domenica 31 luglio 2011

Il passo in avanti

Quello che nel corso della nostra vita ci colpisce in maniera negativa sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista affettivo ci trova sempre, inevitabilmente, impreparati.

Non siamo mai nella condizione di perdere una bastonata o perlomeno, fino all'ultimo istante, speriamo di evitarla, credendola destinata ad altri.
Le “bastonate”, le delusioni, le malattie, arrivano in ogni caso, senza che noi possiamo fare niente per ritardare o deviare il loro corso.
Quello che ci resta da fare, dopo aver raccolto i cocci e averli ricomposti alla meglio, è riprendere la strada, adagio, un passo alla volta.
La fretta in questi casi è una cattiva consigliera, le cicatrici, specie quelle dell'animo, sono le più difficili da curare.

L'accettazione di ciò che ci ha colpito può essere un lungo e difficile cammino, fatto di silenzi, di pensieri, di rabbia e di paure.

Ogni tanto si fa un passo in avanti che sembra farci intravvedere il fondo del tunnel.
Riprendiamo, così, un po' di vigore, desiderosi di fare altri progressi, magari forzando il ritmo.
I passi non sono sempre uguali e il fondo del percorso, talvolta, è accidentato.

Tanto maggiore è la fatica nell'andare avanti, tanto necessario è chiederci se la strada intrapresa porti veramente dove vogliamo andare.
Forzare il passo, per andare contro qualcuno, generalmente presenta un conto salato.
Forzare il passo, senza convinzione, perché ce lo suggerisce qualcuno, autorevole o meno che sia, porta solo a rimpianti.

Fermarsi a riflettere, mettendo da parte la rabbia e la delusione, aiuta a rimettere in ordine ciò che veramente è importante.
Alzando gli occhi e restando in silenzio ad ascoltare quello che arriva dritto dal nostro cuore, può aiutare a  scoprire che, la retta via è appena pochi passi più in là.

sabato 30 luglio 2011

IPOD Playlist

Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui
e ad ogni sosta c'era sempre qualcuno
e quasi sempre tu hai provato a parlare
ma non sentiva nessuno

e ti sei data ti sei presa qualche cosa chissà
ma le parole che ti sono avanzate
sono finite tutte nella valigia
e li ci sono restate

e le tue gambe andavano sempre
sono sempre più adagio
e le tue braccia reggevano a stento
il peso della valigia 



Il peso della valigia - Ligabue

La Fortuna

“Diamine !”, esclamò (in giapponese) il responsabile dell'azienda che curava la manutenzione della Centrale Nucleare di Fukushima, “La centrale non era stata progettata per sopportare un sisma di tale violenza !”, mentre leggeva i valori di radioattività che uscivano dai reattori, ormai fuori controllo.

Nessuno infatti avrebbe mai immaginato che, analizzati i dati storici, un sisma di così inaudita potenza avrebbe mai colpito le coste orientali del Giappone.

Se l'incidente della centrale di Cernobyl aveva messo a nudo il basso livello di sicurezza, dovuto in gran parte all'obsolescenza, delle Centrali dell'ex Unione Sovietica, nessuno nutriva, invece, sospetti sulla affidabilità delle Centrali costruite in Giappone, paese tecnologicamente leader a livello mondiale.

Però, purtroppo, i tempi di evoluzione dei movimenti della crosta terrestre, che si sviluppano su periodi misurabili in migliaia di anni, sono andati a incrociare con la vita, di certo non superiore ai cento anni, di una piccola centrale nucleare costruita dall'uomo.
Se lo stesso sisma si fosse verificato, anche tra meno di 50 anni, che niente sono per la vita del nostro pianeta, forse l'effetto sarebbe stato minimo o addirittura nullo.

Abbiamo avuto una bella dose di sfiga !”, obiettò, sempre in giapponese, il solito esperto di centrali.

La centrale era tra le più sicure, dotata di tutti i sistemi di controllo più sofisticati e soprattutto completamente ridondati. Uno o più guasti contemporanei non potevano pregiudicare il funzionamento o il controllo della centrale.

Insomma i parametri di costruzione erano stati tra i più rigorosi, tanto da non generare alcun dubbio sulla sicurezza.

La ridondanza e la possibilità di sostituzione a caldo, cioè senza il fermare gli impianti, dei componenti guasti è una delle tante regole seguite dai progettisti dei sistemi più disparati.

Mettere in sicurezza” un qualsiasi sistema, sia questo una centrale nucleare o un computer di vitale importanza, significa progettare secondo metodologie e tecnologie capaci di garantire il funzionamento continuo, anche a fronte di guasti di una o più componenti.

Un altro esempio di sistema ad alta affidabilità è la rete Internet, che ormai collega e mette in comunicazione ogni parte del pianeta.
Le connessioni che uniscono i vari punti della rete sono sempre progettate per non interrompersi mai.
Nella maggioranza dei casi i collegamenti si snodano attraverso percorsi completamente diversi, utilizzando tra l'altro, dispositivi diversi.
Ad esempio la connessione tra Londra e New York è fatta attraverso fasci di fibre ottiche che attraversano l'Oceano Atlantico. Nel caso si interrompesse questo collegamento, la rete troverebbe di sicuro un percorso alternativo, magari passando per Tokyo e questo in pochi secondi, senza che gli eventuali utilizzatori impattati dal guasto, si accorgano di quanto sta succedendo.

Nonostante tutto però non è cosi rado verificare mancati collegamenti, inspiegabili conoscendo il disegno della rete.
Spesso le spiegazioni rasentano il ridicolo o narrano di concomitanze di eventi che nessuna mente razionale avrebbe mai potuto considerare durante la fase di progettazione.

Abbiamo avuto una bella dose di sfortuna”, così si giustificano, il più delle volte, i vari responsabili di rete.

