domenica 14 ottobre 2018

I Muri

"Ho incontrato parecchi muri in vita mia e adesso so che quasi sempre rappresentano soltanto pubblicità ingannevole. Una rivelazione camuffata da sconfitta. Una svolta cruciale che ti appare come un colpo di sfortuna. Oltre ai muri che il destino ci piazza davanti spesso si nascondono paesaggi stupendi."

M. Cacciatori, Senza Rete, Macerata, RoiEdizioni, 2018, p.30

sabato 23 giugno 2018

Note


In queste mattine di Giugno mi sveglio presto, prestissimo, in tempo, se mi affaccio in giardino, per sbirciare, tra le mura e le siepi, le prime luci dell'alba.
Tornato a letto, osservo la luce entrare dalla porta che guarda a tramontana. La lascio aperta per assaporare il fresco del mattino.
Nei fine settimana, verso le cinque e venti, mi alzo e indossati i panni del runner di un tempo, esco a camminare. Parto senza fretta, dopo aver avviato il cronometro, a cui non so rinunciare.
Il paese dista poco più di un chilometro e mentre mi avvicino spedito alle prime case, mi sento avvolto dal profumo dolce che arriva dalla pasticceria che sta sulla strada. Alle cinque e mezza è già aperta. Fermo il cronometro, entro. A quell'ora, il bancone, ancora sguarnito, ospita poche paste. Non c'è l'imbarazzo della scelta. Le brioches sono calde, a volte bollenti, ma portano dentro il sapore della primizia. Le accompagno con un caffè, preso più per vizio che per svegliarmi. Riprendo il cammino e in breve sono sull'argine del fiume.
Osservo le montagne lontane non ancora illuminate dal sole.
Stamattina mentre le guardavo, mi sembravano più amiche del solito e brillavano di una luce particolare, simile a quella che ritrovi negli sguardi d'intesa.

giovedì 24 maggio 2018

Dialogo

Oggi con la scuola siamo andati a visitare un museo dell’Hard Rock a Venezia. In realtà è un ristorante.”
Ti avranno parlato dei Led Zeppelin!”
Si”
E dei Pink Floyd ?”
Si, uno schifo”
Ma come uno schifo! E dei Beatles ? Non possono aver tralasciato i Beatles!”
Anche”
"E dei Rolling Stones?"
"Si, ma non mi interessa!"
".... e che tutto è cominciato con Elvis Presley?"
"Si"
E di Bruce Springsteen ?”
No, Non hanno detto niente”
Pensa,... se ti avessero parlato di Bruce Springsteen avresti potuto dire: Io l’ho visto due anni fa, a Roma, quando avevo 11 anni! ... Io c’ero!”
Non mi è piaciuto!”
Lo so, mi hai fatto perdere le ultime tre canzoni del concerto!”

lunedì 7 maggio 2018

Innamorarsi è come prendere l’influenza, succede

Forse dipende anche dai periodi della vita,
c'è un periodo in cui uno si innamora più facilmente
e poi amarsi è già più difficile
volersi bene poi è tutta una impresa
e non a caso c'è il verbo "volere"
che implica una dato, di volerlo, di disciplina.
Sai, innamorarsi succede, come prendere l'influenza
è più piacevole, è più energetico
però non è che ti ci impegni tanto, succede.
Per il resto, costruire degli affetti è molto più esigente.

Emma Bonino
Lievito Madre -le ragazze dell'altro secolo.

martedì 1 maggio 2018

IPOD Playlist

E ho guardato dentro un'emozione 
e ci ho visto dentro tanto amore 
che ho capito perché non si comanda al cuore

