro ai nostri figli, una ricerca
capace di rinnovare il tessuto produttivo del nostro paese oltre che una gamma
di servizi nel segno della solidarietà verso chi è meno fortunato.
Sono inaccettabili errori di bilancio di milioni di euro,
quando ciascuno di noi spesso deve fare i conti con il singolo euro. Questa è
una violenza e una mancanza di rispetto che non deve essere accettata a tutti i
livelli, partendo dai più piccoli enti locali passando per i partiti (dove
chissà perché regna l’approssimazione), sino ad arrivare ai livelli più alti
dello stato.
Quindi perseguiamo i violenti, quelli che rovinano le
manifestazioni, ma anche coloro che con la cattiva gestione del bene pubblico attentano
alla qualità della vita di noi tutti. Mi verrebbe da dire … prendiamoli a manganellate!, come fanno gli
agenti con certi manifestanti, ma soprattutto mandiamoli via, impedendo loro di
toccare ancora un solo cent di bene
pubblico.
L’imbarbarimento di questi ultimi anni ci ha portato a
tollerare i furbi e i ladri che rubavano dalle nostre tasche. Cambiare la
classe politica penso sia fondamentale ma è fondamentale garantirne il ricambio,
impedendo che la politica diventi un lavoro quando deve rimanere una missione
oltre che un servizio.
martedì 13 novembre 2012
Autunno
Non fa più il freddo di qualche giorno fa. Il termometro
della carrozzeria sembra fisso sui 9 gradi. Fa caldo direi, vista la stagione. Siamo
già oltre San Martino, un tempo portatore di cieli tersi ma anche di gelate
notturne. Quest’anno ne gli uni ne gli altri. Per una volta tanto, solo umido,
pioggia e canali colmi d’acqua tanto da trasmettere un sottile senso di
angoscia. Da queste parti tutto è piano, quasi tirato a bolla, tanto che sembra
impossibile prevedere dove l’acqua, uscendo dai canali, andrebbe a
raccogliersi.
"L'acqua fa 'iveo!", si dice qui da noi, ma si ha la sensazione che a far livello si sia lavorato già molto.
A dire il vero, l’acqua in questi giorni non ha badato a spese. Caduta, come poche volte in questa stagione, ha fatto riapparire rivoli quasi invisibili e alzato il livello dei canali in modo preoccupante.
L’umidità entra nelle case e, solo il tepore delle stufe e dei termosifoni riesce ad allontanarla dalle ossa e mitigare quel senso di freddo che si annida sotto le vesti, come quando la febbre preannuncia l’influenza.
Dopo le piogge, un tempo arrivava il freddo, accompagnato dalla nebbia e dalla brina.
"L'acqua fa 'iveo!", si dice qui da noi, ma si ha la sensazione che a far livello si sia lavorato già molto.
A dire il vero, l’acqua in questi giorni non ha badato a spese. Caduta, come poche volte in questa stagione, ha fatto riapparire rivoli quasi invisibili e alzato il livello dei canali in modo preoccupante.
L’umidità entra nelle case e, solo il tepore delle stufe e dei termosifoni riesce ad allontanarla dalle ossa e mitigare quel senso di freddo che si annida sotto le vesti, come quando la febbre preannuncia l’influenza.
Dopo le piogge, un tempo arrivava il freddo, accompagnato dalla nebbia e dalla brina.
La nebbia,già da qualche anno, qui nelle campagne del veneziano sembra aver
traslocato. Non è più di casa come un tempo e, quando riappare la si accoglie con quel senso di positivo stupore simile a
quando ripassa in paese qualcuno andato
ad abitare lontano. Non nascondo che qualche volta ne sento la mancanza. L’autunno
non sembra più lo stesso senza la nebbia e le gelate che imbiancavano i campi
al mattino.
E’ vero, con il passare degli anni sono cambiate le
stagioni. Loro sono cambiate mentre io sono invecchiato lasciandomi dietro le
spalle cose che mai più torneranno, come le gelate mattutine della mia
infanzia.
Ogni cosa ha il suo tempo riflettevo in questi giorni,
pensando agli affetti, agli amori ai sentimenti di un tempo e a quelli di oggi.
Ogni tempo ha il suo amore e ogni amore può trovare un suo tempo senza esserne
sminuito e temere confronti di sorta.
Pensavo ai miei cinquanta e più anni e, guardandomi allo
specchio era come se li contassi ad uno ad uno, distribuiti tra
le rughe del collo, tra i pochi e bianchi capelli, negli occhi talvolta tristi e il
corpo non più snello come un tempo. Gli specchi sono impietosi nel far apparire inesorabili i segni della nostra decadenza.
Ma se volgo gli occhi altrove, senza preoccuparmi di come
appaio, ma solo di come guardo il mondo, scopro uno spirito diverso, una vitalità
che il tempo sembra non avere scalfito.
Così come per gioco mi sono chiesto chi immaginavo ci fosse
dietro la sensibilità dello sguardo con cui guardavo l’orizzonte davanti a me.
La risposta non tardò. L’immagine in bianco e nero raffigurante
un ragazzino con gli occhi sorridenti, fu la risposta. Quelli sono gli occhi
con cui guardo il mondo. Gli occhi di un ragazzo, di un adolescente con tanta
forza e tanti sogni. La forza forse oggi si è un po’ affievolita ma sognare è un
vizio che non ho ancora perso.
lunedì 12 novembre 2012
La trattativa
Mi avvicinai alla cassa, situata in un angolo alquanto
defilato dello stand. Prima di me delle ragazze tedesche stavano comprando una
sorta di “copri schiena” per cavalli e, mentre pagavano, l’uomo della cassa
cercava di intrattenerle parlando un tedesco alquanto approssimativo. La conversazione,
come al solito in questi frangenti riguardava il “da dove venite …. e io ci
sono passato quand'ero bambino”. Tutto
terminò con la consegna dello scontrino.
Io, incuriosito da quella discussione, che intuivo per lo
più dai gesti e dai toni, stavo a debita distanza, con la cavezza per l’asino
in mano. Era la seconda che compravo alla Fiera Cavalli. Questa mi sembrava un po’
più adatta di quella costata cinque euro, comprata mezz'ora prima. In primo luogo costava il doppio, poi aveva un po’ di peluche che trasmetteva la sensazione
di soffice che pensavo, non poteva che far bene al naso dell’asinello.
Quando venne il mo
turno pensai bene di imbastire, in tono molto cordiale una sorta di trattativa.
Spesso mi diverto a contrattare quando compro, il più delle volte per attaccar
discorso piuttosto che puntare a un risparmio effettivo.
Così mosso dal buon umore esordii :
“Buongiorno, avrei questa cavezza da pagare …..”
