La sera precedente mi ero ripromesso che di buonora,
il mattino successivo, dovevo procurarmi i soldi che mi servivamo. Sarei andato
in bicicletta, non potendo usare la macchina, tanto lo sportello Bancomat era a
poco più di un chilometro. Fu così che svegliatomi di buon mattino, come ormai
ero solito, dopo una breve lettura, mi ricordai di quanto mi ero programmato la
sera prima.
In pochi minuti, ero pronto e ben imbacuccato. Così conciato, il freddo non mi avrebbe fatto paura. Rinchiusi la porta di casa con cura. Avevo superato ormai il timore di chiudermi fuori, che provavo quando vivevo nella casa precedente, dove ogni ogni volta che uscivo, chiusa la porta, ero preso dal timore di aver lasciato le chiavi dentro. Solo una volta, per fortuna era estate e le finestre erano aperte, sono dovuto rientrare dalla finestra. La casa nuova si chiude solo con le chiavi e, restare fuori di casa, è praticamente impossibile.
Uscito, l’orologio della Carrozzeria , segnalava le 6.04 e di lì a pochi secondi comparve la temperatura : un grado sotto zero.
“Non fa nemmeno troppo freddo!”, pensai.
Poi, forse per evitare di dover scendere in garage, aprire la porta per prendere la bicicletta richiudendo tutto, mi incamminai lungo la provinciale, camminando contromano.
Accelerai il passo e di li a poco, dopo la curva a sinistra, mi ritrovai lungo il rettilineo che portava al paese. Era buio e solo in lontananza, in corrispondenza di una semicurva, si notava la luce dei lampioni.
Il freddo non pungeva e il camminare risultava piacevole. Da una delle poche case lungo la via, si fece avanti un cane, abbaiando. Aveva il cappotto. Era la prima volta che vedevo un cane con “l’abito da lavoro”. Di solito i cani indossano il cappotto quando escono con il padrone a passeggiare.
Quando arrivai in paese, l’orologio del campanile non faceva ancora le sei e mezza. Osservai da lontano se una delle pasticcerie fosse a quell’ora già aperta. Le insegne della prima, la più vicina, erano accese e quando ci arrivai davanti vidi, da fuori, che già due clienti stavano discutendo con il barista.
Decisi che mi sarei fermato al ritorno, per quel mattino decisi di far colazione al bar, come non succedeva da un po’ di tempo.
Al bancomat “non c’era coda” e come al solito prelevai ciò che mi serviva, nemmeno una lira in più. Sono solito di questi tempi girare con pochi soldi in tasca, convinto del fatto che meno ne ho, meno sono le tentazioni di spenderlo.
Appena imboccata la strada del ritorno, dopo pochi metri mi capitò di affiancarmi ad una persona che stava avviandosi nella mia stessa via. Era di carnagione scura. quando lo vidi da vicino pensai potesse essere o indiano o pachistano. Poteva avere poco più di vent'anni.
Incrociando lo sguardo mi disse : “Buongiorno , come va ?”. Parlava un italiano stentato, di chi lo sta imparando da poco, incespicando tra vocaboli e regole.
Era vestito con un giubbotto arancione, simile a quelli usati da chi lavora lungo le strade, fosforescente, utile per farsi riconoscere da chi ti sfiora in macchina.
Rispondendo al saluto chiesi :
“ Già al lavoro a quest’ora ? Quando finisci ?”.
Mi incuriosiva cosa mai potesse fare quel ragazzo venuto da così lontano e quanto potesse arridergli la vita qui da noi, rispetto a quella che aveva lasciato, vedendolo recarsi al lavoro con un passo già stanco a quell'ora del mattino.
In pochi minuti, ero pronto e ben imbacuccato. Così conciato, il freddo non mi avrebbe fatto paura. Rinchiusi la porta di casa con cura. Avevo superato ormai il timore di chiudermi fuori, che provavo quando vivevo nella casa precedente, dove ogni ogni volta che uscivo, chiusa la porta, ero preso dal timore di aver lasciato le chiavi dentro. Solo una volta, per fortuna era estate e le finestre erano aperte, sono dovuto rientrare dalla finestra. La casa nuova si chiude solo con le chiavi e, restare fuori di casa, è praticamente impossibile.