E va bene così 
senza parole 
senza parole 

Senza parole - Vasco

lunedì 16 aprile 2018

Il copertone


La prima maratona, preparata con molta approssimazione, la corsi l’11 ottobre del 1992. In quegli anni, ci si poteva iscrivere senza appartenere ad alcuna società. Bastava essere in regola con il certificato medico agonistico.
Ottenere il certificato di idoneità agonistica non era per me un passatempo, non perché fossi afflitto da qualche tipo di patologia, ma soprattutto perché ero letteralmente terrorizzato dalla paura che mi fosse diagnosticato un qualche tipo di patologia cardiaca. Probabilmente già a quei tempi avevo delle premonizioni.
Quella maratona si svolse per i primi venti chilometri sotto una pioggia battente. Cercai di non strafare, impostai una andatura che avrebbe dovuto portarmi al traguardo intorno alle 3 ore e 10 minuti.
In effetti terminai in 3 ore e 17 minuti, a causa di un piccolo cedimento nei chilometri finali. Per uno alla prima esperienza era un buonissimo risultato.
Finita la prima maratona, cominciai a pensare immediatamente alla successiva, proponendomi di abbassare il tempo, ma soprattutto puntando ad attaccare il muro delle 3 ore. Le tre ore per molti maratoneti amatoriali è letteralmente un muro. Separa l'eccellenza dalla massa, quelli che corrono da quelli che si trascinano.  
L’impresa non poteva però essere improvvisata. Ci voleva una preparazione programmata e, nonostante inframmezzassi la corsa con letture specifiche sulle metodologie di allenamento, decisi di affidarmi a un allenatore.
Mi affidai a un mio conoscente, da sempre nel mondo dell’atletica e allenatore di una società del mio paese che faceva base nel campo di atletica vicino a casa.. La società non prevedeva le categorie amatoriale e fu così che fui tesserato come “seniores”. A quei tempi ci scherzavo con colleghi e amici dicendo che avrei potuto partecipare alle olimpiadi.
Ma un seniores che si rispetti doveva seguire un allenamento rigoroso e così una sera, terminato il periodo di riposo dopo la prima maratona, passando per la pista di atletica, l’allenatore mi fornì le tanto desiderate tabelle.
Il programma prevedeva un misto di allenamenti qualificabili come “fondo lento”, per curare la resistenza, accompagnati da quelli che erano definiti “fondo medio”, che puntavano a migliorare la velocità di base, che consistevano nel percorrere un diecimila a un ritmo più veloce del ritmo gara. Il piatto forte erano però le ripetute, corse da un chilometro da percorrere a velocità sostenuta, da ripetere dopo un recupero di circa 4 minuti. Il carico di lavoro era crescente: si cominciava con cinque ripetute per arrivare a quindici dopo dieci settimane, aggiungendone una alla settimana. Questo allenamento, una vera e propria tortura sia fisica che psicologica, lo effettuavo il sabato mattina in un circuito misurato.  Unico sollievo… finirle.
Le tabelle prevedevano tre settimane di “carico”, in cui gli allenamenti andavano effettuati completamente, seguite da una settimana di “scarico” in cui tutto andava svolto al cinquanta percento. Al termine del periodo di scarico si poteva programmare una gara per verificare i progressi ottenuti.
L'obiettivo era una maratona in primavera, quella di Torino, il 25 Aprile 1993, era la più probabile.
Nel programma erano previsti, inoltre, tutta una serie di esercizi che avevano il compito di potenziare i muscoli. Si andava da esercizi a terra che eseguivo in sala da pranzo la sera, fino ad arrivare a una serie di salti e balzi che effettuavo lungo il circuito delle ripetute.
Tra gli esercizi di potenziamento c’era anche il “traino del pneumatico”.
In pratica mi procurai un pneumatico di automobile dismesso e 20 metri di corda. Legato saldamente il pneumatico a un capo della corda, mi legavo all'altezza della vita l'altra estremità. La cosa era molto grezza e artigianale ma svolgeva efficacemente il compito di offrire resistenza alla corsa. Partivo più o meno all'altezza del cancello di casa e correvo come fossi alla finale dei cento metri fino all'inizio della vigna che stava circa 100 metri più in là. Le prime ripetute erano accompagnate da un senso di euforia e da una sensazione di potenza, ma dopo le prime cinque o sei arrivavo alla vigna con il cuore in gola, come si suol dire “impiccato”. La stradina era poco frequentata , ma quelle poche volte in cui passava un'auto cercavo di occultare tra l'erba il pneumatico anche se non mi slegavo. Insomma mi nascondevo ma non troppo.
In genere ripetevo l'esercizio una decina di volte, poi slegatomi, dopo aver recuperato, mi facevo un giro degli impianti sportivi ad andatura lenta.
Ma la cosa non passò inosservata  e un paio di anni fa, passati quindici anni, rincontrando alcuni amici a  una corsa ciclistica in paese, uno di questi, ricordando i tempi passati, mi disse:
“Ti ricordi quando ti allenavi con il copertone lungo la strada sterrata di casa tua ?, Ne parlavo qualche giorno fa con mia moglie, eri un grande!”.
Io lo guardai in parte stupito, perché erano anni che non ripensavo a quella corda e a quel pneumatico che probabilmente è ancora in qualche angolo nella casa in cui abitavo.

giovedì 12 aprile 2018

La rete della memoria


Mia nonna Ginevra (la Noemi), era del 1906. Mia nonna Rosa (la Rosina), era del 1890. La Noemi, dalla parte di mia madre, ebbe quattro figli. La Rosina, mia nonna paterna, partorì 12 figli. Di entrambe ricordo l'anno di nascita e so che una delle due era nata il 12 Aprile.
Oggi cercavo di ricordare quale delle due fosse. Pur intrecciando vari ricordi della mia vita, non sono riuscito a determinare di chi fosse oggi il compleanno.
Ricordo di aver festeggiato una sola volta il compleanno di una delle due, ma senza rammentare il giorno.
Poi, per un attimo, assorto in questi pensieri, di fronte al computer, sono stato colto dall'istinto di aprire la pagina di Google per porre la domanda, come ormai faccio ormai istintivamente quando cerco o non ricordo qualcosa.
“Ma cosa sto facendo e pensando?“, dissi tra me e me, allontanando le mani dalla tastiera e dal mouse, allibito da quanto quel comportamento fosse diventato automatico.
Non tutto e non tutti stanno nella rete, realizzai con un senso di sollievo e l'essere dimenticati è un nostro diritto.