Nel mondo dell'Informatica, la “Messa in Sicurezza” dei sistemi mira, tra le altre cose, a costruire reti di computer capaci di non fermarsi mai, accorrendo gli uni in soccorso di altri affetti da guasti, senza che questo comporti l'interruzione dei servizi erogati.
Anche in questo caso si parla di ridondanza delle componenti e diversificazione dei collegamenti, utilizzando, se possibile, tecnologie completamente diverse tra loro.
Più alto è il livello di sicurezza che si desidera ottenere, più alti sono normalmente i costi e più alta la complessità che, per contro si ottiene.
Quest'ultima, conseguenza della necessità di alta affidabilità è allo stesso tempo garante di continuità di servizio ma, anche uno degli anelli deboli della sicurezza. Infatti, è noto che, più sono le componenti costituenti un sistema, più alta è la probabilità che uno o più di questi si possano guastare.

Quindi non è raro avere una rete di computer bloccata e verificare con sgomento, che la maggiore responsabile del disservizio è la complessità determinata dalla Messa in Sicurezza.

Sistemi spesso “non sicuri” ma più semplici, funzionano con più continuità per anni a dispetto degli alti investimenti in tecnologie e ridondanza.

Il guasto è stato determinato anche da una buona dose di sfortuna!. Più eventi eccezionali si sono verificati contemporaneamente”, dicono, spesso anche in  Italiano, i tecnici responsabili delle reti di computer, a giustificazione di inspiegabili blocchi.

Quindi non esistono sistemi sicuri e affidabili al 100%, qualcosa può sempre bloccarli e non è pensabile di progettarli capaci di sopportare qualsiasi guasto o evento naturale.
Non basta la ridondanza e nemmeno le tecnologie più avanzate.
Il più delle volte si tratta di avere un po' di fortuna, come si intuisce dalle spiegazioni dei tecnici e degli specialisti.
Esatto La Fortuna, alla fine si cade sempre là.
A dire la verità sembra l'unica componente non ridondata. Spesso manca quando servirebbe, probabilmente perché impegnata su mille fronti nello stesso momento.

La Fortuna è il vero Single Point of Failure(*) del nostro mondo.

Io su Google non ho trovato riferimenti a riguardo, per verificarne la disponibilità in caso di eventi importanti.
L'unico che ho trovato è nella foto a lato, ma non credo possa essere di molto aiuto.


(*)
In un sistema informatico il single point of failure, letteralmente singolo punto di vulnerabilità, è una sua univoca componente (hardware o software) che in caso di malfunzionamento o anomalia causa disfunzione dell'intero sistema.

Single Point of Failure

mercoledì 27 luglio 2011

Nel dubbio .....

Oggi sono salito con un amico al Rifugio Galassi.
Appena parcheggiata la macchina e prima di iniziare la salita, dopo averci pensato un po', ho detto :

“Se lungo il percorso mi succedesse qualcosa o svenissi, devi sapere che io sono un portatore di defibrillatore “.

Un po' sorpreso, l'amico mi ha chiesto :
“Dove ce l'hai? Nello zaino ?”,

“No, è impiantato sotto la clavicola sinistra. Nel portafoglio ho un cartellino con i dati più importanti”.

“C'è scritto anche chi devo chiamare ?”, si preoccupò di chiedermi.

“In ogni caso chiama il 118”, gli risposi.

Terminata l'ascesa al rifugio, osservando la piazzola per l'atterraggio degli elicotteri di soccorso, con un tono che tradiva un certo sollievo, mi ha rassicurato dicendo:

“Vedi, c'è pure la piazzola per l'elicottero. Per fortuna non abbiamo avuto bisogno di chiamare il 118 !”

L'ascesa al Rifugio, partendo dal versante di San Vito di Cadore, era andata molto bene, fatta tutta di un fiato, senza soste e sotto il sole.
Abbiamo pranzato con calma, mentre fuori imperversava il temporale.

Appena l'acquazzone ha attenuato la sua violenza, siamo scesi sotto una pioggia leggera.

La vedetta di Forcella Piccola

Lassù a Forcella Piccola tra l'Antelao e le Marmarole, a 2120 metri di altezza, si trova una galleria scavata nella roccia che porta a un punto di vedetta, un foro da cui si può controllare un lungo tratto del sentiero che sale sul lato della montagna.
Poco lontano, un centinaio di metri più a valle, la caserma, diventata Rifugio Galassi, era la base da cui salivano i soldati a quel freddo posto di guardia.
Questo succedeva ai tempi del primo conflitto mondiale del secolo scorso.

lunedì 25 luglio 2011

Luglio 1984

Nel 1984 i condizionatori erano ancora un lusso. Pur essendo già installati in molte abitazioni, non avevano ancora raggiunto la diffusione dei nostri giorni anche a causa dei prezzi ancora poco accessibili ai più.

Il caldo di quei tempi non era dissimile da quello dei nostri giorni, anche se molti, oggi dicono che negli ultimi anni le temperature si siano innalzate e di conseguenza anche l'estate sia diventata ancora più torrida.

Tutti hanno un po' di ragione, ma ventisette anni fa, il rimedio più comune al caldo era spostarsi verso il fresco dei monti poco distanti oppure, quando ciò non era possibile, soffrendo un po', si sopportava l'afa, attendendo con ansia il refrigerio temporaneo di un temporale o le prime notti fresche di agosto.
Si applicavano, a quei tempi, una sorta di rimedi naturali ,diversamente da oggi che tendiamo a fare una vita sigillata, in parte passata dentro casa e in parte dentro alle auto, sempre rigorosamente “chiusi dentro”, temendo di farci scappare quel fresco artificiosamente prodotto.

C'erano poi le mezze misure, i piccoli espedienti per racimolare dei momenti di fresco, frequentando luoghi particolari dove solitamente un filo di vento si trovava sempre.