“Mi sembra che il commesso dicesse …… 10 Euro … trattabili”
L’uomo mi osservò molto divertito. Il tono scherzoso lo aveva
messo di buon umore.
“Cosa vuoi si possa trattare su una spesa di 10 euro ?”, mi
chiese divertito.
“Uno sconto è sempre possibile !”, rilanciai fiducioso.
“Al massimo ti posso offrire il caffè. Anzi il caffè te lo
offrirei volentieri”, continuò sorridendo.
Guardai tra lo stand in cerca della macchietta del caffè. Il
luogo era alquanto ingombro di accessori
per cavalli di ogni tipo.
“Probabilmente la macchinetta è nascosta dietro qualche
scaffale”, pensai , aguzzando lo sguardo ancora per qualche istante.
Ma l’altro vedendomi intento a guardare chissà dove mi aiutò
dicendo :
“Purtroppo la macchinetta non c’è, ma il caffè te lo offro
lo stesso!”.
Così dicendo mi porse un euro. Io accettai volentieri.
Ringraziai sorpreso dal gesto e salutato quel signore,
raggiunsi i miei figli che attendevano poco più in là.
In fondo avevo ottenuto uno sconto del dieci percento !
domenica 11 novembre 2012
IPOD Playlist
....
E se l'amore che avevo non sa più il mio nome.
E se l'amore che avevo non sa più il mio nome.
Come i treni a vapore come i treni a vapore
di stazione in stazione e di porta in porta
e di pioggia in pioggia
di dolore in dolore
il dolore passerà
I Treni a Vapore - Ivano Fossati
mercoledì 7 novembre 2012
domenica 4 novembre 2012
Juve - Inter 1 : 3
L'inter stava crescendo mentre le ultime prestazioni della Juve avevano fatto intravvedere un calo di condizione.
Come spesso succede chi rimonta riesce a staccare chi sta davanti. Per lo scudetto la strada è ancora lunga, ma la partenza bruciante della Juve si sta già ridimensionando.
Da qualche giorno pensavo di scommettere 20 euro puntando sul 3 : 1 per l'inter.
Naturalmente non l'ho fatto.
sabato 3 novembre 2012
Andy
Andy se ne andato qualche mese fa. Il suo cuore non gli ha
dato una seconda possibilità.
L’ho incrociato per qualche anno per motivi di lavoro. Era
uno di quei geni creativi che hanno contribuito alla crescita di internet. Un
creativo contro cui spesso mi sono confrontato. Il suo desiderio di vedere realizzata
un’idea con poco e in pochissimo tempo non collimava con la mia necessità di
farla durare nel tempo. A causa di questa incompatibilità entrambi abbiamo
passato de momenti difficili. Lui non riusciva a realizzare in tempo e io non
ero in grado di garantirne il funzionamento nel tempo.
All’inizio non mi stava simpatico perché condizionava, con
il suo parlare solo inglese, decine di persone a usare una lingua straniera
durante le riunioni. Uno vinceva contro al maggioranza, dove ciascuno, mai e poi
mai poteva alzare bandiera bianca e dire : “ Scusate io non capisco niente !”.
Quando con il tempo cominciò a comprendere l’italiano, per
non essere frainteso, continuò a esporre le sue idee solo in inglese.
Con il tempo i motivi di collaborare si diradarono e quando
ci fu l’occasione di incontrarci, si parlava d’altro e ci si capiva di più. Per
molto tempo lo hanno dato per partente, ma quando ritornò davvero a Londra non
passò a salutare.
La notizia della sua morte piombò improvvisa. Per qualche
giorno se ne parlò quando ci si incontrava tra quelli che lo avevano conosciuto.
Stamattina una mail di Facebook, che quotidianamente mi
invita a conoscere questo o quello perché amico di uno che conosco, mi chiedeva
se per caso conoscessi Andy. Avevamo degli amici in comune, sottolineava la
mail, quindi …. potevo stringere amicizia.
Che idiota ‘sto Facebook che si definisce social network ma non distingue chi è
vivo da chi non c’è più. Come può qualcosa essere sociale quando non riesce a
distinguere e dare dignità alla vita e alla morte ?
Quanti sono i fantasmi che vagano in cerca di amicizia in
giro per Internet e quante saranno le richieste di amicizia, inviate da ignari,
che mai saranno ricambiate ?
Un tempo l’immortalità era garantita agli artisti e ai grandi
uomini. Le loro opere e gesta contribuivano a renderli eterni. Oggi basta
essere tra i cinquecento milioni di
iscritti a Facebook per non essere dimenticati e continuare a vagare come
anime in cerca di pace, elemosinando, senza più tempo amicizie, restando in
silente ascolto come le misteriose anime dei morti che hanno turbato spesso i
sonni della nostra infanzia
martedì 30 ottobre 2012
Ogni cosa ha il suo tempo
Ho appeso le scarpe da calcio, già nel secolo scorso, dopo
aver rischiato di prenderle da un terzino, una specie di montagna che mi seguiva dandomi dei pugni di nascosto che, con una furberia avevo fatto espellere dall'arbitro durante una partita di un torneo aziendale. Giocare a calcio è stata una delle mie
passioni più grandi. Segnare un goal procura istanti di felicità assoluta. Ad un
certo punto, però, ho capito che il
meglio era passato e non valeva più la pena rischiare qualche infortunio in
tackle a cui non ero più abituato.
Qualche anno dopo tentai la strada del calcio a cinque. Il campo era più piccolo, pensai , così potevo meglio mettere a frutto le mie doti tecniche, visto che qualche
acciacco, dovuto all’usura derivante dalla corsa prolungata, aveva pregiudicato
la prestanza e la resistenza fisica.
L’impatto fu deflagrante. Giorni e giorni di dolori
inspiegabili mi convinsero a lasciare perdere. Non mi pesò abbandonare
definitivamente il calcio.
Mi rimangono i palleggi
che, giocando con mio figlio, faccio ancora con
una discreta abilità, un tantino arrugginita ma non fino al punto da farmi sembrare
imbranato e goffo. La stoffa c’è ancora, si è sgualcita un po’, ma traspare
ancora la qualità di un tempo, come un vestito di ottima fattura ma non più
alla moda. Ogni cosa ha il suo tempo.
Da ragazzo divoravo libri. Integravo quelli che mi venivano
regalati con quanto potevo trovare in biblioteca. Per certi periodi andavo in
sequenza, ad esaurimento di scaffale. Mi
piaceva la fantascienza e le storie di viaggi impossibili. Moby Dick, i libri
di Verne e tanti altri mi hanno fatto compagnia durante l’infanzia e
l’adolescenza. Durante le scuole superiori, arrivarono gli incontri con Manzoni, Kafka, Buzzati,
Pavese, Pirandello, molti scrittori del
neorealismo italiano e altri ancora, stimolati dall’affezione verso una
professoressa di italiano che mi indusse
a portare italiano all’esame di diploma in informatica.
