sabato 23 febbraio 2013

Tema - La ricerca della felicità


“Come stai ?” Chiede chi mi sta di fronte. Sono davanti allo specchio di una mattina strana. Fuori c’è  il sole, riapparso dopo un paio di giorni di neve e di nubi basse, spinte da vento gelido. Mi guardo un po’ meglio, come se stessi osservando una persona che non conosco. Il taglio dei capelli, fatto dal barbiere appena la sera prima, non mi piace come le altre volte. Forse il barbiere ieri sera aveva esaurito energie e precisione. 
“Come sto? “, mi chiedo mentre per la prima volta noto la fronte solcata da rughe che non avevo mai notato prima.
Non possono essere il risultato di un sonno agitato. La notte è passata come tutte le altre. Al solito mi sono addormentato tardi e, come sempre, alle sei del mattino sono già sveglio in compagnia di pensieri e di sogni.
Ma non è una mattina delle migliori. Mi sembra di avere il morale con l’influenza. Tristezza credo sia la parola che mi sta meglio addosso.
“Succede spesso e, in passato, succedeva sempre”, mi conforto.
“Sto bene !”, rispondo finalmente, quasi convinto. 
Bene . In quattro lettere è riassunto, potrei dire nascosto, il mio vivere. Certe parole hanno sia il dono della sintesi che della semplificazione.
Vorrei dire senza piagnistei semplicemente “sto”, che equivale a un “vivo”, senza sopravvivere.  Non mi sento perseguitato dalla sventura, anzi posso dire di aver raggiunto un buon compromesso con la vita, una gusta comprensione tra  quello che mi ha dato e quello che mi ha tolto.  
E’ difficile capire quanto la vita possa regalare quando fa le bizze, quando propone sfide che mai avremo pensato di affrontare. Sarebbe noioso vivere una vita piatta, della quale pensiamo di controllare o conoscerne l’incedere.  Mi ha insegnato a riflettere il dovermi confrontare con il dolore e la sofferenza , anche se pronuncio con rispetto queste due parole , senza la pretesa di voler omologare il mio dolore quello di altri.
“Sei felice ?, chiede l’altro sapendo di inoltrarsi in un sentiero accidentato.
Non sono felice e non ho la pretesa di esserlo. Ho per lungo tempo rincorso una felicita basata sulla carriera, sulla ricchezza, sull'avere  dimenticando cosa volevo essere. Non sono andato lontano e, a “fine corsa” mi sono sentito come un’atleta che vuole a tutti i costi primeggiare in uno sport per cui non ha nessuna attitudine. Impostare la nostra vita a prescindere da noi stessi crea infelicità e frustrazione.  Avrei dovuto saperlo quando ero più giovane ma l’averlo capito ora, dopo qualche salto mortale,  mi da una sorta di benessere e una certa soddisfazione. Non è mai troppo tardi.  Posso dire che in certi momenti mi sento felice come quando studiando riescoo a comprendere un passaggio che consideravo insuperabile.
Ma la felicità non è solo consapevolezza e la consapevolezza non  è la felicità.
Ho provato spesso in questi anni a pensare in grande e l’idea di un grande obiettivo da raggiungere mi ha dato ebrezza, forza e voglia di fare.   Ci ho provato con alterne fortune. Ci sono stati dei fallimenti come pure delle soddisfazioni, ma ho realizzato quanto sia gratificante il procedere verso l’obiettivo piuttosto che l’arrivare.
Ho paragonato questo tipo di esperienze alla costruzione di un castello di carte. La fragilità della costruzione impone cura e attenzione a tutti i particolari come la scelta delle carte migliori da appoggiare con mano ferma, trattenendo il respiro. Tanto più si sale in altezza tanto più si viene presi dall'entusiasmo e dalla voglia di arrivare in fondo. Il vederlo realizzato non appaga quanto l’averlo realizzato, tanto che,  per non farlo  cadere per un movimento accidentale, a volte preferiamo abbatterlo deliberatamente.
La realizzazione dei nostri sogni, grandi e piccoli che siano, è un modo per pensare in grande e va spesso a braccetto con una parola magica : Amore.
Amare i nostri sogni significa in primo luogo : crederci, ma sottintende cura, impegno, sensibilità, dedizione,  attenzione ai piccoli particolari, empatia verso chi ci circonda, tutti aspetti legati al nostro essere più che al nostro avere. Voler realizzare i nostri sogni, grandi o piccoli,  regala momenti di felicità a prescindere dai risultati.
La ricerca della felicità passa per la realizzazione dei nostri sogni.
“Realizza i tuoi sogni e non ti fermare !“, canta una filastrocca. Ecco la formula magica.
Intanto l’immagine dietro lo specchio appare più rilassata, le rughe che sembravano così profonde, si notano già meno, forse mi sono già abituato alla loro presenza e, non sono poi, così importanti.
“Tutto qua?” , chiede quell'immagine riflessa.
“No, non è tutto “, riprendo deciso. “ La felicità non è solo legata a grandi obiettivi e alla realizzazione dei sogni.  Ci sono momenti della nostra vita, della nostra giornata,  capaci di trasmetterci istanti di felicità che vale la pena di assaporare, anche se brevi"
Ci vuole un po’ di “mestiere” anche nella vita. Imparare a distinguere i diversi momenti della giornata è fondamentale. Il tempo dedicato al lavoro è altra cosa rispetto a quello che devo dedicare ad altro o a me stesso. Basta un po’ di musica e una passeggiata per entrare in un mondo diverso.
Questo è uno degli espedienti che uso contro la tristezza. Ho le mie canzoni : duecentoquarantadue, scelte tra quelle che hanno scandito la mia vita e altre che sono state gradite scoperte di questi ultimi tempi. Le lascio andare a caso nell’IPOD e non è raro che la canzone si abbini allo stato d’animo. Vivo istanti che definirei “di grazia”. Allargo le braccia e faccio l’aeroplanino.
La lettura è un altro indice di salute e serenità Quanto più mi accanisco sui libri tanto più mi sento la mente libera.
Ci sono infine i momenti di silenzio, certi ritorni a casa, i risvegli mattutini leggeri e senza ansie come quelle giornate in cui tutto il pregresso è stato sistemato e non mi resta che pensare alle cose nuove da fare.
Ma la felicità non deve essere un’ossessione ma uno dei modi  per assaporare la vita. Non ci sono solo momenti felici e, quando si incappa in situazioni difficili, il ricordo dei momenti belli è garanzia di quanto la vita si varia e per questo bella.
Nuovi momenti felici mi aspettano.