Dalle mie parti, Fusina era uno di questi.
Fusina si trova sulla laguna di Venezia. E' uno dei punti della terra ferma da cui si possono prendere i mezzi per raggiungere Venezia e altri punti della Laguna.
Si trova nelle vicinanze di una centrale elettrica e ai margini di Porto Marghera. Da quelle parti, nei pressi di un camping c'è, ancor oggi, un piccolo spiazzo verde che si affaccia sulla Laguna, meglio , che si affaccia sul “Canale dei Petroli”, percorso quotidianamente da navi di ogni stazza,
Questo piccolo prato verde ha il pregio, anche nelle sere d'estate più calde, di offrire un po' di refrigerio grazie a una brezza fresca che non manca mai.
Da li si può ammirare Venezia e il suo Porto e le isole del Lido e Pelestrina.
Volgendo, poi, lo sguardo a Sud si possono notare le luci di Chioggia.

Allora, come credo ancor oggi, rumori sordi annunciavano il passaggio di navi lungo il canale prospiciente. Era uno spettacolo vedere quei giganti del mare transitare lenti, tanto vicini da poterli quasi toccare, chiudendo per un po' il sipario sulla Laguna.

Così nelle sere d'estate più afose, quando il caldo sembrava insopportabile, si prendeva la macchina e raggiunta Fusina si stava la, ad ammirare la Laguna, godendo di quella brezza fino a tarda ora.
Molti erano coloro che passavano di là, alcuni arrivavano muniti di sedie, altri, invece, paseggiavano su e giù fermandosi di tanto in tanto a guardare il panorama pieno di luci.
Anche a tarda ora i canali, delimitati dalla Bricole, erano solcati da motoscafi e barche di ogni tipo, che sbucavano nel buio, preannunciate dal rumore dei motori.

Quella domenica 22 luglio del 1984, come altre volte, usando, chissà perchè, la Fiat 126 al posto della più confortevole Renault 5, si andò a prendere un po' di fresco da quelle parti.
Macchina e le strade un po' sconnesse non permisero un viaggio confortevole.

Due giorni dopo, era la notte di martedì 24, cominciarono le prime doglie, all'inizio rade poi sempre più frequenti.
Verso l'una decidemmo di andare all'ospedale. L'attesa durò fino alle 7 del mattino, quando nacque il mio primo figlio.

Quel viaggio un po' scomodo, in cerca del fresco, pensai in seguito, forse aveva anticipato la nascita.

Camping dei Fiori




domenica 24 luglio 2011

Piazzola A 128

La vacanza passata qua, presso la Piazzola A 128, volge al termine.
E' stata una “Prima” per me e per mio figlio. Un periodo vissuto assieme, come mai era successo.

E' andata meglio di quanto potessi pensare. Il tempo è scivolato via senza le ansie del voler fare troppo, e nemmeno il vuoto dettato dal non saper cosa fare. Qualcosa da fare c'è sempre stato, fosse anche il semplice raccontarmi o il chiedere continuo, pieno di curiosità, del bambino.
Raccontare ha significato, soprattutto farmi conoscere da mio figlio, che sa poco di me, di quello che ho fatto e di quello che faccio. Ora siamo un po' più famiglia e questo è un grande risultato. 
I figli sono sempre interessati alle storie raccontate dai genitori, siano queste vere o inventate, non sapendo ancora dividere il vero dal sogno.

Per contro lui non mi ha mai chiesto di tornare a casa, piantandomi in asso, fatto salvo un leggero cedimento questa sera, vigilia della partenza.

La situazione non permetteva distrazioni. Io non dovevo perderlo d'occhio, qui nessuno poteva darmi il cambio.
Ci è voluta pazienza per incastrare, sempre uniti : il gioco, la piscina, il mare e tutte le attività collaterali come la pulizia, la preparazione del pranzo e altro ancora.
Prima toccava a lui, poi io seguivo a ruota, ma lui doveva aspettarmi.
Il campeggio fungeva un po' da recinto, garantendogli la libertà per girovagare, talvolta, senza il mio guinzaglio.

Della roulotte ricordo in modo particolare uno spigolo contro il quale ho continuato a rompermi la testa, i tanti piatti e pentole da lavare dopo ogni pasto, e la difficoltà che incontravo per connettermi a Internet.
Per sintonizzarmi su una velocità decente ho spesso eseguito rituali strani, portando il Tablet, che fungeva da antenna, a zonzo nei dintorni della Piazzola, per verificare la potenza del segnale. Una situazione simile alla scena del film “Il ciclone”, quando cercavano di sintonizzare il segnale video.
Da me non sono arrivate pero ballerine di flamenco a risolvere, miracolosamente il problema, ma alla fine ho trovato una posizione dove, una volta su due, si poteva navigare velocemente.

Le notti sono state strane, percorse da pensieri e ripensamenti. Ho preso decisioni di ogni tipo per poi rivederle in parte o completamente la notte successiva. E' stato, però, l'unico momento personale della mia vacanza.

Oggi mi chiedevo se questa è un'esperienza che rifarei. La risposta è stata“mi piacerebbe”, anche nel caso che, da qui alla prossima volta, possano cambiare le condizioni a contorno della mia vita.


E' come se avessi aggiunto un altro solido masso per completare l'attraversamento del guado che impegna oggi molte delle mie energie.


Il mio mondo personale ne è rimasto fuori. Solo il lavoro qualche volta si è fatto sentire. La vacanza è come una nave che pian piano ti porta lontano dal porto, che rappresenta la vita quotidiana, e quindi anche dal lavoro. Dopo qualche giorno si è talmente lontani, che la riva non si vede più e anche il lavoro non sembra più così importante come all'inizio.