Ai libri mi affezionavo e i più belli li tornavo a leggere, sapendo di
scoprire sempre angoli passati inosservati.
Poi venne il militare e di li a poco l’addio all’Università.
Fu così che abbandonai la lettura. Iniziai a lavorare e sposatomi, molti pensieri ma anche molte soddisfazioni riempirono
il mio tempo. Quegli anni sono stati caratterizzati da un’energia senza uguali,
mosso dall’amore verso la mia famiglia e dalla voglia di arrivare a realizzarmi
per stare sempre meglio.
“Ogni cosa ha il suo
tempo”, mi dicevo , “tornerò sui libri ne sono certo, ma ora no ho tempo.”
Ma l’arrivare si tramutò in arrivare a tutti i costi, senza
curarsi del tempo e delle energie rimaste. Tenere il ritmo elevatissimo risultò
sempre più difficile. In maratona si sa, che se si parte a ritmo troppo elevato
si rischia di andare fuori giri e scoppiare senza arrivare al traguardo. Anche
il mio ritmo di vita risultò in quegli anni insostenibile e, come un incauto maratoneta, scoppiai.
Ne uscii con le ossa rotte e, rabberciata una vita andata in
frantumi mi ripromisi : “Ogni cosa ha il suo tempo” , ma quel “ha”, significava
ben altro. Le cose importanti, intendendo
tutto ciò che amavo, avevano bisogno del
mio tempo. Tutto andava rimesso in ordine.
Ora sono tornato sui libri, sono tornato a studiare, leggo, studio passo il tempo tra le parole,
lette e scritte. E’ terapeutico prendere
un pensiero e riportarlo sulla carta ordinando le parole con la stessa cura con cui un
pittore cerca le sfumature di un colore.
I significati stanno alle parole come le tonalità stanno ai colori. “Ogni
cosa ha il suo tempo”, ma la vita fa scherzi strani giocando con il tempo,
spesso mescola tempi e cose con l’estro di un’artista. Può succedere di
ritornare a studiare quando pensi di essere arrugginito, avere un figlio quando ti senti inutile oppure
salire le vette più alte quando pensi di avere un cuore malato.
Ho corso sette maratone e, quando nell’ottobre del 1997
tagliai il traguardo con il mio tempo peggiore, mi venne naturale pensare che
mi sarei di sicuro rifatto l’anno dopo. Però
si trattava di una bugia, in fondo pensavo che, quella era stata veramente la
mia ultima maratona. Troppa era stata la fatica e poche le motivazioni rimaste.
Per più di dieci anni non ripresi più seriamente e, solo dopo aver ritrovato l’armonia
con il mio cuore, tornai a macinare chilometri. Rimisi però le scarpe da running
con lo spirito di chi va in montagna, ma tiene il passo di chi è meno allenato di lui.
Ogni cosa ha il tempo. C’e stato il tempo delle maratone corse in meno di tre
ore e quello delle corse fatte per il gusto di esserci ancora ed arrivare
sorridendo.
Ora aspetto il tempo e le cose che l’estro della vita vorrà
riservarmi ancora. Le motivazioni non mancano come pure i sogni.
Ogni cosa avrà il suo tempo .
mercoledì 17 ottobre 2012
15 Ottobre
Gli esercizi di inglese sono fatti bene. E’ un piacere
farli. Sono semplici, ma sono molti. Se li traguardo con lo spessore del libro
direi che sono troppi. Non ce la farò per il prossimo mese a completarli tutti. Ci provo
comunque.
Inglese sembra un esame un po’ avulso dal contesto del
corso, ma ormai si sa, che senza conoscere l’inglese non si va da nessuna parte.
Il mio inglese va e viene. Ci sono momenti in cui la mente riesce a precedere
la voce, formando le parole e le frasi in modo comprensibile, mentre altre
volte la lingua sembra incollata e la mente sembra dissociarsi, non ne vuole
sapere. In questi casi faccio fatica a parlare, a mettere in fila anche mezza
frase.
Gli esercizi servono a ripassare le regole grammaticali,
studiate tanti anni fa. Alcune regole sono ancora ben fissate nella mente e mi
risulta facile metterle in pratica, mentre molte altre mi stanno tornando alla mente
ora, mentre procedo con le esercitazioni.
Gran parte degli esercizi consistono di frasi incomplete in
cui si devono disporre le parole nella giusta forma. Gli spazi da completare
sono identificabili da dei puntini a garantire lo spazio necessario.
La risposta è sempre una sola, non c’è possibilità di
sbagliare. Spesso in testa alla pagina già ci sono dei suggerimenti.
Lunedì 15 Ottobre alle 8.10 mi arriva un SMS.
“Ciao....”
A vederlo mi sono tornati alla mente gli esercizi di
inglese. Chissà quale frase e parola mancanti stavano
nelle intenzioni del mittente, al momento dell’invio?
Non era facile, come negli esercizi di inglese, completare la
frase scegliendo la parola o la frase giusta.
"Meglio non farli certi esercizi.", mi sono detto.
Fanno male al cuore .
venerdì 12 ottobre 2012
mercoledì 10 ottobre 2012
domenica 30 settembre 2012
Alti e Bassi... Bassi e Alti
L’uomo che era stato negli ultimi tre anni, direttore di
funzione ma soprattutto il mio capo,
entrò nel mio ufficio con la solita flemma. Già un paio di volte nell’ultimo
mese era entrato per parlarmi di nuove tecnologie e delle sue ultime scoperte.
Si comportava con le tecnologie come un bambino quando si innamora dell’ultimo giocattolo
visto. Subito le voleva avere e provare. Lui quasi ogni giorno si innamorava di
un giocattolo nuovo.
Questa sua volubilità non ci aiutava certo nel nostro lavoro. La
strategia, se si poteva chiamare tale, mi sembrava scritta sulla sabbia.
Bastava un niente per cancellarla e la nuova proposizione rinnegava spesso
quanto scritto in precedenza.
Abbiamo scritto spesso sulla sabbia in questi tre anni …
Sapevo che a fine mese ci avrebbe lasciato e quando lo vidi
entrare, mi stavo preparando ad ascoltare notizie sull'ultima tecnologia
esplorata.
“Sei il primo che saluto !”, esordì con tono amichevole. E',
tra le persone conosciute, una delle poche che riesce a usare un tono amichevole
anche quando vuole colpire duro.