venerdì 22 febbraio 2013

Neve di Febbraio


Aspetto la neve. Il servizio meteorologico sta diventando di una precisione impressionante. Quando preannuncia la neve, questa arriva con la puntualità di una littorina. Sono finiti i tempi quando le previsioni del tempo erano sinonimo di incertezza e inaffidabilità. Oggi tutto sembra prevedibile. Per decidere se portare con se l’ombrello basta consultare l’app sul cellulare.
La casa ha il solito tepore. Sul divano sto bene e il silenzio è appena rotto dai rumori ovattati provenienti dalla provinciale.  La televisione è un quadro silenzioso e nero.  Esco a verificare se i primi fiocchi stiano cadendo. Mi porto, come al solito, al centro del piazzale da cui posso vedere il termometro della carrozzeria.  Segna un grado appena.  
“Tutto sembra a posto” , penso mentre ritorno in casa chiudendo in fretta la porta, “la neve non può essere lontana”
Ripreso il calore della stanza, mi ripropongo di dare un'occhiata di li a poco, ma nel frattempo mi ritornano in mente certe cose che mi raccontava mio nonno.  Lui aveva vissuto il febbraio del “29,  l’anno del grande freddo.
Me ne aveva parlato, quando ero bambino e d’inverno passava a trovarci. Da noi si fermava tutti i lunedì, mentre passava in bicicletta di fronte a casa, con la sporta nera di cuoio liso, appesa la manubrio. Andava al mercato e non ne mancava uno. Era nato nel 1905, in agosto e nell'anno del grande freddo aveva meno di 24 anni.  Faceva il contadino e non so come avesse conosciuto mia nonna Ginevra, da tutti chiamata Noemi, che abitava in un paese a 15 km di distanza.
Mi  raccontava, mio nonno Attilio , che, nelle sere di quel freddo Febbraio andava dalla “morosa”  in bicicletta correndo lungo “trosi “ (sentieri) scavati nella neve. Di neve ne era caduta molta.  Il freddo quell'anno era eccezionale e quel suo ricordare ricorrente dimostrava quanto lo avesse sofferto.  
Il freddo lo deve aver convinto a sposarsi in fretta e portarsi la Noemi a casa. In effetti si sposarono nella primavera successiva e il primo figlio arrivò nell'aprile dell’anno successivo.
Quelle storie non le ho più dimenticate e da quel tempo sogno di rivivere anch'io una nevicata simile a quella del  “29. Ogni qualvolta i primi ficchi cominciano a toccare terra, ripenso alle stradine scavate nella neve e a quelle sere illuminate dal riverbero bianco di quel Febbraio lontano.
Un sogno di bambino che non ha mai voluto piegarsi alla maturità ne sentirsi sminuito dall'esperienza dei tanti inverni passati.
Intanto mi affaccio alla porta, la neve comincia a cadere e mi accorgo che a fatica riesce ad imbiancare il paesaggio.  
Il sogno, anche stavolta, rimarrà tale.