Il resto della mia vita, durante questi giorni, nonostante qualche momento di cedimento, è stata volutamente messa un po' da parte.
E' preferibile che rimanga ancora un po' nel cassetto, è molto più faticosa della vita in campeggio e, soprattutto, ci sono molti più spigoli di quanti ce ne siano in una roulotte.

sabato 23 luglio 2011

Miss Campeggio 2011

Il 1994 fu, per la mia carriera di podista l'anno migliore. Anche se, già alla maratona di Venezia, corsa nell'ottobre del 1993, riuscii a classificarmi 381esimo, scendendo sotto lil muro delle tre ore, l'anno successivo decisi di aumentare l'impegno e il tempo dedicato all'allenamento, con l'obiettivo di migliorarmi.
Le tabelle di allenamento che il mio allenatore mi consegnò per la preparazione invernale, anche dopo 17 anni, non esito a definirle massacranti.

Poche furono le occasioni in cui riuscii a rispettarle, facendo tutto ciò che era previsto. Quello che mi mandava particolarmente in crisi erano le sedute dedicate alla prove ripetute, a cui arrivavo mentalmente già provato, pensando alla fatica che mi aspettava.

Nonostante tutto riuscii a migliorare il tempo nella mezza maratona, correndo a febbraio in 1h 21' 01'', facendo poi seguire una serie di prestazioni sugli stessi livelli fino a ai primi di maggio.
Finita la stagione delle mezze maratone, dopo un breve periodo di riposo, cominciai la preparazione alla maratona di Venezia. Avevo tutta l'estate a disposizione.
Le tabelle di allenamento rimasero le stesse, come pure la fatica sia fisica che psicologica.
L'obiettivo era quello di scendere sotto le 2h e 50'.

Quando tutto sembrava filare per il verso giusto, durante la visita per l'abilitazione all'attività agonistica, comparvero un paio di extrasistoli durante la prova sotto sforzo. Già a quei tempi il mio cuore faceva a volte le bizze !

Mi rimandarono a casa con una lista di controlli da fare, ma soprattutto non mi diedero il certificato.
Tutto accadde a Settembre. Quindi, un mese prima della maratona, rimasi fermo per quindici giorni, il tempo che ci volle per fare tutti gli accertamenti previsti.

A fine mese, mi rassicurarono che non c'era nulla di cui preoccuparsi, consegnandomi il certificato, ma ormai la gara era prossima e quindici giorni di allenamento erano andati perduti.
Corsi comunque la maratona, che terminai tre ore esatte, ma per me, finì al 32esimo km, quando entrai in crisi e dovetti rallentare. Ero passato in 1h e 25' a metà gara e in 2h e 01' ai 30 km.
L'obiettivo sembrava possibile ma, purtroppo, mi mancava la preparazione per percorrere gli ultimi 12 km.

Dimenticai l'esperienza e, dopo qualche giorno di riposo, ripresi gli allenamenti, abbandonando temporaneamente le tabelle. Correvo seguendo le mie sensazioni, alternando allenamenti veloci con altri più lenti e più lunghi.
Fu cosi' che, dopo quindici giorni pensai di iscrivermi alla “Non Competitiva “ che si svolgeva al mio paese, come ogni anno, alla fine di ottobre.
La partenza avvenne come una gara vera, con tanto di sparo e, appena partito capii che le gambe giravano alla grande. Mi sembrava di volare e, quando deviai per il percorso dei 12 km, mi ritrovai davanti la moto apripista.
Solo in quel momento capii di essere davanti a tutti.
Percorsi il resto della gara cercando di non voltarmi mai, chiedendo di tanto in tanto a quello della moto, se qualcuno, da dietro, mi stesse rimontando.
“Nessuno “, mi ripeteva il pilota, “il secondo è molto lontano”, mi rassicurava quando un rettilineo garantiva sufficiente visuale.

Quando arrivai, l'altoparlante annunciò : “ Ecco il vincitore della gara dei 12 km!”.
Tagliai il traguardo di slancio. Avrei potuto fare ancora molti km con la stessa lena.

Quella fu la mia prima e unica vittoria, tra l'altro colta in una gara “non competitiva”, ma ha per me un significato particolare, per cui la ricordo sempre con piacere.
Esistono i grandi traguardi, quelli olimpici destinati a pochi, ma per tutti gli altri, che olimpionici non diventeranno mai, ci sono mille occasioni per poter vivere soddisfazioni, assolutamente non paragonabili, ma capaci all'interno di un mondo più circoscritto e meno competitivo, di dare motivazioni e voglia di impegnarsi per migliorare.
Questo vale per tutti gli aspetti della vita, non solo per lo sport.

Il mondo dei secondi, dei terzi e di tutti coloro che seguono è un universo dimenticato, dove la differenza tra la gloria e la frustrazione si misura spesso in decimi di secondo oppure pochi centimetri.
Perdere di vista la vetta, a favore di sentieri comunque di uguale bellezza, può dare l'opportunità di scoprire un mondo altrettanto ricco e appagante.

Questo mi è tornato alla mente stasera, mentre assistevo al concorso che eleggeva Miss Campeggio 2011.

Piazzola A 128

La boa di salvataggio ha fatto carriera .
Da semplice ormeggio immobile a supporto del nuotatore inesperto ma incosciente del pericolo, sono diventato una piattaforma mobile a supporto dei tuffi .
Ebbene si, scovando da non so che angolo nascosto del mio fisico, mi sono ritrovato capace di apnee sorprendentemente lunghe.
Sopra la mia schiena, promossa a piattaforma di lancio, il piccolo saliva e scendeva a piacimento, incurante di quanta aria utile avessero a disposizione i miei polmoni, lanciandosi in tuffi di pregevole fattura.
Naturalmente tanto più forte era lo slancio verso l'alto del bambino, tanto più accentuato era il mio sprofondare.

Solo in un paio di situazioni mi sono ritrovato a respirare con le branchie, non avendo ancora raggiunto la superficie, ma le situazioni critiche sono state superate con qualche colpo di tosse liberatorio.

