venerdì 21 maggio 2010

Dolan Springs

Dolan Springs sta sulla strada che porta al Gran Canyon.
S’incontra nel percorrere la Co Hwy 25, quando le indicazioni dicono che mancano circa cinquanta miglia al Gran Canyon Ovest e allo Skywalk, terrazza con vista sul precipizio e sul fiume Colorado.
Nel percorrere la strada diritta e poco frequentata, si è circondati dal deserto, piatto ma bordato da monti deserti quanto e più della pianura, dove sembra che l’albero sia stato dimenticato da Dio.
Cactus prima bassi, poi sempre più altri fanno cambiare il panorama circostante. Forse la dimensione dei cactus ha una qualche relazione con la presenza di acqua. Questo penso ma mi chiedo anche se ci sia e quanta acqua possa esserci in quel posto.
Assieme ai cactus fiori bianchi e gialli si mescolano ad arbusti bassi, verdi appena a certificare la vita.
La strada è monotona e larga, mi domando a cosa servano i limiti di velocità ogni tanto segnalati e quale sia il motivo della loro variazione. Si passa da un limite di sessantacinque Mph a cinquantacinque poi qualche volta a quarantacinque. Chissà perché ma il loro rispetto da un po’ di vitalità al viaggio.
Pian piano cominciano ad apparire lontano delle macchie bianche, non sono rocce, non sono piante.  Avvicinandosi  individuo in quelle forme delle case. Case nella prateria le definisco io memore di un film che vedevo con piacere quando ero più giovane.

Case sì, ma nel deserto che si estendono su un’area grande distanti una dall’altra, lontane dalla strada principale raggiungibili attraverso strade bianche che si infilano tra i cactus.  Niente di tutto ciò ha la parvenza di un paese, ma di un vivere solitario, per scelta facendo chissà che cosa.
Sul bordo delle strade s’incontrano grappoli di cassette della posta appartenenti a chi abita all’interno, case difficili da raggiungere da qualsiasi postino.  E’ curioso vederle, cosi lontane dai proprietari, incustodite sul bordo di una strada. Penso al mio blackberry che porto sempre con me, più di cose più care e importanti. Penso al mio continuo consultarlo in attesa di chissà che messaggio.
Ma lo scorrere della strada evidenzia via via un numero di case sempre maggiore. Nell’osservare le più vicine alla strada si nota che per la maggior parte sono prefabbricate, basse, a volte mal tenute.
Altre volte invece sono delle roulotte e qualcosa di simile a container lunghi e stretti. La sensazione che trasmettono è di povertà, valutate secondo i nostri metri, ma voglio credere che invece sia indifferenza al superfluo da parte di quelle persone che in qualche modo hanno scelto un ambiente così ostile ove vivere.
Non c’è anima viva all’esterno, ma le macchine parcheggiate in prossimità delle case danno la conferma che là in quelle case qualcuno ci sia. Le macchine spesso sono meno disadorne delle case, pulite, spesso grandi Suv o Pick up. Insomma nelle macchine c’è quella ricchezza che nelle case manca.
A guardarlo tutto questo con la mia cultura sarei indotto a dire di essere di fronte a un popolo  nomade, perché dalle mie parti queste sono situazioni che ritrovo in quelle popolazioni.
Mi chiedo, considerando i luoghi, considerando le distanze, come facciano a vivere e cosa possano fare per guadagnarsi da vivere gli abitanti di quei luoghi. Confesso che non trovo una risposta. Penso a militari in missione in giro per il mondo o ad altre attività che richiedano lunghi periodi di permanenza lontano.  Qualche attività a supporto della vita locale s’intuisce ma non così marcata da giustificare una grande occupazione.
Sicuramente qui per vivere ci vuole poco anche perché c’è poco. Las Vegas però è a circa 100 Miglia.
Poi compare il nome del paese, dai bordi della strada spariscono i cactus e appaiono spiazzi appartenenti a case o  attività lavorative.
Nel breve volgere di un paio di miglia si manifestano tre chiese, appartenenti a religioni diverse.  A una di queste, riesco a identificare il centro del paese, anche perché circondata da una sorta di quartiere e da qualche negozio.
Le chiese sono invece ben finite, fresche di colore, con un po’ di giardino attorno.  Dietro a una di queste si nota un piccolo parco giochi per i bimbi, del tutto simile ai nostri con scivoli e altalene.
Più in là ecco apparire l’insegna di un B&B e di fronte l’insegna di un ristorante. In entrambi i casi, gli edifici sono del tutto disadorni, dove le insegne sono state fatte a mano con pennello e colore. Non c’è ombra di design, marketing o altre strategie commerciali. Condivisibile, trattasi di mercato chiuso, la c’è solo quello, chi vuole fermarsi quello trova e l'insegna serve solo a essere individuati non a vincere la concorrenza.
Ci si ferma al ristorante, da fuori sembra una baracca, forse lo è. Si entra e veniamo accolti da una signora sui quaranta,  bionda , minuta. Il locale è vuoto.  A guardarlo sembra una normale casa con cucina sul retro, solo cinque piccoli tavoli in una stanza e la pubblicità di una bevanda sul muro sono tipici di un luogo pubblico.
Sul muro ci sono un paio di vecchie foto in bianco e nero, forse si tratta di antenati, sono molto belle
Si ordina da un menu sufficientemente ricco. Io ordino un’insalata con uova e formaggio. La signora prende le ordinazioni, ci porta da bere, poi lavora per un  po’ in cucina. La vedo passare con un uovo sodo in mano.
Intanto mi guardo un po’ in giro. Sono incuriosito da quel luogo. Una bacheca riporta alcuni avvisi. Uno di questi reclamizza una casa in vendita. Il messaggio suona circa in questo modo: “ Vivendo nel deserto, casa in vendita ai piedi del monte Tipton”, le foto della casa sull’avviso mostrano un edificio nuovo, carino.  Qualcuno ha poi scritto il prezzo sul  quella carta : 130.000 $. “Caspita” , penso ,  “alla faccia dell’essenzialità. “
I piatti arrivano in poco tempo. Sono ben preparati e appetitosi. Mangio con gusto sorseggiando la birra.
Nel mentre entra nel locale una signora con due figli, di cui uno in culla. Arriva con un SUV enorme, da come si muove sembra essere comproprietaria o conoscere molto bene il locale . Dal retro arrivano voci e risate
La signora non perde tempo e ci porta il conto: 17 dollari. Ordiniamo il caffè e al momento di pagare non lo aggiunge al conto.
Gentilezza pura, lei sa che non ci rivedrà mai più e questo  mi fa apprezzare ancora di più il gesto.
Si riprende la strada, solita solfa, case sempre più rade, che lasciano il passo a cactus sempre più fitti.
Pian piano il deserto ritorna deserto e anche la vegetazione diventa sempre più povera. Dolan Springs s’intravvede da lontano. Adesso che lo conosco, intravvedo da lontano la macchia delle case che ho appena attraversato.
L a strada girà poi a destra, indicazione Las Vegas. A meno di cento miglia altre sono le dimensioni, altre sono le realtà, dove il superfluo diventa essenza di vita.

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