sabato 31 marzo 2018

Le strane telefonate


Qualche anno fa non era insolito dire:
“Sai, ho visto uno un po' strano, .. un matto , che parlava da solo. Vedessi come gesticolava e parlava a voce alta. Chissà con chi ce l'aveva “. La cosa ci faceva sorridere, li osservavamo incuriositi dalla loro stranezza e dalla foga che mettevano in quel loro dialogo con chissà chi.
Di quelli conosciuti si narravano storie quasi sempre tristi:
“Quella signora dopo che gli è morto il figlio non è più la stessa. Quando passa la senti parlare da sola a voce alta, … mi fa una pena”.
Oppure : “Vedi quell'uomo che parla da solo ? Fino a sedici anni era un ragazzo normale, lo conoscevo, poi si è ammalato e da quel momento non si è più ripreso. Adesso è in cura”.
Erano etichettati, quei personaggi un po' strampalati, come delle persone tranquille, incomprese, perdute com'erano in quel loro mondo a noi sconosciuto, spesso doloroso. Vestivano quasi sempre in modo dimesso, se non addirittura trasandato.
Poi questi "matti" diventarono sempre più frequenti. Cominciarono a vestire elegante. Non di rado ci si imbatteva in signori distinti, in giacca e cravatta, tutti intenti a parlare, gesticolando come se volessero modellare quella realtà di cui stavano discutendo su un immaginario pezzo di creta.
Erano arrivati i cellulari, con loro tutti i loro accessori. Per telefonare non era più necessario tenere il telefono vicino all'orecchio, come da sempre si faceva con il telefono fisso. Gli auricolari permettevano di tenerlo nascosto potendo essere liberi di muoversi e allo stesso tempo parlare.
La telefonata perse la sua funzione originale di comunicazione a distanza per diventare un modo di socializzare, parlare con qualcun altro, come se lo stessimo incontrando al tavolo di un bar o nel salotto di casa.
Telefonando oggi, si può fare di tutto: lavorare, guidare, passeggiare, viaggiare senza che questo possa in qualche modo condizionare e limitare i movimenti. Gli auricolari sono diventati sempre più piccoli, senza fili, quasi spariscono all'interno dell'orecchio.
E' cambiata la percezione della privacy e fanno tenerezza oggi, le cabine telefoniche di una volta, tanto discrete e rispettose, mentre non è raro ascoltare, soprattutto nei mezzi pubblici, persone parlare al telefono di fatti privati.
Quelle persone che un tempo definivamo “strani”, hanno perso la loro originalità. Sono molti coloro che, oggigiorno, sembrano parlare da soli e non sorprende più quello strano modo di fare.
Ieri mattina stavo passeggiando da più di un'ora. Il rettilineo che stavo percorrendo era come al solito deserto. Ogni tanto incrociavo altri camminatori o runner che sbucavano dalle strade laterali. Sono solito salutare incrociando i loro sguardi. Quando, invece, vedo qualcuno più avanti, nella mia stessa direzione, immancabilmente sono sono preso dalla frenesia di raggiungerlo e superarlo.
Se trovo un seppur minima occasione per competere non me la lascio scappare.
Mente camminavo di buona lena, sbucò da una strada laterale un uomo. Inizialmente lo classificai come uno dei tanti camminatori, anche se il suo passo era tutt'altro che spedito. Per un po' venne in senso contrario al mio poi, improvvisamente, tornò indietro. Quando fui sufficientemente vicino sentii che stava parlando animatamente a voce alta. Accelerai, e in poco tempo lo raggiunsi. Istintivamente pensai che stesse telefonando. Rallentai, con lo sguardo cercai di scorgere, senza successo, il telefono o gli auricolari. Quando girò per la strada da cui era sbucato, ebbi l'opportunità di guardare meglio. Nessun telefono, nessun auricolare.
Pensai stupito: “Parlava veramente da solo!”, e ne rimasi quasi sorpreso, come se avessi scoperto uno degli ultimi esemplari di una specie in via di estinzione.
“E se stessero pure loro telefonando?”, pensai colto da un dubbio fulmineo.
“E' se la loro mente fosse dotata di capacità non comuni capaci di comunicare con mondi a noi sconosciuti”, continuai a chiedermi.

Improvvisante quelle persone ben vestite, gesticolanti, dotate di cellulari di ultima generazione, connessi a reti senza fili mi sono sembrate limitate, sommerse dalla complessità, incapaci di sognare o sfiorare per qualche istante la follia.
Insomma gli “strani” erano loro.

mercoledì 14 marzo 2018

IPOD Playlist

E tu come stai?
E ti capita mai
Di stare fermo senza respirare?
Per vedere com'è il mondo senza di te
Per sapere se esiste qualcuno
Che ti viene a cercare
Perché a te ci tiene
Per gridarti: Io ti voglio bene
Per gridarti: Io ti voglio bene

Ragazzini per strada - Jovanotti