lunedì 30 luglio 2012

Obiettivi


L’Olimpiade è un palcoscenico unico per gli sport minori, di norma bistrattati e dimenticati dai circuiti mediatici del profitto ma anche l’occasioni per scoprire storie e personaggi certamente non comuni.
Nei primi due giorni mi ha molto impressionato come si è sviluppata la competizione a squadre del tiro con l’arco.  Italia e Stati Uniti si sono contesi alla fine la medaglia olimpica.
Si potrebbe discutere sulle apparenze, quali i chili di troppo della squadra italiana messi a confronto con i fisici perfetti degli americani. Di certo in uno sport dove il rilascio dell’arco debba tener conto dell’impercettibile spostamento indotto dal battito cardiaco, una massa maggiore forse garantisce una maggiore stabilità.  Non è facile mirare un bersaglio di 12 cm posto a 70 metri.
L’Italia, che aveva condotto con un discreto margine l’intera gara, si è trovata raggiunta nell’ultima sessione di tiri.
Giunti all’ultima freccia, la situazione era la seguente :
Stati Uniti : 218
Italia          : 109
L’ultimo tiratore Italiano, per portare a casa la vittoria, doveva fare il massimo del punteggio. 
Si trattava di una situazione di stress unica, nemmeno paragonabile alla tensione che può prendere chi, nel calcio, si trovi a tirare l’ultimo rigore decisivo, alla finale del campionato mondiale. In quel frangente si può decidere di tirare di precisione o affidarsi alla potenza, quasi chiudendo gli occhi.
Ma centrare un piccolo bersaglio a 70 metri non ammette opzioni di sorta.  Si deve avere la capacità di isolarsi, concentrarsi sull’obiettivo e controllare le emozioni. Anche il minimo tremolio può portare a risultati catastrofici. Il cuore tutto può fare, meno che accelerare i battiti.
Insomma una situazione non  comune, per persone non comuni.
Alla fine l’ultimo arciere italiano è riuscito nell’impresa.  Controllando l’enorme pressione emotiva, ha centrato l’unico risultato possibile, quel  il 10 che ha garantito la medaglia olimpica.
Mi piacerebbe conoscere come è riuscito a concentrarsi  in quei momenti determinanti senza farsi travolgere dall’emozione. Sarebbe un’utile lezione.

domenica 22 luglio 2012

Parametri Macchina


Pressione Massima  103
Pressione Minima      66
Frequenza cardiaca    48

Non controllo regolarmente la pressione come un tempo. Il mio ritmo di vita non è cambiato. La mia dieta nemmeno, limitata dalla mia poca propensione a cucinare. Tra le varie “cure di se”, forse la cucina è quella a cui tengo meno. Passo attraverso, forse è meglio dire corro, pranzi preparati  in modo veloce, spesso uguali, dettati più dall’esigenza “ di sopravvivere” che da quella del piacere di stare a tavola.
In questi anni mi sono ricreduto in  molte cose. Il mondo che pensavo “o bianco o nero” sta assumendo una varietà di colori e sfumature impensabili solo qualche mese fa. Cose che detestavo ora mi appassionano e cerco di evitare “esecuzioni sommarie” con giudizi affrettati.
Quindi penso di avere ancora tempo e possibilità per imparare a  cucinare e a fare cose che oggi non considero importanti. Procedendo un passo alla volta senza forzare si va molto lontano. La voglia non manca e a volte basta solo saper cogliere il momento giusto.
I parametri macchina, pigri, di stamattina, mi hanno messo di buon umore. Il cuore non si sta affannando e il suo lento pulsare è indice di tranquillità, nonostante le poche ore di sonno.  Gli ultimi controlli hanno dato tutti esito positivo e le date delle nuove verifiche sono quasi tutte previste per l’anno a venire. Quasi come una persona normale.
Solo per l’ICD, nonostante i collegamenti settimanali, è previsto il “tagliando “ annuale ad ogni settembre. In quanto macchina autonoma ha i propri ritmi di manutenzione avulsi dai miei ritmi biologici. Ha un ciclo di vita (Lifecicle) diverso, prendendo a prestito termini da altre discipline.
Le visite cardiologiche, gli ECG, le ecografie sono solo gli esami universitari. Verificano se puoi andare avanti senza problemi. L’importante è aver imparato, è aver studiato. Quindi come è importante studiare con regolarità e altrettanto importante vivere con altrettanta regolarità, senza strappi e la voglia di un tempo di dimostrare di non essere cambiato, nonostante la malattia. Sono cambiato e la malattia è stata di sicuro il cambiamento più meccanico. Impresa più difficile è stata prenderne coscienza, assieme agli altri cambiamenti della mia vita. Ho imparato a affrontare gli scossoni che la vita impone, accettandoli senza troppi se o ma, cercando di adeguarmi in fretta come fanno gli ammortizzatori dell’auto con una strada connessa.
Però la strada rimane sconnessa, per certi tratti quasi intransitabile, devo dire la verità. Per il mondo che mi circonda i momenti di tranquillità non sono molti. I passi di cui parlavo prima, sovente, devono accorciarsi di molto per permettere di procedere. Ora si va di nuovo piano, sperando di arrivare in fretta alla sommità della forcella per intraprendere la discesa.