L'esercizio di apnea, chiamiamolo pure così, si è protratto per una buona mezz'ora.
Come per la corsa, dove mi sembra di essere sempre allenato, anche in questo caso mi sono riscoperto più delfino di quanto potessi pensare, con doti di apnea mai possedute prima.

Non ho avuto modo e tempo di rimuginare attorno a questa situazione, ho solo constatato con stupore queste capacità tenute gelosamente nascoste per molti anni.
A volte , in situazioni simili a questa, mi ritrovo a paragonarmi a un lavandino finalmente sturato.

Tra un tuffo e l'altro, mio figlio mi ha chiesto perché ho una cicatrice sul petto.

“Mi hanno messo una macchinetta che controlla il mio cuore”, gli ho risposto.
“Così non cadi più ?”, mi ha chiesto, forse ricordando di avermi visto svenuto per terra.

La curiosità gli ha fatto vincere un po di timore, così ha voluto verificare l'esistenza di quella macchinetta capace di non far cadere più suo padre.

La piattaforma mobile, ha chiuso la serata con una grappa :”duretta e a temperatura ambiente”, così è stata tecnicamente definita dal barman.

giovedì 21 luglio 2011

L'aquilone


Una specie di scossone lo risvegliò di soprassalto. Stava dormendo quel sonno di cui solo i giocattoli sono dotati.
Tutti i giocattoli infatti, hanno il privilegio di destarsi ogni qual volta le mani di un bimbo li afferrino, portandoli con se o, estraendoli dalle confezioni, appena nuovi, o prelevandoli da scatole colme di altri simili, per farli diventare ispiratori di fantasie e giochi ogni volta diversi.
Quando un giocattolo entra a far parte di un gioco acquista una vitalità che solo gli occhi di coloro che sanno viaggiare sulle ali della fantasia possono percepire.
Questo privilegio di poter vivere solo la parte bella della vita, cadendo in una sorta di letargo quando invece si è messi in disparte, è una caratteristica che gli uomini da sempre invidiano ai giocattoli.
Quest'ultimi sono dotati di una sorta di immortalità fatta di giorni passati al centro dell'attenzione e di notti di durata indefinibile, dove il sonno lenisce ogni dolore determinato dall'indifferenza e dall'essere dimenticati, ritornando uno dei tanti dentro la scatola dei balocchi. .
Per i giochi il tempo scorre secondo ritmi che gli uomini nemmeno sanno immaginare, presi come sono nel rincorrere sogni vuoti di qualsiasi fantasia e immaginazione.

Gli scossoni non erano radi da un po' di tempo a questa parte. Da quando era uscito dal negozio dietro la chiesa, dove dormiva da tempo indefinito, si era risvegliato, pieno di voglia di fare, più di una volta e in qualche occasione gli era successo di sentirsi vivo come da molti suoi simili aveva sentito raccontare.

Infatti era stato estratto, da mani attente, dalla custodia che gli serviva da giaciglio e, dopo qualche minuto, aveva visto le ali tendersi pronte a cogliere anche la più debole brezza.
Anche il timone posteriore, pur non esteso, aveva messo tutta la stoffa di cui era fatto, a disposizione del vento, sostenendo inoltre, le tre lunghe code colorate che avevano il compito di stabilizzare il volo.
Quando, finiti tutti i preparativi, si era sentito pian piano alzare dal vento, volando sempre più in alto, aveva esclamato guardando il mondo allontanarsi :

“ Che bella la vita e che bello il mondo visto da quassù!”

Qualche decina di metri sotto di lui, le mani di un bimbo lo guidavano con l'ansia di chi ha paura di vedere spezzarsi il filo, ma anche con lo stupore e la voglia di volare sempre più in alto come se il filo non dovesse finire mai.
Aquilone e bimbo avevano gli stessi desideri : non dividersi mai, volando sempre più in alto.
Prima di quel giorno i voli erano stati brevi. L'ansia di chi teneva il filo riportava a terra quelle ali da sogno dopo pochi minuti, rimettendo tutto, con cura, nella custodia–giaciglio. Il povero aquilone, desideroso di librarsi ancora nel cielo, era preso dallo sconforto. Dopo poco, però, il torpore e il “Sonno dei giocattoli” lo portava con se fuori dal tempo, dissolvendo ogni tristezza.

Quel giorno invece, di nuovo in riva al mare, stese nuovamente le ali, il vento lo sollevò in un batter di ciglia, il più in alto possibile.
Le mani del bimbo, rassicurate dalle esperienze precedenti, lasciarono che quelle ali salissero come mai prima d'ora, srotolando per intero il gomitolo di filo e, come succede per molte unioni solide e mature, nemmeno gli balenò nella mente la possibilità che il filo potesse spezzarsi.

L'aquilone, quando capì che nessuno lo avrebbe riportato a terra di li a poco, cominciò a guardare lontano come non aveva fatto mai e capì che, al di là del mare poteva intravvedere le coste di terre lontane.

“Un giorno avrò un filo lungo abbastanza per attraversare il mare ! “ , fantasticò aguzzando la vista.

Se poi alzava gli occhi, vedeva le strisce bianche lasciate dagli aerei che volavano lontano. Mai prima di allora aveva avuto il tempo di notarle.

“Un giorno avrò filo lungo abbastanza per volare con gli aeroplani ! “, si ripromise cercando di capire quanto più in alto fossero.
A terra il bimbo, seguendolo senza perderlo di vista per un momento, fantasticava su ciò che da quella altezza avrebbe potuto vedere.

“Avessi filo a sufficienza lo farei sfrecciare in gara con gli aerei !”, pensava guardano le stesse strisce bianche che avevano incuriosito l'aquilone.

