Quando ho iniziato a occuparmi di me stesso, pur in ritardo
di almeno una trentina d’anni, pensavo che l’età, l’esperienza e il buon senso
sarebbero stati miei preziosi alleati.
Mi ripromisi di non lasciarmi andare, curando la salute,
l’aspetto e la forma fisica. Quando
riuscii a trovare una casa, il badare a me stesso passò anche attraverso il
dovermi occupare di essa.
Insomma mi ritrovai a dover fare tutti i lavori che di norma
una donna che lavora deve accollarsi.
Ben presto, non senza aiuti e utili consigli , nonché
attraverso vere e proprie lezioni,
imparai a stirare, lavare e accudire alla pulizia della casa.
I primi tempi la spesa era quasi sempre sproporzionata
rispetto a ciò che potevo consumare e, succedeva sovente, di dovermi disfare di
cibi scaduti.
Con il tempo imparai a dosare le scorte. Per ciò che
riguarda invece il lavare, sperimentai svariate marche di detersivi sperando di
individuare quello che faceva il bucato più bianco. Non ne ho mai capito niente
e ad oggi continuo a comprare senza una regola, a volte seguendo l’estro altre
volte attirato dal costo. Il bucato, comunque, mi sembra sempre uguale.
Sul fronte pulizie, dopo un inizio volenteroso, mi arresi
decidendo di farmi aiutare. Il fare le pulizie non mi ha appassionato anche se
di tanto in tanto armeggio tra aspirapolvere e
spazzolone.
Mi occupo in ogni caso di mantenere rifornita la scorta dei detersivi
necessari per le pulizie al pari di stracci di vario tipo e specializzazione.
Anche in questo caso la scelta non ha un criterio se non quello di variare di
volta in volta provando polveri e liquidi dalle formule miracolose.
Applico nella scelta dei detersivi, l’innovazione e la
curiosità, stesso atteggiamento che assumo sul lavoro o quando, in pizzeria,
scelgo le specialità non ancora assaggiate.
Sempre parlando di pulizie, ho sperimentato che il lavare i
piatti è una attività estremamente rilassante. Cerco di non accumulare
stoviglie e piatti da lavare. Così terminato il pranzo sgombero il lavello
lavando e rimettendo tutto in ordine. La
sensazione finale è del tutto simile all’appagamento che si prova quando,
terminato, un lavoro ci si riposa senza pensieri.
Infine rimaneva la cucina. Imparare a cucinare era forse il
segnale più forte del mio volermi bene.
Forse non me ne volevo abbastanza se in questi anni mi sono
sempre rifiutato di andare al di là della pasta condita con sughi preparati o oltre
la bistecca ai ferri. Inoltre ho consumato quantità abnormi di verdura cruda.
Inizialmente ero convinto che l’importante fosse il
mangiare. Di conseguenza non curavo la preparazione dei cibi, sia che ciò fosse
facile oppure difficile. Anzi mi preoccupavo di preparare tutto nel più breve
tempo possibile, il più delle volte assediato dall’appetito.
Mi affidai a minestre pronte in bustina e, sempre a garanzia
della velocità, cominciai a usare le buste di verdura già pronte. Cena o pranzo
erano pronti in pochi minuti e in
altrettanti minuti tutto era terminato.
Mangiavo con l’atteggiamento di chi, preso da chissà che
impegni, avesse i minuti contati. In verità niente era così assillante da
giustificare tutto ciò, se non la incapacità di sentirmi bene dov'ero, sempre
alla ricerca di una quiete che non avrei trovato ovunque.
Persi pure il piacere di far colazione a casa, tra
marmellate e yogurt, preferendo il cappuccino e brioche mangiati in piedi tra
sconosciuti in pasticceria. Non che ciò
fosse denigrabile ma di certo, potendo
scegliere, non doveva diventare la regola di ogni mattina.
Non mi accorgevo della inutilità di tanta frenesia in
aspetti che, riguardando l’amor proprio, meritavano maggior considerazione e
cura dei particolari.
L’inversione di tendenza iniziò dalla verdura. Mi accorsi,
casualmente che era molto più gratificante curare con calma la scelta e la
pulizia della verdura, invece che limitarsi a svuotare buste preconfezionate
senza possibilità di scelta. Oltretutto fare le cose con calma mi permetteva di
dare alla preparazione del pranzo o della cena una solennità antica che pensavo
di aver dimenticato.
Il mangiare è forse la miglior occasione per volersi bene,
ridursi a mangiare di corsa, come a dover prendere l’autobus al volo, mi sembrò come
buttare uno dei piaceri della vita. Fu questo uno dei primi segni del
rallentamento.
Quasi nello stesso periodo, abbandonai le bustine
liofilizzate per minestre o risotti vari, preferendo i minestroni naturali e
ripromettendomi di imparare a preparare un risotto.
Oggi ho ancora qualche sugo in dispensa, che userò per
qualche pastasciutta di emergenza, ma sto imparando in fretta anche là.
Ora mi sto pian piano attrezzando nel campo della mia “ristorazione”
e sempre più spesso mi cimento in pietanze nuove, con risultati spesso
discutibili ma, non temendo il giudizio di alcuno, ci riprovo di là a qualche
giorno.
Risotto di funghi e risotto con in fegatini saranno i
prossimi esperimenti.
La frenata, senza programmazione alcuna, si accentuò quando,
una mattina di non molto tempo fa, alzatomi più presto del solito, trovai
naturale prepararmi la colazione con marmellate, yogurt e caffè.
La piacevolezza del sedere a tavola, ascoltando alla radio
le notizie del mattino, mi parve un lusso se comparata allo stare in piedi con
cappuccino e krapfen in mano. Da quel
giorno non mi hanno più visto in pasticceria, anche se di sicuro ci tornerò perché,
di tanto in tanto, anche un dolce esagerato fa bene quanto pane e marmellata.
Così la frenata non è stata pilotata, ne forzata, ma effettuata
consapevolmente come se fosse una necessità. E’ un segnale di benessere che
aiuta a non lasciarsi andare.
L’amore ha bisogno di tempo e dedizione anche quando
riguarda noi stessi.