domenica 15 luglio 2012

La scintilla


La porta finestra che guarda a tramontana è lasciata aperta di proposito. Entra un’aria fresca, quasi fuori stagione.  La coperta ci sta bene e trasmette un senso di tepore e protezione quasi materno. Qui il temporale, arrivato d’improvviso  verso le cinque, è durato meno di 10 minuti. In quel breve lasso di tempo si sono visti vento, grandine e pioggia. Terminata la sfuriata, il calore del marciapiede di fronte a casa, in pochi minuti, aveva fatto evaporare quel po’ di pioggia caduta quasi fosse di passaggio.
Ma il fresco  stasera è arrivato per conto proprio. Mio padre diceva in occasioni simili :
“In montagna deve aver fatto maltempo “, sentendo l’aria fresca, quasi montanara.
Ho passato la serata con il desiderio di mettere ordine. Ordine alla casa  ma anche ordine dentro. Il silenzio ci sta tutto anche se diversamente da altre volte mi circonda un velo di nostalgia. Mio figlio stasera mi ha salutato, tornando a casa dopo un po’ di giorni passati assieme. Il saluto, a cui in parte sono abituato, mi sembra ancora qualcosa di innaturale.
Come in altre occasioni, senza scrollare le spalle, mi affido al tempo, al lento cambiare delle cose e dell’animo.  Pur confidando nel continuo evolversi della vita sono convinto che solo le scintille improvvise, le passioni intense, possano far cambiare veramente la vita.
Accompagnare  lentamente lo scorrere lento del tempo serve solo a guarire dai dolori della vita.
Oggi una persona rimasta da poco sola, mi parlava di quanto la sera la avvicini alla solitudine. L’ho rincuorata dicendole che anche alla solitudine ci si abitua. Può diventare l’occasione e lo stimolo per reinventarsi, senza  ricominciare,  la semplice possibilità di guardare avanti.  Pensavo alla sua storia e mi chiedevo se avesse qualche rimpianto, pensando a quanto avrebbe potuto fare per ritardare la solitudine e le serate diventate improvvisamente fredde e  silenziose.
Ho rimesso ordine alle tante cose fatte in questi giorni. Ho ripensato ai sentimenti , alle emozioni intense, ai sospiri di sollievo  dopo una grande paura, alle motivazioni rinnovate, alle amicizie vere, finendo per rimettere un po’ di ordine anche alle spese fatte senza verificare la salute del conto in banca.
I soldi, mi dico da un po’, non sono un problema, se servono a star bene e a far star bene.  Per il momento non chiedo di più.
Ogni tanto, la domenica sera, osservo quel modem che sta sul comodino che appena dopo la mezzanotte a mia insaputa recupererà quanto registrato dall’ICD durante l’ultima settimana. E’ come se ogni Domenica notte annotassi su un diario quanti fatto negli ultimi sette giorni. A pensarci bene non tutti hanno questo privilegio e chissà se un giorno potrò curiosarci dentro.
Il travaso dei dati è talmente preciso e puntuale da essermi diventato indifferente.
La porta aperta continua a far passare un fresco sempre più frizzante.  Verso le undici di sera immancabilmente si attiva l’irrigazione del giardino vicino. Dura un’ora, appena dopo mezzanotte, termina e restituisce il silenzio. Da lontano arriva la musica  di una Band che suona in una delle tante feste dedicate a ortaggi, birra, estate e altro ancora. Non ne distinguo il genere. I suoni arrivano ovattati e cupi, non mi incuriosiscono.
Tra qualche minuto chiuderò fuori il fresco e tutti i rumori di una notte d’estate senza scintille.
C’è ancora tempo e forse tra poco squilla il telefono o arriva un messaggio….