sabato 9 febbraio 2013

La caldaia


La porta della cucina sembrava un tutt'uno con la porta del corridoio.  Stavano vicine in un angolo della sala da pranzo. Quest’ultima pareva un lusso che non ci potevamo permettere, era poco usata e perciò inutile. La vita si svolgeva d’inverno tutta tra il cucinino e il salotto che, nei primi anni della mia infanzia, erano separati da una grande porta a vetri. Poi la porta a vetri fu rimossa. All'ora di cena, la tavola che di solito stava appoggiata a un angolo della cucina, veniva spostata al centro. In questo modo si poteva  vedere la televisione, posta in fondo al salotto, proprio nel mezzo tra due finestre.  Io ero l'unico che mangiava volgendo le spalle alla tv, così passavo parte del tempo a voltarmi. Cenavo in fretta per potermi poi sdraiare comodamente sul divano. Chissà se, per colpa di quelle cene, oggi  mi trovo a divorare le pietanze in pochi minuti. 
Al centro del cucinino, proprio di  lato alla porta, c’era la cucina economica, quella stufa, comune in tutte le famiglie di quegli anni, con l'apertura fatta di cerchi concentrici, con al centro il forellino attraverso il quale si vedeva il fuoco . La canna fumaria smaltata di bianco, saliva sulla destra scomparendo nel muro, con un'ansa appena sopra la cappa. Su un lato della stufa stava la caldaia dell'acqua calda sempre pronta all'uso e rabboccata in continuazione. Ne usciva un vapore continuo. La cappa era lunga quanto il cucinino ed era normalmente ornata da un merletto fatto all'uncinetto.
Durante l’inverno accendere la stufa era la prima cosa che si faceva la mattina. Il tepore che ne usciva rendeva  il giorno più piacevole.
La sala da pranzo, oltre la porta della cucina, d’inverno era una stanza fredda, quasi un ripostiglio. La si degnava appena di uno sguardo prima di entrare nello stretto corridoio che portava al magazzino. Mai mi è venuta la voglia di trascorrerci del tempo, nemmeno nella buona stagione. Certi luoghi nascono male e non accendono nessuna ispirazione ne emozione.
 Il corridoio, largo appena un metro correva dietro l'entrata di casa per non più di tre metri. Una luce fioca, che stava sulla sommità della porta lo illuminava, ma si poteva attraversalo senza intralciare, anche al buio. In prossimità del magazzino c’era l’anfratto del sottoscala, vero ricovero di cose inutili e dimenticate.  Il magazzino, con l’arrivo della macchina, cominciò a chiamarsi garage. Era chiuso da un grande portone scorrevole in lamiera. Si faceva fatica ad aprirlo e per questo,  mio padre usava spesso lubrificarne le rotaie.  Ai lati del magazzino, in alto, c’erano due grandi scansie dove stavano appoggiati gli attrezzi di mio padre : cazzuole, martelli oltre che barattoli aperti  di vernice, il più delle volte destinati a seccarsi. I miei erano soliti appoggiarci sopra anche tutte le cose pericolose, quelle che dovevano rimanere inaccessibili ai bambini. Noi lo sapevamo e la curiosità non ci ha mai spinto a pericolose scalate.
Il pavimento era in cemento lucidato di un colore rosso porpora. Quel magazzino, tramutatosi con il progresso e un po' di benessere, in garage veniva illuminato da una sola finestra senza balcone, protetta da una robusta inferriata. Era quella l’unica finestra della casa che volgeva  a tramontana. Guardava verso i campi e per questo pensavamo fosse molto discreta e appetibile per i ladri. Il garage proseguiva,  restringendosi, verso una zona rialzata, dove stava la caldaia del  riscaldamento. Era una Buderus a gasolio, capace di 30000 calorie, che prendeva il gasolio dalla cisterna che stava appena davanti alla porta del garage. Sembrava fosse protetta da un groviglio di tubi che collegavano le pompe e l’ebollitore dell’acqua calda.
La caldaia, di un colore azzurrognolo, aveva agganciato davanti il bruciatore verde, con una luce rossa che si accendeva quando avveniva “un blocco”, in caso di mancata accensione. Il rumore del bruciatore ricordava quello di un vero acciarino. Durava circa 30 secondi. L’accensione aveva il suono di una enorme vampata, dopo di che un rumore sordo e continuo ne testimoniava il corretto funzionamento. 
La caldaia riscaldava pure il garage, così serviva per asciugare i panni quando non c’era il sole. Dopo pochi anni, sul lato libero di quel locale, comparve una zona lavanderia e un piatto doccia utile a salvaguardare il bagno buono.
Quando, nel 1989, ci fu da decidere, da sposato, che caldaia mettere nella nuova casa, c’erano già soluzioni a muro ad accensione istantanea. Ciò nonostante, anche per evitare di prenderne una non adatta, preferii una caldaia a basamento, di certo più moderna di quella della mia infanzia. Era comunque massiccia e,  tra le varie caratteristiche che ricordo, emetteva  un "rumore sordo che ne testimoniava il corretto funzionamento".