Capii che eravamo giunti all'epilogo, niente più innamoramenti
e colpi di fulmini.
“E’ oggi, l’ultimo giorno ?”, chiesi tanto per rispondere qualcosa e proseguire il
discorso.
“Non l’ultimo giorno, direi, l’ultima ora", puntualizzò, "Finiti i saluti,
consegno la macchina e me ne torno a casa con mia moglie …”, disse preciso,
preciso.
“Bene …”, continuai senza trasporto.
Avevo pensato più volte a quel momento. Mi ero riproposto di
trasformarlo in uno sfogo o un atto di accusa, dicendo finalmente tutto ciò che
pensavo di tre anni di direzione ballerina. Alla fine avevo però deciso di
lasciar perdere, bastava che se ne andasse. Bastava e avanzava.
“Sono stati tre anni di lavoro proficuo …..” rilanciò lui,
quando io invece pensavo si passasse direttamente ai saluti e alla stretta di
mano finale.
“Con alti e bassi, come in tutte le cose”, precisò
rispolverando un tono vagamente direttivo.
La frase, però, mi svegliò dall'indifferenza che mi ero imposto, come se dovessi prendere una medicina cattiva ma imprescindibile.
La frase, però, mi svegliò dall'indifferenza che mi ero imposto, come se dovessi prendere una medicina cattiva ma imprescindibile.
Poi con una certa benevolenza, malamente mascherata,
continuò :
“Ma i bassi devono essere stati talmente pochi, che nemmeno
me li ricordo”
Risvegliai immediatamente la memoria alla ricerca degli alti
e dei bassi a cui sui riferiva.
Non risposi, non avevo parole con cui controbattere. Mi ritornarono
alla mente le frasi preparate per lo sfogo, le ricacciai indietro per evitare
tentazioni.
C’era qualcosa che non mi spiegavo, perché, differentemente
da quanto lui mi stava dicendo, io avevo in mente molti momenti bassi e gli
alti dovevano essere stati talmente pochi che nemmeno li ricordavo.
“Spero che questi tre anni abbiano insegnato qualcosa ad
entrambi”, riuscii solo a dire, con tono che voleva essere vagamente di
commiato.
Ci furono dei momenti di imbarazzo. Ascoltando l’istinto
avrei voluto mandarlo al diavolo, ma in aiuto mi sovvenne la sua domanda
successiva.
“Coma va la salute ?”
“Bene, Grazie … Il mio cuore sta bene”, risposi lesto, come
avessi la risposta già pronta per l’uso.
Se e andò dopo la stretta di mano di rito e la promessa che
si saremmo comunque tenuti in contatto.
Risposi con un “Buona Fortuna !”, di cuore.
Funziona !
Ogni tanto arrivano buone notizie....
Da la Repubblica.it del 30 Settembre 2012.
Da la Repubblica.it del 30 Settembre 2012.
Olanda, giocatore colpito da infarto salvato dal suo defibrillatore interno
sabato 15 settembre 2012
Dedicato a ......
I muri non servono per fermare chi desidera davvero qualcosa.
Servono per fermare quelli che non ci credono abbastanza
"Copertina di uno dei tanti libri in vendita in Autogrill"
giovedì 30 agosto 2012
Matrici di Compatibilità
Le chiamano matrici di compatibilità. In Informatica è un
modo molto schematico e preciso per descrivere le affinità tra software e
hardware definendo, la loro capacità di integrarsi e di convivere al fine di
costituire un sistema funzionante. Ma i sistemi informatici moderni sono oramai
composti da molte (forse troppe) componenti hardware e numerosi software, senza
contare le implicazioni dovute alla connettività, alla rete e perché no, alla
sicurezza. Insomma oggi un sistema informatico è da considerarsi una specie di
puzzle dove spesso, una e una sola è la combinazione che funziona.
Quindi parlare di matrici può sembrare alquanto
semplicistico o perlomeno fuorviante. La realtà è spesso più cruda. E’ normale
dover verificare dipendenze tra più
matrici, dove per trovare la soluzione ci si deve addentrare tra percorsi
molto simili a quelli di un grande un labirinto.
L'esperienza insegna, ben presto, che le scelte, sia hardware che software, non possono
essere prese a cuor leggero.
Spesso queste matrici, che oserei chiamare Cubi di Rubik, pur nella loro completezza e precisione, non sono esenti da incognite, tanto da imporre compromessi alcune volte frustranti per chi, in fase di progetto sognava voli pindarici attraverso nuove tecnologie e performance mai viste.
Spesso queste matrici, che oserei chiamare Cubi di Rubik, pur nella loro completezza e precisione, non sono esenti da incognite, tanto da imporre compromessi alcune volte frustranti per chi, in fase di progetto sognava voli pindarici attraverso nuove tecnologie e performance mai viste.
Come orientarci nel labirinto e difenderci da simili frustrazioni
informatiche ?
Basta applicare la stessa regola che si usa quando, andando per sentieri in montagna, si diffida dei sentieri poco battuti, preferendo quelli levigati e senza erbacce, ma soprattutto, ben segnati.
Basta applicare la stessa regola che si usa quando, andando per sentieri in montagna, si diffida dei sentieri poco battuti, preferendo quelli levigati e senza erbacce, ma soprattutto, ben segnati.
L’informatica è una sorta di montagna dove ci sono sia
sentieri battuti che tracce appena segnate. Quest’ultime sono di solito percorse da temerari, spesso
amanti del rischio e dell’inesplorato. Talvolta l'ignoto è sinonimo di
innovazione e futuro, ma quasi mai si coniuga con stabilità e affidabilità.
Per chi invece preferisce l’affidabilità e la sicurezza non
rimane che scegliere le strade battute, levigate dai molti già passati in
precedenza. Sono loro che hanno sperimentato sulla loro pelle, gli intoppi e i
contrattempi caratteristici di tutto ciò che è nuovo sia nel software che nell’hardware.
Sono le frustrazioni di altri che hanno messo a punto e collaudato
le matrici di compatibilità, rendendo il puzzle più semplice per tutti coloro
che con saggezza o opportunismo, hanno
preferito passare dopo, rinunciando all'onere e all’onore di battere strade
inesplorate.
Ma ogni scelta va fatta con saggezza e buon senso. Questo
non significa avere sempre un approccio conservativo, scegliendo le soluzioni più affidabili.
Spesso "buon senso" può essere anche sinonimo di coraggio e capacità di rischiare.
Si scopre così, che quando si ritrova il coraggio e si impara a rischiare alla fine ci si diverte di più.
Si scopre così, che quando si ritrova il coraggio e si impara a rischiare alla fine ci si diverte di più.
mercoledì 29 agosto 2012
IPOD Playlist
...
