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domenica 13 ottobre 2013

G.P. Bancarella

Ci vorrebbe un antropologo per studiare la metamorfosi del G.P. Bancarella, una corsa non competitiva, che ogni anno si svolge verso metà ottobre. Un antropologo potrebbe trovare non pochi spunti di studio e riflessione, se mettesse a confronto il percorso di oggi con il percorso di pochi anni fa.
Forse non è passato nemmeno un lustro, da quando la corsa, partendo dalla piazza del paese, dopo poco più di un chilometro virava per certe stradine, argini, rive e “cavini”, sconosciuti ai più,  che costeggiavano e, a volte attraversavano campi ancora con le canne del granturco “in piedi” e rive dove la pioggia lasciava pozze nascoste dall’erba ancora “norbia”.
Dopo poche decine di passaggi tutto diventava scivoloso, fangoso e oserei dire epico. Uscire da certi tratti senza aver esaurito il fiato era motivo di orgoglio.
Il percorso poi viveva di sterrati solidi, ghiaiosi, buoni per far velocità. Non mancavano i tratti di asfalto, quelli che i neofiti temono perché “rovinano i muscoli”. C’era un po’ di tutto e per tutti, per chi amava lo sterrato e per coloro, “gli agonisti", che ad ogni chilometro segnano il tempo. 

Ma soprattutto non c’era ancora lui : il Passante.

Il percorso di stamattina si snodava invece a ridosso del Passante. Viadotti, ponti e sottopassi apparivano ad ogni curva. Ogni volta cambiava la prospettiva : da sotto, da sopra, di lato, ma lo stradone era sempre presente, incombeva con la sua maestosità, accompagnato dal rumore sordo delle macchine in transito.
Mai avrei pensato che quell'opera tanto criticata, osteggiata da molti per anni, oggi fosse diventata protagonista di una manifestazione podistica il cui il percorso era stato costruito tra le decine di nuove stradine, sottopassi sorti per evitarlo ed superarlo.

Mentre correvo stamattina pensavo alle formiche che si adattano a vivere in quelle scatole trasparenti, in cui è ricreato un ambiente artificiale, che stuzzicano la curiosità dei bimbi. Probabilmente le piccole formichine dimenticano in  fretta come sia fatto un formicaio e accettano di buon grado quell'ambiente che, anche se un po’ limitato, non fa mancare loro niente del necessario. Darwin direbbe che solo coloro che sanno adattarsi ai cambiamenti ambientali sono destinati a sopravvivere e le formiche nel loro piccolo ne sono la dimostrazione.
Pure i podisti stamattina somigliavano alle formichine della scatola di plastica, tutti concentrati a precorrere le stradine del Passante, sbirciandolo di tanto in tanto, ma apprezzando dopo tutto i nuovi paesaggi nati attorno ad esso: gli spazzi verdi con delle piccole collinette artificiali e i colori che tingono le paratie di certi ponti.

“Ecco”, pensavo, “ l’evoluzione umana continua”. Il podista pur memore dei paesaggi di un tempo, delle canne ancora “in piedi” e delle pozzanghere dove si inzuppavano scarpe e calzini, si adegua al nuovo paesaggio e sa che probabilmente l’anno prossimo quelle stradine, oggi costeggiate da alberi ancora novelli, sembreranno ancora più familiari come lo erano un tempo in cavini.


Andrebbe fatta un piccola modifica al nome della manifestazione : 
“G.P. Bancarella – La corsa del Passante”.

lunedì 7 ottobre 2013

Carmignano sul Brenta







Sono ritornato nei luoghi del ricordo, dove ho vissuto momenti felici e sono stato bene.

Carmignano mi ricorda una di quelle corse, dove qualche anno fa, quando ero allenato, sono andato più forte. Ricordo la distanza e il tempo ma soprattutto quella sensazione di leggerezza, un sorta di stato di grazia che, l'allenamento di quei tempi, di tanto in tanto mi donava.
Ieri c'era un altro stato di grazia, più legato alla grinta, alla voglia, nonostante tutto, di ripercorrere quei sentieri.

Ma i luoghi sono unici, come unici i ricordi e le emozioni che riportano a galla. Non basta il ricordo dei momenti felici, non basta la voglia e la motivazione nuova del ritorno. Non basta...
Si rimane un po sbigottiti, forestieri, aspettando il momento più opportuno per scappare.

Poi come un'acqua intorbidita, si aspetta che tutto torni nel fondo, restituendo quel po' di limpidezza che permetta di riguardare avanti.