Poi sentendo rinforzare il vento, sognava di volare appeso a quelle ali così resistenti, verso le terre lontane che sicuramente si trovavano al di la del mare

Il sogno e la fantasia correvano lungo quel filo che univa i sogni del bimbo con il mondo fantastico dell'aquilone e, strano a dirsi, erano del tutto simili.

Intanto il tempo passava, il vento soffiava forte senza pausa. L'aquilone sembrava immobile, quasi incollato al cielo.
Quando gli succedeva di perdere quota, era preso dalla paura di precipitare inesorabilmente a terra. Ma con un po' di esperienza aveva imparato ad osservare le onde del mare. Se le notava più bianche e schiumose sapeva che, di li a poco, la stessa brezza, che in quel momento le spingeva con forza verso l'arenile, sarebbe salita fin lassù a spingere le sue ali, riportandolo in alto.

Passò gran parte del pomeriggio, sogni e orizzonti cambiarono sia per chi stava volando sia per chi volare avrebbe voluto. A un certo punto il bimbo, appagato da quel viaggio fantastico, cominciò a recuperare pian piano il filo. In alto i piccoli strappi furono percepiti senza patemi e così, gli oggetti di sotto cominciarono a diventare sempre più grandi.
Per l'aquilone il giorno era stato lungo abbastanza e, come succede a ogni bimbo, a un certo punto non c'è sogno o gioco che sconfigga il sonno e il riposo.
L'aquilone, pur cercando di volare fino all'ultimo metro, come un cagnolino che non accetta il richiamo del guinzaglio, quando si ritrovò dentro alla custodia non ebbe modo di farsi prendere dalla tristezza.
Il “Sonno dei giocattoli” lo prese con se, portandolo al di là del tempo.

martedì 19 luglio 2011

Piazzola A 128

Mentre svolgevo le mie funzioni di boa di salvataggio, riflettevo sulla metamorfosi di questo ultimo mese.
Complice il caldo e un po' di fiacca, sono passato da aspirante maratoneta, con tempi intorno alle 4 ore, a boa di salvataggio a supporto di un figlio troppo sicuro di se.


Nel controllare le mosse del bimbo, mi è pure tornata alla mente la sorte del baccalà, pure lui destinato, prima di finire in pentola, ad almeno una notte di ammollo, al fine da renderlo morbido, da secco e stecchito qual'era.


Chissà se lo stare in ammollo mi farà diventare più morbido e malleabile.
Ma ripensando alla sorte del baccalà, ricordo pure, che, prima di finire a bagno-maria, veniva ben bene percosso.


A dirla tutta, ultimamente qualche botta, ben assestata l'ho ricevuta.


Vedremo il prosieguo della storia.

lunedì 18 luglio 2011

Piazzola A 128

Qua tutto è sempre uguale e tutto cambia in continuazione. Il panorama dalla Piazzola è sempre lo stesso : roulotte, tende o camper. Durante gli ultimi tre giorni, tanti ne sono passati da quando sono arrivato, qui attorno sono cambiati tutti i “vicini”. Una roulotte ha lasciato il posto a una pressoché identica, mentre di fronte tende hanno preso il posto di camper e viceversa. Le persone invece sono tutte diverse.
Il ritmo del cambiamento sembra guidato da una torre di controllo.
Un campeggiatore parte, svuotando di ogni cosa lo spazio che occupava e, di li a poco, un nuovo arrivato è già li sul posto a montare tende, verande e collegare prese e tubi di ogni genere.
Gli stranieri vanno per la maggiore. Molti si qualificano issando da qualche parte la bandiera nazionale o addirittura regionale, manifestando il loro spirito di appartenenza.
Insomma è difficile per tutti staccare il filo che riporta a casa.
Per ciò che mi riguarda, il GPS dice che sono a 32 KM da casa ma non per questo non mi sento in vacanza.



Ci sono piscine per tutte le “tasche”. Dai neonati fino ai provetti nuotatori. Con mio figlio sto ripercorrendo il percorso della crescita e, partito cauto da quella per neonati solo ieri, già oggi siamo entrambi in quella da provetti nuotatori, cioè quella più profonda.
Con stupore ho notato che mio figlio “galleggia”. Lasciato andare, non affonda, anzi ha una confidenza con l'acqua che non conoscevo. Riesce ad avanzare con movimenti goffi, quindi se in difficoltà raggiunge con facilità il bordo vasca.
Io vicino a lui svolgo funzioni di boa di salvataggio, pronto a prestare soccorso in ogni momento.




I campeggiatori non vivono di caccia. Questo gli animali del posto l'hanno capito ormai da molto.
Vivono e vagano liberi condividendo spazi e naturalmente cibo con i turisti.
Non è rado vedere lepri, tortore, picchi che vagano all'interno della piazzola incuranti dei presenti, scegliendo, secondo l'istinto ciò che di buono è stato lasciato cadere.
Non si sono verificati ancora furti di cestini della merenda, ma in questo caso per cercare  il colpevole si andrebbe a colpo sicuro.




domenica 17 luglio 2011

Piazzola A 128

La piazzola A 128 è coperta da una rete metallica abbastanza stretta che certo peggiora già il debole segnale che la rete Vodafone propaga su questi lidi. Accedere a Internet usando la l'antenna del tablet è, quasi sempre, un esercizio di pazienza.
La velocità con cui si può navigare è riconducibile ai tempi dei modem analogici a 14.400 bits/s. Come stare fermi.
In ogni caso con perseveranza e lunghi tempi di attesa si riesce a vedere quello che serve.