She'll lead you down a path
There'll be tenderness in the air
She'll let you come just far enough
So you know she's really there
She'll look at you and smile
And her eyes will say
She's got a secret garden
Where everything you want
Where everything you need
Will always stay
A million miles away
Secret Garden - Bruce Springsteen
lunedì 27 agosto 2012
Note
Le ferie sono terminate in coincidenza con il primo
temporale di Agosto. Lungo il viaggio verso casa, sempre più coperto da nubi
minacciose, la temperatura è scesa repentinamente
di più di 15 gradi. Sono giunto a casa poco dopo il passaggio del nubifragio. Davanti
alla porta di casa il vento aveva accumulato una grande quantità di foglie
secche, come se qualcuno volesse sottolineare che le ferie erano veramente
finite. Un po’ per passare il tempo e un po’ per scacciare la malinconia, presa
la ramazza, ho fatto piazza pulita di quell’avvisaglia di autunno.
Uno dei ricordi più singolari del mare di quest’anno, una
sorta di foto non fatta, è stata l’immagine di due persone anziane, presumo
marito e moglie che, abbracciati, andavano lenti verso il mare. Si era verso
sera, e i raggi del sole non avevano più la stessa forza delle ore più calde. Guardandoli
ho provato molta tenerezza e un pizzico di invidia.
Ero partito per il mare munito di computer, Tablet ,
cellulari, fiducioso di essere sempre connesso a Internet. Mi sono trovato invece, quasi sempre
sconnesso e spesso, nell'impossibilità di fare anche una banale telefonata. I pochi accessi a Internet sono stati ottenuti
grazie a lunghe e interminabili attese davanti al Pc, diventato improvvisamente
lento e inutilizzabile. Non tutto il
male viene per nuocere e dopo un po’ ho scoperto, ma le cose le capisco quasi sempre per urto
frontale, che dopo tutto non stavo poi così male, anzi ….
Da oggi si ritorna alle vecchie abitudini. Il PC al lavoro è
ripartito senza fiatare. La posta ci ha messo un po’ ad arrivare, ma alla fine
non c’era niente di preoccupante. I promemoria lasciati sul tavolo, sintetici,
che solo un mese fa sembravano chiarissimi, mi sono apparsi alquanto
enigmatici. In compenso mi sono ricordato tutte le password di accesso.
sabato 25 agosto 2012
mercoledì 22 agosto 2012
Dialogo
“Papà, dov’è la macchinetta per il cuore ?”
Eravamo in silenzio da qualche minuto, finito il pranzo c’era ogni giorno una sorta di tacita tregua: ciascuno si faceva i fatti propri.
Ma quella domanda uscita dai pensieri di mio figlio riannodò il silenzio. Alzai la testa e fissandolo, pensai a quale poteva essere la risposta più appropriata. Presi tempo, ma decisi per la via più diretta.
“E’ qui, vicino alla spalla”, risposi, indicando con il dito sotto la clavicola sinistra.
“Se appoggi la mano la puoi sentire“.
Il piccolo si avvicinò, appoggiò la mano senza premere.
“Non c’è niente!”, esclamò.
“Si che c’è”, spiegai, chiedendomi come mai non avesse percepito qualcosa che per me era, invece, molto ingombrante.
“Puoi sentire anche i fili che vanno diretti al cuore”, continuai completando la descrizione.
Mio figlio appoggiò la mano con più convinzione, e solo allora individuò la macchinetta e fili che gli avevo appena descritto.
“A cosa servono i fili ?”, chiese con aumentata curiosità.
“ A far ripartire il cuore nel caso si fermasse!”.
Pensavo l’argomento concluso, ma, qualche istante dopo :
“E come fanno a farlo ripartire”, riprese mio figlio.
“La macchinetta manda, attraverso i fili, una scossa al cuore”, risposi.
“E la scossa si sente ?”, domandò quasi preoccupato.
“Chi l’ha provato dice che si sente”, raccontai riportando quando avevo sentito.
Nuovamente pensai conclusa la discussione, ero convinto di avere dato la migliore delle spiegazioni.
Mio figlio sembrava pensare ad altro. Aveva abbassato lo sguardo quasi fosse stato attratto da qualcos’altro. Armeggiava con le mani sulla sabbia.
Ma alzati gli occhi disse convinto :
“Ma allora tu non muori mai !”
Avevo capito il suo silenzio e i suoi pensieri. Lasciai passare un secondo e più, poi conclusi.
“Un giorno, nessuno sa quando, il mio cuore si fermerà e la macchinetta non sarà capace di farlo ripartire.”
lunedì 20 agosto 2012
Piazzola 127
“Guardi, sono disposto a pagare per farla partecipare al
gioco …!”, disse uno degli animatori che stava reclutando dei volontari per un
quiz musicale.
“Cosa vuole …. Le posso dare delle macchine, ma non può dire
di no!” , continuò con aria canzonatoria sicuro di convincermi.
“Da papà vai anche tu!”, disse mio figlio felice di vedermi
sul palco. Solo qualche giorno prima mi avrebbe trattenuto, come se si vergognasse di
me.
“Va bene”, dissi accettando, convinto dall’incitamento di
mio figlio.
Andai così ad occupare una sedia delle
dieci che erano state preparate. Il palco era in penombra, come quasi
al buio mi apparivano le centinaia di persone che stavano di fronte a me.
La situazione poco chiara mi rassicurò.
Pensai :
“Non ho proprio il vestito migliore e, qua in penombra,
probabilmente pochi mi noteranno”.
Nel frattempo ogni tanto, davo un’occhiata al piccolo, che
stava seduto poco più in là.
Reclutati tutti i dieci “volontari”, apparve una sorta d
presentatore che, in inglese, tedesco e Italiano diede inizio al gioco. Si trattava
di indovinare delle famose canzoni internazionali.
Internazionale era il parterre dei concorrenti : austriaci ,
tedeschi, italiani e olandesi e dopo una
veloce valutazione, mi convinsi che ero di sicuro il meno giovane.
L’inizio del gioco coincise, purtroppo, con l’accensione
delle luci del palco. Una luce forte e calda mi colpi come un pugno nello
stomaco. Ne rimasi abbagliato. Mi ritornò alla mente il mio abbigliamento un po’
andante ma, accecato da quelle luci, non avevo la sensazione che qualcuno potesse vedermi.
Iniziò la chermesse e, dopo le prime dieci canzoni, ero ancora
a zero punti. Tra le canzoni passate, avevo comunque riconosciuto alcuni brani ma, un po’ l’ignoranza e
un po’ l’emozione, non mi avevano aiutato a ricordare il titolo.