venerdì 8 febbraio 2013

IPOD Playlist

Guarda che non sono io quello che stai cercando
Quello che conosce il tempo, e che ti spiega il mondo
Quello che ti perdona e ti capisce
Che non ti lascia sola, e che non ti tradisce

Guarda che non sono io quello seduto accanto
Che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto

Guarda che non sono io - Francesco De Gregori

Filastrocche


PER FARE PACE

Vuoi una spremuta di gocce di sole ?
Vuoi una collana di cinque parole ?
Vuoi la canzone più corta che c'è ?
Vuoi fare pace con me ?


CONTRO I BRUTTI SOGNI

Brutto sognaccio pauroso e tremendo
Te ne approfitti che stavo dormendo
Ma ora son sveglio e ho aperto gli occhi
Vediamo se adesso mi tocchi

Da " Mal di pancia calabrone" di Bruno Tombolini

sabato 2 febbraio 2013

Il Ritorno


La porta si aprì come molte altre volte. Spingerla mi dava sempre una sensazione di solidità. Mi sono chiesto molte volte quale fosse il legno con cui era costruita. Il colore era strano, un marrone chiaro che non mi ricordava nessun legno conosciuto e la superficie eccessivamente liscia tanto da farmi dubitare del fatto che si trattasse di vero legno o, non fosse piuttosto, quella  forma di laminato plastico che spesso trovo esposto in qualche fiera dell’artigianato locale.
Insomma ero ritornato a casa e varcare la soglia di casa mi restituiva il sapore e un calore di cui avevo bisogno. Era come se, dopo un lunga corsa, il corpo ritornasse ai ritmi usuali.
“Proprio dei miei soliti ritmi ho bisogno”, pensai, mente appoggiavo la borsa sul divano.
Sul divano, quello destinato a diventare all'occorrenza un letto, ritrovai quel luogo familiare su cui  ero solito smaltire le mie delusioni, la mia rabbia e soprattutto il mio dolore.  Questa era per me, la sua funzione primaria anche se spesso, era un piacere distendersi a guardare la luna passare oltre i vetri dei due abbaini che stanno sul tetto della stanza.
Seduto, osservai per qualche minuto il tappeto rosso e nero che stava al centro del salotto. Poi, alzando gli  occhi verso la vetrata intravvidi l’ultima luce di quel pomeriggio invernale che, affievolendosi, preparava la sera con la solita cura.
“I giorni si succedono veloci”, pensai filosofeggiando, un po’ catturato dalla malinconia. Stamane pensavo a quanto sarebbe stata lunga la giornata, conoscendo gli impegni che mi aspettavano, mentre, a sera fatta, stavo riflettendo su quanto velocemente si fossero succedute le ore del giorno.
“Ero finalmente tornato !”, pensai sorridendo mentre con lo sguardo riprendevo possesso di quei luoghi familiari : la cucina, la scrivania sull'angolo in fondo a destra e il centro tavola con le piante grasse. Tutto era rimasto come lo avevo lasciato. Alcuni particolari testimoniavano il passaggio della signora che mi aiuta nelle pulizie di casa. Tutto era pulito, le cose importanti erano al loro posto. La signora ha capito cosa deve riordinare e ciò che deve lasciare stare per non scombussolare il mio ordine.
Avevo vissuto i giorni fuori casa con un sorta di “timore del non ritorno”. Proprio così, chissà per quale motivo, avevo portato con me quella paura, come fosse una premonizione: temevo di non tornare, che assomigliava a una sensazione di morte. Pur consapevole di questo malessere, il viaggio era stato piacevole, costellato di incontri nuovi, spesso forzati dalle situazioni, ma decisamente interessanti. Scegliere è l’ideale, essere scelti può essere altrettanto piacevole e appagare la voglia, nemmeno tanto nascosta di lasciarsi andare, abbandonandosi al tempo e alle situazioni. Quel timore non mi aveva mai lasciato e avevo passato parte del viaggio a guardarmi intorno, vigile, quasi a voler anticipare un imprevisto incombente. Nulla di assoluto e fatale era invece successo e, mentre stavo seduto sul divano, riflettevo sulla mia ingenuità, capace di dare retta, lasciandomi condizionare, a sensazioni rivelatesi, col senno di poi, frivole e fasulle.  