Ci sono poi, dei momenti o delle posizioni o dei rituali, ma giuro non l'ho ancora scoperto, che la velocità si posiziona sulla H di “High speed” e tutto appare veloce come a casa.
Quando la velocità invece è bassa, per rivedere la tasto sospirata “H”, vago con il Tablet in mano attorno alla roulotte, cercando il segnale buono o un punto baciato dalla fortuna. Di solito, purtroppo, torno quasi sempre rassegnato a navigare a passo d'uomo.
Tutto ciò ha vanificato i miei progetti di seguire via web le tappe del tour, troppo lenta la comunicazione che invece va veloce quando i corridori dormono. Non mi restava che ritornare alla sempre affidabile e onnipresente radio.
Ieri in occasione della seconda tappa pirenaica, sintonizzato su Rai Radio 1, ho potuto seguire la radiocronaca dell'inviato.
A supportarlo da studio c'era anche Gianni Bugno, campione degli anni 90.
Le radiocronache sono sicuramente diverse dalle telecronache dove spesso le immagini possono sopperire a quello che non viene detto. Un telecronista può omettere delle informazioni importanti, anche il nome di un ciclista o, quanto meno, lo può dare in un momento diverso.
Un radiocronista deve descrivere, non commentare, e per lui la precisione delle informazioni diventa molto importante.

Ieri, quando le fasi della corsa sono diventate più concitate e gli scatti dei protagonisti si susseguivano uno dietro l'altro, il povero radiocronista si è trovato travolto da quella sequela di nomi lussemburghesi, australiani, francesi, belgi e spagnoli e per qualche decina di secondi ha perso il filo della telecronaca.
Quando la situazione poteva diventare imbarazzante e nessuno dava più credito a quanto sentiva arrivare dalla Francia un tocco di surrealismo ha fatto sognare tutto per un momento :

“Ed ecco lo scatto di Gianni Bugno. Si, Bugno al comando del migliori !”, ha commentato l'inviato Rai.

Nessuno da studio, nemmeno il diretto interessato, forse comodamente seduto davanti alla tv, ha voluto correggere il povero radiocronista oramai nel pallone.
Quella frase aveva riportato indietro tutti di vent'anni, quando Gianni Bugno era uno dei migliori del plotone, ma soprattutto quando tutti avevano giusto venti anni di meno.
Sentirlo uscire dalla radio ha accresciuto la credibilità della situazione, come avessimo tutti  viaggiato, per qualche secondo, all'interno della macchina del tempo.

Piazzola A 128

La bici è stata un'ottima idea. Abbrevia le distanze tra la piazzola e i servizi del villaggio. Ci si può muovere per fare la spesa come si fosse a casa, muniti di sporte e lista di ciò che serve.
A piedi in ogni caso si può far tutto e, anche se qui il tempo sembra scorrere più lentamente, bisogna organizzarsi per non dover fare le cose a pezzi, spostandosi in continuazione.
La situazione è simile a quando mi dovevo muovere senza macchina. La distanza tra il dire e il fare era necessariamente più ampia, perché la velocità di esecuzione era più lenta.
La lentezza è un toccasana, sia nei movimenti che nella comunicazione. Spesso nelle relazioni la distanza tra il dire e il fare dovrebbe essere grande abbastanza per permettere di pensare.

La possibilità di poter contattare chiunque in ogni luogo e in qualsiasi momento è di sicuro una grande possibilità ma anche un grande limite. L'immediatezza della comunicazione ci porta a dire e fare cose di cui qualche volta dobbiamo pentirci.
Ci fosse qualche barriera, oltre alla ragione che non sempre è all'altezza, a frenare l'impulsività, avremmo l'opportunità di riflettere, calmarci e concludere che in fin dei conti ciò che dovevamo dire non era così importante o che il destinatario non meritava simili attenzioni.

Dare la giusta velocità alla vita, alle relazioni e a tutto ciò che facciamo è impresa non da poco.
Quello che in realtà succede è qualcosa di molto simile a certe code che sperimentiamo sulla strada. Per certi tratti si viaggia veloci, poi inspiegabilmente si torna a passo d'uomo e spesso si è costretti a restare fermi per diversi minuti.

Nella vita, in certi peridi andiamo a mille e siamo pervasi da un'energia straripante, mentre di li a poco ci troviamo in riserva e bisognosi di una sorta di ristoro e recupero. Purtroppo quando si va a mille si è portati a trascurare la riflessione e diventiamo spesso superficiali e poco attenti, mentre, quando ci si trova per i più svariati motivi, siano questi di salute, di lavoro o sentimentali, a dover rallentare ecco che il mondo diventa immensamente grande.
Acquistiamo, in questo caso, una sensibilità capace di percepire anche i più flebili segnali, mentre i nostri occhi guardano il mondo con delle lenti capaci di ingrandire le cose più piccole.
Ci è difficile capire mentre andiamo veloci che stiamo esagerando prima di dover essere costretti a fermarci a riflettere.

Cosa fare per intraprendere una strada senza code schizofreniche ?

Rendere al vita un po' varia, come in un viaggio in cui ci si possa fermare a vedere panorami diversi e sempre nuovi, arricchendola di interessi sempre nuovi evitando di piombare nel vortice della corsa forsennata verso obiettivi che poi si rivelano dei miraggi.

Piazzola A 128


Note 

Dopo una assurda caduta in bicicletta, ora mi ritrovo con le ginocchia sbucciate più dei bambini che sfrecciano sicuri tra le viuzze del campeggio

Ieri sera, assistendo al karaoke, mi era venuta l'idea di esibirmi. Ma nel pensare alla canzone che avrei potuto richiedere, mi venivano alla mente solo canzoni tristi. Per non rovinare la serata a tutti i presenti ho rimandato il debutto.

Oggi Domenica, sono pervaso dalla stessa speranza che avevo da piccolo, quando ero in colonia : forse oggi qualcuno passa a trovarci.