L’inglese poi era diventato, d’improvviso, una
lingua sconosciuta. Non riuscivo a spiaccicare una parola ne a comprendere ciò
che veniva detto.
Pian piano però quell’immotivata agitazione di dileguò e
cominciai a sentirmi a mio agio.
Decisi di fare una falsa partenza, sicuro di arrivare
secondo, per rompere il ghiaccio. Mi buttati su una canzone degli Abba,
sbagliandola clamorosamente ma individuai alle prima note Crocodile Rock di Elton John, Yesterday al
primo accordo e l’unica canzone di Cat Stevens che conosco : Father and Son.
In compenso ho confuso Obladì Obladà con Yellow Submarine,
dopo una partenza da siluro.
Al termine del gioco ho sfiorato, comunque, l’ammissione in
finale, facendo una discreta figura. Naturalmente per mio figlio dovevo vincere.
Alla fine l’ho convinto, lui sempre timido, a salire
sul palco con me a ballare la sigla di chiusura e questo è stato il risultato
più bello.
Certe cose si fanno solo in vacanza … chissà perché !
domenica 12 agosto 2012
Piazzola 127
L’accesso a internet segue regole a me sconosciute. Il fatto
che tutto sembri appeso a non so che fenomeno o rito rende tutto poco
tecnologico e deterministico. Non capisco perché ora si acceda a una velocità accettabile
mente solo pochi minuti fa tutto era terribilmente lento.
Non sono questi i problemi, ma solo curiosità “professionali”,
che mi stuzzicano un po’, ma appena internet diventa decente, mi comporto come
chi, pensando di avere la macchina guasta, la sente ripartire di li a poco
senza aver toccato nulla. “Finché dura!”, mi viene da dire, sapendo che, come a
una roulette russa rovesciata, ho un solo colpo buono a mia disposizione. Per
il resto del tempo è buio pesto.
L’accampamento si sta sviluppando. Alla roulotte si è
aggiunta una tenda, tutto ben disposto all’interno della piazzola, sfruttando
al meglio spazi e confini. Siamo in due,
tra non molto saremo forse in tre, ma disponiamo di ben 7 posti letto. A volte
mi considero come quei signori dotati di enormi residenze, con decine di stanze
dove ogni sera hanno l’imbarazzo della scelta in quale andare a dormire. Diciamo
che un po’ assomiglio loro per il fatto di avere l’imbarazzo della scelta. Insomma la fantasia fa star bene e i sogni
costano niente.
La spiaggia è adiacente al Campeggio. La considero come
fosse dietro casa, vista la disposizione della roulotte. Fino ad oggi non ho
ancora sentito il mare “ne urlare ne biancheggiare”, come diceva il Carducci, ma
il vento teso di ieri sera mi è servito a imparare a governare uno di quegli aquiloni che si guidano con due
fili. Pensavo che mai ci sarei riuscito
e che quanto speso alla festa degli aquiloni di Cervia, non fossero stati altro
che soldi buttati al vento. Con molta sorpresa ho imparato in fretta e il gioco
non è niente male. In certi momenti la vela sembra volermi sollevare e per
qualche istante si prova una strana sensazione di leggerezza, simile a quella
di un abitante della Luna.
La spiaggia ieri sera era completamente deserta, mentre per
tutta la giornata centinaia di ombrelloni la avevano resa disordinatamente
multicolore, come fosse stata dipinta da un pittore al meglio dell’estro. E’
questa una peculiarità delle spiagge libere, zone in cui chiunque può occupare un
proprio spazio con ombrellone e sedie a sdraio proprie. C’è chi arriva munito
di sole borse e altri invece che, su carrelli di varia dimensione portano
lettini, ombrelloni e viveri, quasi fosse un trasloco ogni giorno. Verso sera
tutto si svuota, un po’ prima dell’ora di cena la spiaggia ritorna deserta. E’
in quel momento che si può apprezzare il secondo significato di “Spiaggia Libera”,
vedendo quel vuoto ordinato e la sabbia completamente sgombra. Restano il mare,
la sabbia , il vento, i gabbiani e qualcuno che cammina sulla battigia. La luce
del tramonto rende il momento magico.
Camping dei Fiori – Cavallino . Agosto 2012
giovedì 9 agosto 2012
Piazzola 127
La piazzola 128 , quella dell’anno scorso, sta qui a fianco.
L’anno scorso stavamo proprio la , organizzati in un disordine sotto controllo.
Questa sera sono stanco. Io e mio figlio, abbiamo rimesso in moto l’accampamento allo stesso modo, con poche modifiche: tavolo nuovo e poco più. La roulotte è
arrivata per contro proprio. Il rendezvous è avvenuto dopo un anno, verso le
sedici. Tutto era in ordine, come un’astronave che per molto tempo avesse
viaggiato senza equipaggio. In breve
tempo sia la dispensa che l’armadio ha si sono riempiti di viveri e di indumenti.
Il frigo e il fornello anche se con qualche tentennio si sono rimessi a
funzionare.
Stasera sono stanco e un po’ mi chiedo perché sono ancora
qua, così diverso dall’anno scorso. Non cerco risposte immediate. Già da domani
rimetterò in ordine il tempo e gli spazi e non sarà difficile organizzare il
far niente. Mio figlio è invece molto più concreto, mi ha aiutato con profitto,
non solo nell’operatività ma anche nella ricerca delle soluzioni. Bene anche
lui è cambiato e ha molto più entusiasmo di me.
Alcune incomprensioni mi hanno dato modo di definire un po’
di “regole” di buona convivenza.
Quasi quasi me le segno così da non dover gridare la
prossima volta.
Dovremo entrambi trovare, inoltre, spazio per lo studio, ma,
mentre io vedrò di incastrarlo nei momenti di pausa, mio figlio ha altre idee
in merito. Oggi è stato molto esplicito come al solito: di leggere o fare i
compiti non se ne parla. La serata è finalmente silenziosa. Un grillo
nonostante l’affollamento trova il coraggio per fare il suo verso. Il campeggio
rimane illuminato quasi un accampamento di qualche secolo fa. Le poche luci
sembrano sostituire le torce di un tempo. Il buia la fa da padrone. Voci si
levano dall’oscurità, si avvicinano, a volte materializzandosi in ombre
frettolose, altre volte passano invisibili, scomparendo nel buio, come quei
meteoriti che sfiorano la terra senza colpirla.
Ora, penso , potei fare mille cose ancora. Potrei continuare
a scrivere o aprire uno dei tanti libri che mi sono portato appresso. Il
silenzio mi ha rasserenato. Mio figlio si è addormentato dopo qualche salto sul
letto. Me lo aveva chiesto come ultimo desiderio prima di addormentarsi. “Va
bene “, ho risposto, sicuro che, in ogni caso, i salti non sarebbero durati per
molto.