giovedì 5 luglio 2012

Sera


La sera volge al tardi. Il caldo non è più soffocante. L’afa che rende difficile il giorno a una certa ora se ne va.  Avverto da un  po’ una sensazione lieve di fresco che fa star bene. A tratti mi raggiunge un filo di brezza come se ci fosse dietro qualcuno ad agitare un ventaglio invisibile. La brezza passa, poi l’aria ritorna immobile, mentre mi metto in attesa di un nuovo refolo. Non ha la precisione di un treno in orario, ma a volte ritorna portando il sollievo sperato.
Non tutto arriva quando ce lo aspettiamo e così anche il refolo di fresco può insegnare una piccola regola di vita.
Il tavolo del giardino è diventato la mia scrivania. Al mattino lo trovo umido di rugiada, ma appena asciugato lo popolo di libri, computer, notes e tutto ciò che serve allo studio.  Ci metto un attimo a prepararlo di buon mattino e un altro attimo a svuotarlo prima di andare a letto.  Passo il giorno all’ombra della casa e della siepe, ascoltando indifferente i camion e le macchine sulla provinciale. Il rumore in certi momenti da fastidio anche se dura il tempo del passaggio.  Ci sono poi lunghi momenti di silenzio che contrastano con il rumore appena passato ma portano la stessa sensazione di benessere del refolo di fresco.
Non c’è giorno che non passi un’ambulanza in piena emergenza e a sirena spiegata. Oramai è’ diventato un appuntamento fisso,  come se dall’altro capo della strada si fossero messi d’accordo per star male, a turno, uno ogni giorno. Il suono della sirena  che cresce, mentre si avvicina, mi inquieta ogni volta  allo stesso modo.  Penso al mio viaggio la dentro appeso al filo sottile della vita.
Situazioni  passate ma non dimenticate. I ricordi tristi diventano con il tempo come quelle cicatrici che restano insensibili al tatto e durante l’estate non si abbronzano.  Ci sono ma appaiono come un corpo estraneo da cui non sappiamo separarci.
In certi momenti le foglie secche sotto la siepe si animano d’improvviso. Il crepitio, quasi scoppiettante, rompe la monotonia dei rumori abituali. Sono di solito due lucertole che si rincorrono, chissà se in preda al desiderio di accoppiarsi o per un semplice gioco. Il crepitio non dura che pochi secondi. Spesso si interrompe per poi riprendere di li a poco. Poi ritorna il silenzio o  il rombo di una macchina diretta chissà dove.
A pomeriggio avanzato arrivano le zanzare.  Si palesano verso le 18, mai sole, puntano ad  obiettivi diversi. Una punge un braccio mentre un’altra si poggia sulla caviglia. Non sempre si hanno mani a sufficienza per scacciarle tutte in tempo. I rimedi sono sempre gli stessi:  lo zampirone che manco a farlo apposta dirige il fumo verso il mio viso e le candele di citronella che ancora non mi hanno convinto della loro efficacia.
Qualche volta, disperato, mi spruzzo l’Autan, anche se la cosa non mi piace per niente.
Poi verso le dieci le zanzare spariscono. Mi dico ogni volta : “Hanno finito di cenare” e così posso continuare a starmene al fresco della notte che cala.  Accendo la luce per individuare i tasti del computer.  Non ho mai imparato a scrivere come una dattilografa. Uso due dita che spesso fatico a coordinare facendo arrossire il correttore di Word. Non me ne preoccupo, consapevole  di quanto sia più importante tradurre il pensiero piuttosto che proseguire rifinendo. Il tempo per gli aggiustamenti viene dopo l’ispirazione.
Più tardi , verso le undici, anche la strada si ammutolisce e i passaggi diventano meno frequenti.  Noto così il ronzio delle pompe di calore dei condizionatori accesi, appesi qua e la sui muri che guardano a tramontana. Si accendono ad intermittenza secondo necessità. Non li percepisco, di solito, durante il giorno quando gli appartamenti sono quasi tutti disabitati e torridi.
Alla fine resta ancora il rumore del telefono. Squilla ogni tanto colorando il display, nero fino ad un istante prima.  Non da fastidio. Il “rumore” al di la del filo invisibile è sempre una voce amica, un refolo di brezza inaspettato che da sollievo al cuore.