Devo convincere mio figlio che il mare è a pochi passi da qui.

sabato 16 luglio 2011

IPOD Playlist

Certi amori regalano
un'emozione per sempre
momenti che restano così
impressi nella mente
Certi amori ti lasciano
una canzone per sempre
parole che restano così
nel cuore della gente



Un'emozione per sempre - Eros Ramazzotti 

venerdì 15 luglio 2011

Stasera si respira

Mi manca il termometro della carrozzeria di là della strada a confortarmi sulla temperatura, ma come si dice in queste situazioni : 
“Stasera si respira”.
Si respira l'aria del mare che sta a cento metri da qua. Venendo quà ho lasciato a rumoreggiare sulla provinciale tutti i motori a cui pensavo di essere diventato insensibile.

I rumori di questa mia prima serata, nella piazzola A n. 128, sono i ritmo lontano della musica, il fruscio delle bici e quello più rotolante dei monopattini usati dai più piccoli.
Ci sono i grilli, ci sono le voci della gente, seduta sotto verande dalle mille forme e colori, illuminate da luci che qualche volta ricordano le decorazioni natalizie, mentre altre sono talmente fioche da risultare quasi delle segnali di ingombro, una sorta di linee di confine tre le piazzole.

Come succede spesso in questi casi, qualche pezzo talmente comune da passare inosservato è rimasto a casa.
Così ho portato il caffè ma non la caffettiera e nemmeno lo zucchero.
Non ho niente per scolare la verdura, tanto che per risolvere il problema ho fatto roteare lo scolapasta con dentro la verdura.

Domani rifaccio l'appello e prendo le poche cose veramente indispensabili, per il resto qualche piccola scomodità di certo non guasta.
E' la mia prima sera in roulotte, si sta bene. Si ha la sensazione di stare come a casa senza portarsi appresso le stanze.

Stasera la luna piena stava pochi centimetri al di sopra del mare e sembrava poterci cadere dentro da un momento all'altro, come quegli aquiloni che non riescono a prendere quota e il vento buono. Il cielo era ancora chiaro, la spiaggia era vuota.
Ho rivolto lo sguardo a destra sapendo che da quella parte c'e Venezia.
Domani, serata del Redentore. Chissà se verso il tardi , volgendo lo sguardo da quella parte, si noteranno i bagliori dei fuochi

mercoledì 13 luglio 2011

Quanti i mondi possibili ?

Seduto sulla scalinata della facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Parma osservavo, vicino a mio figlio piccolo, l'andirivieni di persone e di studenti.

Al piccolo avevo spiegato che quella era una scuola e che suo fratello era lì per fare un esame.

“Papà, che cos'è un'esame ?”, chiese immediatamente,
“Un verifica che serve per capire se hai imparato quello che dovevi studiare” ,
“Vedi quella ragazza con quell'enorme libro ?”,
“Lo ha letto e studiato tutto”.

Di meglio i quel momento non riuscii a fare. Poi il discorso divenne più semplice quando l'obiettivo si spostò sul capire quante fossero le pagine dell'enorme libro. La stima grossolana di 400 pagine bastò a calmare la curiosità del bambino.

Poi il ragazzino cominciò a sfogare la sua esuberanza mettendosi a correre e a salire ripetutamente la scalinata.
Intanto i giovani entravano e uscivano, era giorno di esami e di lauree.

Molti sostavano pure loro sulle scale, armeggiavano sui telefonini spedendo, suppongo, risultati e voti a parenti e amici. Spesso fumavano nervosamente.

La curiosità di mio figlio si risvegliò quando, dopo aver visto passare una signora di una certa età, chiese :
“Ma se questa è una scuola perché ci va anche quella vecchia signora?”,
“In questa scuola ci si può iscrivere sempre, a qualsiasi eta”, spiegai.
“Forse", aggiunsi, "quella signora è un insegnante”.
La cosa terminò così, senza altri approfondimenti

A un certo punto, un capannello di quattro ragazze si raccolse poco lontano da me, stavano aspettando che un loro amico discutesse la tesi di laurea.

Non potevo non ascoltare i lori discorsi, e prestai ancor più attenzione quando una di loro esordi dicendo :
“Io accendo il computer solo perché devo iscrivermi agli esami, altrimenti faccio tranquillamente a meno di Internet “

“Anche a me non interessa internet, uso a malapena Word per scrivere”, disse un'altra che le stava di fianco.

A quel punto una ragazza bruna, che stava con loro, in apparenza distratta da altri pensieri, disse ;
“Io ho provato a fare ricerche su internet, ma mi arrabbiavo quando non trovavo quello che volevo, così ho lasciato perdere. Qualche volta ho usato Facebook, ma poi ho mollato “.

L'ultima, come risvegliata dalla parola magica Facebook, concluse :
“State lontano da Facebook, crea a molti una sorta di dipendenza, oltre che trattare i nostri dati personali per fare affari. Evitate di inserire troppe informazioni su Facebook !”

La penultima, quella che aveva usato Facebook, forse per non passare per sprovveduta, rassicurò tutti dicendo di aver messo solo le informazioni minime .
Io ascoltai stupito la conversazione, trovando singolare il punto di vista di quelle giovani.
Non mi sembravano delle persone snob.

Pensai, lì per lì, che appartenessero a una specie destinata all'estinzione, incapace di sopravvivere in un mondo dominato dai “Social Network o di sottrarsi all' “Always Connected”. Poi ragionando un po' realizzai, invece, che io, uscito dalla mia riserva, mi ero imbattuto su una parte di mondo che non conoscevo, ma non per questo dovevo ignorare.

La cosa mi fece particolarmente felice, come quando si scopre l'esistenza di una valida opposizione a un governo mediocre.
Insomma un altro mondo era possibile.

Un po' per pudore, aspettai che le ragazze si allontanassero, prima di estrarre il Tablet e consultare la posta.
Armeggiando con il "touch screen", ero pervaso però da una sensazione di disagio, come fossi io l'eccezione, ma in fondo, d'incanto, mi ero scoperto un po' meno libero .