I grilli si stanno moltiplicando. Finito lo spettacolo
dell’orchestra degli uomini, il loro frinire ha occupato la ribalta del
palcoscenico. L’approccio è molto più misurato, rispettoso, di certo molto più
magico.
martedì 7 agosto 2012
Alex
Si contano sulle dita di una mano gli atleti, scoperti
dopati dai controlli antidoping, capaci di ammettere in pubblico il proprio
errore e la loro debolezza.
In questi ultimi anni, le commissioni giudicanti, hanno accettato le più squallide giustificazioni che raccontavano talvolta di complotti e altre volte di caramelle accettate incautamente da sconosciuti.
Molti atleti, appartenenti spesso agli sporti cosidetti "potenti", l'hanno fatta franca, scontando pene estremamente lievi.
In questi ultimi anni, le commissioni giudicanti, hanno accettato le più squallide giustificazioni che raccontavano talvolta di complotti e altre volte di caramelle accettate incautamente da sconosciuti.
Molti atleti, appartenenti spesso agli sporti cosidetti "potenti", l'hanno fatta franca, scontando pene estremamente lievi.
Il doping è una pratica infame, ma il non tener conto dell’ammissione
di colpa di Alex sia, per certi versi, altrettanto infame. Pensando al gesto, mi
è sembrato di vedere un ladro che, dopo un furto, lascia il suo biglietto da
visita, nel desiderio di essere smascherato e curato per quel vizio tanto
deprecabile.
Alex non ne poteva più di marciare, già da tempo. Nessuno lo
ha aiutato a smettere e, forse inconsciamente, lui ha trovato il modo per
uscire definitivamente di scena.
Alex non va dimenticato, anzi andrà aiutato e affiancato da
persone vere e sincere. Non abbiamo bisogno di altre storie tristi, simili a quella di Marco
Pantani.
Con pazienza e dopo una giusta pena, potrà nuovamente
riassaporare, se vorrà, la voglia di ritornare a marciare a 4' e 20" al km.
Curiosity
C’è un che di organico nella modalità in cui si è svolta la
missione di Curiosity. Mi ricorda il primo viaggio di un bambino a cui i genitori
hanno impartito tutte le istruzioni
necessarie a raggiungere per bene la destinazione, sapendo di non poterlo
accompagnare nell’ultimo tratto.
Anche questa complessa astronave può essere considerato una sorta
di figlio dell’uomo. Un figlio della scienza e della sete di conoscenza,
appartenente ad una nuova generazione di macchine “pensanti” capaci di mettere
a frutto, magari ampliandole, le conoscenze, l’imprinting trasmesso dall’uomo.
Controllarne remotamente, da Terra la discesa, era precluso
dalle leggi della fisica. Servivano minuti per poter trasmettere un singolo
comando, mentre durante la discesa sono stati centinaia al secondo le decisioni
da prendere per poter stabilizzare in continuazione il sistema, centrando con
precisione il cratere Gale.
Quanto bastava a compiere questa serie di complesse
operazioni, era tra le conoscenze già a
bordo e, durante l’avvicinamento, gli occhi di “Curiosity” si sono
continuamente misurati con lo spazio circostante, valutando la velocità e la posizione dell’astronave.
La fase di atterraggio non è stata governata da una sequenza
temporizzata di comandi. La capacità autonoma di apprendere e misurarsi con l’ambiente
esterno ha permesso all’astronave di correggere in continuazione tutti i parametri
di volo, attivando al momento più giusto le operazione fondamentali.
Chissà cosa direbbe Alan Turing, uno dei padri dell'informatica e ideatore del Test di Turing, nell’ammirare un comportamento tanto
intelligente di una macchina. Chissà se un uomo avrebbe fatto meglio ?
Con questa missione si è aperta una fase nuova dei viaggi e
dell’esplorazione spaziale. Volendo si può identificare nel Pathfinder, piccolo robot esploratore di Marte, il precursore
di questa nuova generazione di macchine. Si tratta di sistemi autonomi e capaci
di padroneggiare gran parte delle
funzionalità di base, rispondendo a richieste provenienti dalla terra molto
simili a degli obiettivi di progetto.
Nei prossimi decenni compariranno sistemi molto più capaci
dell’uomo sia di esplorare l’immensamente grande quanto di avventurarsi nell’estremamente
piccolo con il compito di curare e correggere potenziali cause di malattie.
lunedì 30 luglio 2012
Obiettivi
L’Olimpiade è un palcoscenico unico per gli sport minori, di
norma bistrattati e dimenticati dai circuiti mediatici del profitto ma anche l’occasioni
per scoprire storie e personaggi certamente non comuni.
Nei primi due giorni mi ha molto impressionato come si è
sviluppata la competizione a squadre del tiro con l’arco. Italia e Stati Uniti si sono contesi alla
fine la medaglia olimpica.
Si potrebbe discutere sulle apparenze, quali i chili di
troppo della squadra italiana messi a confronto con i fisici perfetti degli
americani. Di certo in uno sport dove il rilascio dell’arco debba tener conto
dell’impercettibile spostamento indotto dal battito cardiaco, una massa maggiore
forse garantisce una maggiore stabilità.
Non è facile mirare un bersaglio di 12 cm posto a 70 metri.
L’Italia, che aveva condotto con un discreto margine l’intera
gara, si è trovata raggiunta nell’ultima sessione di tiri.
Giunti all’ultima freccia, la situazione era la seguente :
Stati Uniti : 218
Italia : 109
L’ultimo tiratore Italiano, per portare a casa la vittoria,
doveva fare il massimo del punteggio.
Si trattava di una situazione di stress unica, nemmeno
paragonabile alla tensione che può prendere chi, nel calcio, si trovi a tirare
l’ultimo rigore decisivo, alla finale del campionato mondiale. In quel
frangente si può decidere di tirare di precisione o affidarsi alla potenza,
quasi chiudendo gli occhi.
Ma centrare un piccolo bersaglio a 70 metri non ammette
opzioni di sorta. Si deve avere la
capacità di isolarsi, concentrarsi sull’obiettivo e controllare le emozioni.
Anche il minimo tremolio può portare a risultati catastrofici. Il cuore tutto
può fare, meno che accelerare i battiti.
Insomma una situazione non
comune, per persone non comuni.
Alla fine l’ultimo arciere italiano è riuscito nell’impresa. Controllando l’enorme pressione emotiva, ha
centrato l’unico risultato possibile, quel il 10 che ha garantito la medaglia olimpica.