martedì 3 luglio 2012

Cima Biologia


Sono un grande appassionato di ciclismo. Mio padre mi ha inculcato la passione seguendo  le imprese di Gimondi , Merckx, Adorni, Anquetil sul televisore in bianco e nero che stava in sala da pranzo.
Ciclismo, Calcio, Pugilato questi furono gli sport che più seguimmo in quegli anni. Dei tre, però, solo i primi due sono rimasti vivi. Il calcio si identifica, oramai, con l’amore altalenante per l’Inter e un nascente interessamento per le gesta della nazionale.
Al ciclismo invece sono molto legato e cerco non perdere ogni appuntamento importante.
Ma come per il Calcio sono stato calciatore, per il ciclismo, avanti con gli anni, ho tentato di diventare ciclista. Indescrivibile fu la gioia provata quando comprai la bici da corsa. Ero convinto di fare grandi cose.
In un certo senso feci grandi cose. Nel breve volgere di pochi mesi mi feci male più di una volta. La caduta più rovinosa mi fece passare un estate fasciato. Ma, nonostante ciò, ritornai in bici e il mio grande sogno era salire in montagna.  Cominciai con colline poco impegnative. Volevo assaggiare le mie capacità. Ero convinto di essere un grande scalatore, ancor prima che la strada cominciasse a salire.
Quando però, per salire dovetti alleggerire la pedalata mi accorsi di non avere sufficienti rapporti, meglio, di non avere sufficiente “gamba”.  Non mi capacitavo del perché di tanta fatica. Ero o non ero uno scalatore! … Non lo ero …
Mi resi conto, con rassegnazione, che ero molto più tagliato per il ciclismo che danno in televisione. Meno pericoloso e più adatto ai miei mezzi.  Ora la bici sta in garage, coperta, con le gomme sgonfie.  A volte vedendola un po’ dimenticata mi riprometto di tirarla fuori per una sgambata turistica, ma nonostante il bel tempo no l’ho ancora fatto. Vedremo.
Quando ho cominciato a studiare Biologia, immediatamente, mi sono molto entusiasmato alla materia. Mi è piaciuta subito e  ho affrontato il corso con molta passione. Ma pur sorretto da tanta buona volontà vado sempre a infrangermi contro i termini, i nomi e le sigle. L’entusiasmo non basta a memorizzarle e ordinarle quanto serve. E’ stata una delusione simile a quella provata col ciclismo, quando mi resi conto di non essere tagliato per la salita.
Nonostante tutto farò come quei velocisti che, in vista della salita, partono all’attacco sapendo di essere ripresi, ma con l’intento di non farsi staccare troppo.  All'esame concentrerò tutti i miei sforzi in quelle due ore, facendo pure affidamento sulla buona sorte. Passato l'esame, non mi rattristerò se quei nomi appiccicati alla mente per l’occasione, saranno dimenticati già dal mattino successivo.

lunedì 2 luglio 2012

Euro 2012

La favola dell'Italia agli Europei di Calcio 2012 non ha avuto il lieto fine che tutti noi speravamo. Noi Italiani si intende, perché per gli spagnoli la fiaba ormai dura da quasi un lustro. Ma di favola si è trattato e questo  va ricordato anche aggi, leggendo qualche titolo di giornale che punta l'indice in cerca di colpevoli.
Il calcio in Italia, per ciò che riguarda " la leva calcistica nostrana" è un po' bistrattato. Gli stranieri hanno, da ormai molto tempo, precluso spazio a molti nostri giovani talenti. Alcuni se ne sono andati altri se ne sono scappati o hanno mollato. Stare per troppo tempo tra i secondi logora, soprattutto quando si lavora quanto e, a volte, più dei primi. Nonostante tutto ciò il calcio Italiano riesce a stare, con alterne fortune, sempre fra i primi del mondo.

Prandelli ha ottenuto un buon risultato, migliore di quanto i più si aspettassero dopo la figuraccia dei mondiali Sudafricani. La squadra è giovane e ha maturato la consapevolezza di essere tra le più forti  del mondo.
Il 4 : 0 di ieri sera non conta niente. Serve a prendere le misure con il futuro, che se gestito secondo buon senso, putrà portare ancora belle soddisfazioni.