Uscito, l’orologio della Carrozzeria , segnalava le 6.04 e di lì a pochi secondi comparve la temperatura : un grado sotto zero.
“Non fa nemmeno troppo freddo!”, pensai.
Poi, forse per evitare di dover scendere in garage, aprire la porta per prendere la bicicletta richiudendo tutto, mi incamminai lungo la provinciale, camminando contromano.
Accelerai il passo e di li a poco, dopo la curva a sinistra, mi ritrovai lungo il rettilineo che portava al paese. Era buio e solo in lontananza, in corrispondenza di una semicurva, si notava la luce dei lampioni.
Il freddo non pungeva e il camminare risultava piacevole. Da una delle poche case lungo la via, si fece avanti un cane, abbaiando. Aveva il cappotto. Era la prima volta che vedevo un cane con “l’abito da lavoro”. Di solito i cani indossano il cappotto quando escono con il padrone a passeggiare.
Quando arrivai in paese, l’orologio del campanile non faceva ancora le sei e mezza. Osservai da lontano se una delle pasticcerie fosse a quell’ora già aperta. Le insegne della prima, la più vicina, erano accese e quando ci arrivai davanti vidi, da fuori, che già due clienti stavano discutendo con il barista.
Decisi che mi sarei fermato al ritorno, per quel mattino decisi di far colazione al bar, come non succedeva da un po’ di tempo.
Al bancomat “non c’era coda” e come al solito prelevai ciò che mi serviva, nemmeno una lira in più. Sono solito di questi tempi girare con pochi soldi in tasca, convinto del fatto che meno ne ho, meno sono le tentazioni di spenderlo.
Appena imboccata la strada del ritorno, dopo pochi metri mi capitò di affiancarmi ad una persona che stava avviandosi nella mia stessa via. Era di carnagione scura. quando lo vidi da vicino pensai potesse essere o indiano o pachistano. Poteva avere poco più di vent'anni.
Incrociando lo sguardo mi disse : “Buongiorno , come va ?”. Parlava un italiano stentato, di chi lo sta imparando da poco, incespicando tra vocaboli e regole.
Era vestito con un giubbotto arancione, simile a quelli usati da chi lavora lungo le strade, fosforescente, utile per farsi riconoscere da chi ti sfiora in macchina.
Rispondendo al saluto chiesi :
“ Già al lavoro a quest’ora ? Quando finisci ?”.
Mi incuriosiva cosa mai potesse fare quel ragazzo venuto da così lontano e quanto potesse arridergli la vita qui da noi, rispetto a quella che aveva lasciato, vedendolo recarsi al lavoro con un passo già stanco a quell'ora del mattino.
Che ingrata la vita per molti che, provenendo da
culture e situazioni drammatiche, arrivano nei nostri paesi e apprezzano condizioni
di vita per noi inaccettabili.
Ricordando la Canzone “Born to run” c’è da chiedersi
quanto sia ancora lunga la strada per molti emarginati prima che possano vivere
in un mondo giusto, che certo non è la realizzazione del successo americano
cantato nella canzone di Springsteen.
“Alle quattro e mezza”, rispose prontamente ripetendo la frase un paio di volte, forse temendo di non essere capito.
Per qualche istante fui tentato di invitarlo a far
colazione o a bere un caffè. Lasciai stare, forse a causa dei soldi contati che
tenevo in tasca. Il ragazzo si allontanò, con passo lento, lungo i portici, mentre
io entrai in pasticceria.
La colazione non durò che qualche minuto, poi ripresi
con passo spedito la strada di casa.
Il cielo stava rischiarando a est. Si intravvedevano
strisce di nuvole che velavano appena le prime luci dell’alba. La strada invece
rimaneva buia e rade erano le macchine che la percorrevano. Notai poco più
avanti i riflessi del giubbetto del giovane. Di lì a poco lo avrei raggiunto.
Ripassai davanti la cane con il cappotto, che non mancò di abbaiare.
Alla curva prima di casa raggiunsi e superai il giovine
che salutandomi nuovamente, con la mano fece un cenno a significare : “Tutto ok”,
prima di andare nella direzione opposta alla mia.
“Tutto bene”, pensai, ricordando quante volte mi sono
sentito abbandonato dal mondo per cose insignificanti che sembravano
indispensabili alla mia sopravvivenza.
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