venerdì 13 agosto 2010

Gino

Giocava da portiere, nella squadra del paese. Faceva parate molto plateali, ma non era un gran portiere, la statura non lo aiutava. Tifava Inter come quasi tutti quelli della sua razza.
Lavorava ai cantieri navali di Venezia , quando ancora  si chiamavano Breda. Faceva il giornaliero, partiva al mattino, tornava alla sera. Prima con una moto, poi con l'avvento del benessere degli anni settanta, arrivò la macchina, una Opel enorme, bianca , vuota.
Un matrimonio perfetto, un figlio, una moglie che ben presto però, fu colpita da problemi al cuore che le impedirono di avere altri figli.
La domenica pomeriggio, immancabilmente uscivano a far festa. Non ho mai saputo dove andassero ma quel modo di vivere, che non sacrificava il divertimento, sollevava non poche invidie tra i vicini e i parenti.
Come tutti i suoi fratelli si era costruito una casa, una enorme casa degli anni settanta con due piani, dove il piano terra, alto meno di 2 metri e cinquanta, era stato destinato a ciò che a quei tempi si chiamava scantinato. Guardato con gli occhi di oggi : un enorme spreco di spazio.
Faceva il falegname al lavoro, cominciò, usufruendo dello spazio che aveva, a farlo anche a casa. Pian piano si era costruito un laboratorio che aveva attrezzato con qualche macchina per lavorare il legno. Faceva porte , serrande varie e qualche mobile. Arrotondava come molti in quegli anni.
Essendo il più giovane o per altri motivi a me sconosciuti, gli toccò il compito accudire la madre che nella stessa casa andò a vivere. Per molti anni la nonnina  aiutò la famiglia ma a un certo punto dovette fare i conti con il passare degli anni. Una paresi la colpì alla parte sinistra del corpo, rendendola inferma.
Da quel momento la vita si fece un pò più difficile, furono necessari dei sacrifici e qualche incrinatura cominciò a minare la solidità del matrimonio. Si seppe di liti quotidiane sempre più aspre e violente.
La metodicità del suo andare e venire dal lavoro cominciò a cambiare. Tornava sempre più tardi e spesse volte ubriaco.
Si venne a sapere che oltre al vino aveva cominciato a frequentare certe prostitute del paese. Il clima familiare diventò sempre più insostenibile e a farne, in parte, le spese fu la nonnina che per problemi di cuore e non di paresi se ne andò lasciando la famiglia allo sbando più totale.

Le liti si fecero sempre più violente fino a che, un giorno, moglie e figlio furono cacciati di casa, o se ne andarono per loro scelta. Non fecero più ritorno in quella casa per molti anni.

Fu lasciato solo, isolato un pò da tutti, cominciò a vivere solo nella casa, senza avere la capacità di accudire a se stesso. Anche le prostitute che aveva frequentato non ne vollero più sapere.
Le sorelle più vecchie gli lavavano la roba e saltuariamente passavano nella casa  a fare le pulizie trovando una situazione desolante, ai limiti del decente. La casa era sporca e in un irrimediabile disordine.

Iniziarono i primi problemi di salute. Le sbornie quotidiane minarono l'integrità del fegato e ben presto la parola cirrosi non fu solamente una minaccia.

Moglie e figlio si trovarono nel frattempo una nuova casa e il matrimonio fini con la separazione e il divorzio.

Intanto fu anticipatamente pensionato e potè arrotondare la pensione con un piccolo riconoscimento di invalidità professionale che venne riconosciuto a molti che avevano lavorato alla Breda : sordità.
I soldi comunque non gli bastavano mai.
Abbandonò la macchina e cominciò a muoversi in bicicletta.
Alcuni ricoveri, per qualche breve periodo, parvero riportarlo verso la retta via.
Ci fu anche una sorta di cena della "riconciliazione" in cui invitò tutti i parenti e in cui spese alcuni soldi della sua liquidazione. Inutilmente, le ricadute furono inevitabili. L'attrazione verso il vino sempre più letale.

La cirrosi, prima in maniera sommessa poi, in forma sempre più eclatante, continuò il suo percorso di morte.
Ormai era diventato una sorta di barbone, sordo a qualsiasi richiamo o attenzione dei parenti, solo, malato.
Pur debilitato dalla malattia rifiutava il ricovero all'ospedale.
Ma ormai il destino era segnato. L'aggravarsi della malattia lo riportò all'ospedale, prima per curarlo, poi per accudirlo. Fini nel reparto di lunga degenza, vicino ai malati terminali. Qualche parente, che lo aveva abbandonato, si rifece vivo. Negli ultimi giorni di vita, forse gli ultimi quindici, riapparve il figlio che cominciò ad accudirlo e assisterlo giorno e notte.
Mori come molti alcolizzati.

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