Le scarpe mi stavano strette e accingendomi a slacciarle, le trovai già slacciate.
“Siamo alle solite “, pensai. Ebbene si, alla mia età non ho ancora imparato a fare i lacci alle scarpe,meglio a farli solidi ma, pur cosciente dell’errore, non mi sono mai preoccupato di correggerlo. Ci sono atteggiamenti e comportamenti che sono talmente radicati in noi che, seppur sbagliati, non riusciamo a correggere. Fare le asole “deboli” alle scarpe è uno dei miei comportamenti sbagliati, che nonostante reiterati tentativi, non sono riuscito ancora a correggere. Sarebbe bello che fosse il solo rimasto, ma ahimè!, non è così.
Nel frattempo i termosifoni si stavano scaldando. La casa, che avevo trovato fredda appena entrato, si sarebbe scaldata di li a qualche minuto, stemperando anche quella sensazione di umido mutuata dall'esterno.
“Tra poco tutto tornerà come prima del viaggio”, pensai alzandomi dal divano per riporre le scarpe.
Era un pensiero ottimista, appeso a un filo di speranza. Sapevo che il viaggio era stato, pur nella sua piacevolezza, un passaggio importante e quindi era inutile ripensare al passato. Bisognava andare avanti. Anche a voler fare le stesse cose di un tempo, diverso sarebbe stato lo spirito e di conseguenza i risultati.
“Le motivazioni sono cambiate!”, quasi sentenziai. Ecco la parola magica “ motivazione”, la molla che carica la nostra vita e ci aiuta a raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo, mentre cerchiamo di realizzare i nostri sogni ma che ci permette anche di accettare i verdetti avversi.
Fu così che, girovagando per casa, mi ritrovai senza motivazioni.
“Non sono solo cambiate, sono semplicemente sparite!”, mi ripetei sgomento. Sapevo cosa avevo perso ma non sapevo ancora cosa mi riservava la nuova strada.
“Sono semplicemente stanco”, pensai, come spesso faccio quando non riesco a venire a capo di qualcosa. Quella dell’essere stanco è una bugia che mi racconto quando non voglio credere di essere confuso o a corto di idee. Mi compatisco un po’, sperando che un raggio di luce  mi stia attendendo dietro al prossimo angolo.
Non mi curai per molto di quest’ultimo cruccio. Potevo riposare, riordinare le idee, prendendomi il tempo necessario. Qualche scintilla di li a qualche giorno sarebbe  di certo scoccata.
Mi avvicinai alla scrivania, alzai il coperchio del PC. Quel tavolo, che spesso faccio illuminare puntualmente da una lampada, mentre tutto attorno c’è il buio è il luogo dove meglio mi riesce di riordinare le idee.
Annoto, leggo e qualche volta disegno. Uso pennarelli, penne e molte matite, quelle con la punta tenera che lasciano sulla carta un segno scuro e largo quel tanto da apparire grezzo. Uso le matite anche come segnalino nei libri, molti, che sto leggendo.
Quando il computer fu completamente avviato, mi balenò alla mente un pensiero. Mi era tornata la voglia di scrivere. In poche secondi la pagina vuota di Word mi si apri davanti. Non sapevo cosa avrei scritto cosi cominciai dal primo pensiero che si impossessò della mia mente.
Cominciai a scrivere :
“La porta si aprì come molte …