Mi piacerebbe conoscere come è riuscito a concentrarsi in quei momenti determinanti senza farsi travolgere
dall’emozione. Sarebbe un’utile lezione.
domenica 22 luglio 2012
Parametri Macchina
Pressione Massima 103
Pressione Minima 66
Frequenza cardiaca 48
Non controllo regolarmente la pressione come un tempo. Il mio ritmo di vita non è cambiato. La mia dieta nemmeno, limitata dalla mia poca propensione a cucinare. Tra le varie “cure di se”, forse la cucina è quella a cui tengo meno. Passo attraverso, forse è meglio dire corro, pranzi preparati in modo veloce, spesso uguali, dettati più dall’esigenza “ di sopravvivere” che da quella del piacere di stare a tavola.
In questi anni mi sono ricreduto in molte cose. Il mondo che pensavo “o bianco o nero” sta assumendo una varietà di colori e sfumature impensabili solo qualche mese fa. Cose che detestavo ora mi appassionano e cerco di evitare “esecuzioni sommarie” con giudizi affrettati.
Quindi penso di avere ancora tempo e possibilità per imparare a cucinare e a fare cose che oggi non considero importanti. Procedendo un passo alla volta senza forzare si va molto lontano. La voglia non manca e a volte basta solo saper cogliere il momento giusto.
I parametri macchina, pigri, di stamattina, mi hanno messo di buon umore. Il cuore non si sta affannando e il suo lento pulsare è indice di tranquillità, nonostante le poche ore di sonno. Gli ultimi controlli hanno dato tutti esito positivo e le date delle nuove verifiche sono quasi tutte previste per l’anno a venire. Quasi come una persona normale.
Solo per l’ICD, nonostante i collegamenti settimanali, è previsto il “tagliando “ annuale ad ogni settembre. In quanto macchina autonoma ha i propri ritmi di manutenzione avulsi dai miei ritmi biologici. Ha un ciclo di vita (Lifecicle) diverso, prendendo a prestito termini da altre discipline.
Le visite cardiologiche, gli ECG, le ecografie sono solo gli esami universitari. Verificano se puoi andare avanti senza problemi. L’importante è aver imparato, è aver studiato. Quindi come è importante studiare con regolarità e altrettanto importante vivere con altrettanta regolarità, senza strappi e la voglia di un tempo di dimostrare di non essere cambiato, nonostante la malattia. Sono cambiato e la malattia è stata di sicuro il cambiamento più meccanico. Impresa più difficile è stata prenderne coscienza, assieme agli altri cambiamenti della mia vita. Ho imparato a affrontare gli scossoni che la vita impone, accettandoli senza troppi se o ma, cercando di adeguarmi in fretta come fanno gli ammortizzatori dell’auto con una strada connessa.
Però la strada rimane sconnessa, per certi tratti quasi intransitabile, devo dire la verità. Per il mondo che mi circonda i momenti di tranquillità non sono molti. I passi di cui parlavo prima, sovente, devono accorciarsi di molto per permettere di procedere. Ora si va di nuovo piano, sperando di arrivare in fretta alla sommità della forcella per intraprendere la discesa.
domenica 15 luglio 2012
La scintilla
La porta finestra che guarda a tramontana è lasciata aperta di proposito. Entra un’aria fresca, quasi fuori stagione. La coperta ci sta bene e trasmette un senso di tepore e protezione quasi materno. Qui il temporale, arrivato d’improvviso verso le cinque, è durato meno di 10 minuti. In quel breve lasso di tempo si sono visti vento, grandine e pioggia. Terminata la sfuriata, il calore del marciapiede di fronte a casa, in pochi minuti, aveva fatto evaporare quel po’ di pioggia caduta quasi fosse di passaggio.
Ma il fresco stasera è arrivato per conto proprio. Mio padre diceva in occasioni simili :
“In montagna deve aver fatto maltempo “, sentendo l’aria fresca, quasi montanara.
Ho passato la serata con il desiderio di mettere ordine. Ordine alla casa ma anche ordine dentro. Il silenzio ci sta tutto anche se diversamente da altre volte mi circonda un velo di nostalgia. Mio figlio stasera mi ha salutato, tornando a casa dopo un po’ di giorni passati assieme. Il saluto, a cui in parte sono abituato, mi sembra ancora qualcosa di innaturale.
Come in altre occasioni, senza scrollare le spalle, mi affido al tempo, al lento cambiare delle cose e dell’animo. Pur confidando nel continuo evolversi della vita sono convinto che solo le scintille improvvise, le passioni intense, possano far cambiare veramente la vita.
Accompagnare lentamente lo scorrere lento del tempo serve solo a guarire dai dolori della vita.
Oggi una persona rimasta da poco sola, mi parlava di quanto la sera la avvicini alla solitudine. L’ho rincuorata dicendole che anche alla solitudine ci si abitua. Può diventare l’occasione e lo stimolo per reinventarsi, senza ricominciare, la semplice possibilità di guardare avanti. Pensavo alla sua storia e mi chiedevo se avesse qualche rimpianto, pensando a quanto avrebbe potuto fare per ritardare la solitudine e le serate diventate improvvisamente fredde e silenziose.
Ho rimesso ordine alle tante cose fatte in questi giorni. Ho ripensato ai sentimenti , alle emozioni intense, ai sospiri di sollievo dopo una grande paura, alle motivazioni rinnovate, alle amicizie vere, finendo per rimettere un po’ di ordine anche alle spese fatte senza verificare la salute del conto in banca.
I soldi, mi dico da un po’, non sono un problema, se servono a star bene e a far star bene. Per il momento non chiedo di più.
Ogni tanto, la domenica sera, osservo quel modem che sta sul comodino che appena dopo la mezzanotte a mia insaputa recupererà quanto registrato dall’ICD durante l’ultima settimana. E’ come se ogni Domenica notte annotassi su un diario quanti fatto negli ultimi sette giorni. A pensarci bene non tutti hanno questo privilegio e chissà se un giorno potrò curiosarci dentro.
Il travaso dei dati è talmente preciso e puntuale da essermi diventato indifferente.
La porta aperta continua a far passare un fresco sempre più frizzante. Verso le undici di sera immancabilmente si attiva l’irrigazione del giardino vicino. Dura un’ora, appena dopo mezzanotte, termina e restituisce il silenzio. Da lontano arriva la musica di una Band che suona in una delle tante feste dedicate a ortaggi, birra, estate e altro ancora. Non ne distinguo il genere. I suoni arrivano ovattati e cupi, non mi incuriosiscono.
Tra qualche minuto chiuderò fuori il fresco e tutti i rumori di una notte d’estate senza scintille.
C’è ancora tempo e forse tra poco squilla il telefono o arriva un messaggio….
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