martedì 30 aprile 2013

Le scarpe nuove


La sera prima c’era stato un diluvio, come spesso accadeva in quella primavera tanto fredda, umida e anomala. Che non ci “fossero più le stagioni di una volta” mi sembrava puerile sottolinearlo e quel clima generava una sorta di malinconia per le brezze di marzo, capaci di alzare gli aquiloni e i colori giovani, illuminati dal sole degli aprile passati. Tutto sembrava tetro grigio e al mattino vedere il marciapiede bagnato dalla solita pioggia metteva tristezza e insinuava la voglia “fuori stagione” di tornare, al caldo, sotto le coperte.  Ma stare a letto mi dava quel senso di far niente da farmi sentire inutile, non tanto per gli altri quanto per me stesso.  Vivevo accompagnato da un senso di colpa che mi rimproverava continuamente di non badare abbastanza a me stesso.
“Devi fare esercizio, come ti hanno raccomandato i medici!” mi sentivo ripetere dentro.
In questo stato avevo vissuto un inverno smarrito e tutto dedito ad altre cose che ritenevo più importanti. Niente corsa, qualche passeggiata in compagnia senza nessun passo di corsa o che ci assomigliasse.
Ma i tepori, seppur minimi, di quella primavera da cappotto avevano pian piano risvegliato quel tanto di amor proprio, sufficiente da farmi riflettere su quella strana situazione.
“Rimettiamo le cose in ordine “, mi dissi, allungando le camminate fino al ponte dietro il paese vicino, abbozzando qualche tratto di corsa, attento a cuore, fiato e voglia.
Affermare che nulla fosse nel frattempo cambiato era una bugia bell'e e buona, ma la mancanza dei soliti dolori alle gambe e la pazienza con cui correvo, lento tenuto alle “redini” dal fiato corto, mi aiutò a continuare di sera in sera aggiungendo sempre qualcosa in più.
Così dopo un paio di test di corsa lenta non oltre i sette km, dovevo trovare lo stimolo per allungare il tratto. Per farlo non c’era di meglio che mescolarsi e condividere la cosa con gli altri.
Fu così che ritornai a consultare la lista delle corse non competitive “Dei Podisti Veneti” per trovare qualcosa che potesse fare al caso mio.  In primavera le corse sbocciano come le viole e non fu difficile trovare undici km, pronti, vicino a casa.
Conoscevo moto bene i luoghi dove si snodava il percorso. Belli, immersi nella campagna ma sicuramente inzuppati dalle recenti piogge.
La cosa non mi spaventava anche se questo significava un aggravio di fatica e il pericolo di qualche scivolata.
Quella mattina, mentre mi stavo vestendo con quanto di meglio avevo per correre, nell'afferrare le vecchie scarpe, ormai logore, notai poco più in là, una scatola dentro la quale sapevo esserci un paio di scarpe da corsa in montagna, con tanto di suola scavata. Erano però nuove di zecca!
“Perché no?”, mi chiesi, non del tutto convinto.
“Potrebbe essere l’occasione giusta per provarle, il fango di certo, stamattina non mancherà”, pensai giustificando così quell'idea azzardata.
Ogni podista che si rispetti conosce i rischi che si corrono con le nuove scarpe. Spesso l’esperienza deriva dall'aver provato sulla propria pelle, meglio sui propri piedi, cosa può succedere. Si narra un po’ di tutto e, le vesciche sono di certo tra le cose meno dolorose a cui si va incontro.
Ma la voglia di nuovo e la curiosità mi convinsero a portare con me scatola e scarpe, contando di sciogliere gli ultimi dubbi lungo il tragitto verso il paese dove si sarebbe svolta la manifestazione.  Non ci pensai molto a dir la verità. Una volta a destinazione, effettuata l’iscrizione, afferrai la scatola con le scarpe nuove di zecca.
Erano di un nero quasi elegante, con dei sottili bordi rossi che ne evidenziavano la forma morbida ma robusta. La suola, con tanto di cingoli, era di un verde opaco, con solchi profondi che formavano solidi appigli, di certo adatti ai percorsi sconnessi o fangosi.
Una volta indossate sembravano calzare alla grande.
“Non mi daranno alcun fastidio”, mi dissi convinto e, mentre mi avviavo a passo svelto verso la partenza, subito sentii qualche fastidio premonitore. Continuai senza indugio ma attento a ogni sensazione che quelle nuove calzature potevano trasmettere. Sapevo che ciò che poteva sembrare un leggero fastidio, alla lunga poteva trasformarsi in una lunga sofferenza.
Mentre camminavo lungo il marciapiede che conduceva alla piazza, mi rammentai di due fatti in cui dovetti scegliere se correre o meno con le nuove scarpe.
Nel primo, il più doloroso, indossai a una corsa in collina delle nuove scarpe, leggere, tecnologiche ma terribilmente aderenti, al punto da massacrarmi, lungo le discese, quasi tutte le unghie dei piedi. Ci volle un po’ di tempo per smaltire il dolore e ritornare ad allenarmi.
L’altro episodio si riferiva alla maratona di Torino del 1993. Ero a Torino con tutta la famiglia e indugiai fino a tarda ora in albergo nello scegliere se correre o meno con scarpe appena acquistate.
Ricordo che feci più di una prova sotto gli occhi stupiti di moglie e figlio, correndo tra la porta del bagno e il letto della camera, provando e riprovando le scarpe. Quella sera decisi di correre con le scarpe che avevo usato per allenarmi, usurate ed esauste. La scelta mi permise di fare un buon tempo ma soprattutto salvaguardò l’incolumità dei miei piedi.
Nel frattempo, tra ricordi e timori, arrivai nella piazza dove la gara di lì a pochi minuti sarebbe partita. Il fastidio al piede destro era vai via aumentato ma, ciononostante, non tornai alla macchina.  Mi limitai ad allentare i lacci quel tanto da far sparire il dolore.
La corsa parti alle nove in punto.  Restai per qualche decina di metri davanti a tutti, ma ben presto, venni risucchiato da decine di podisti più veloci di me. Arrancai per più di un chilometro, ansimando fuori modo, poi, trovata la velocità adeguata, arrivai al traguardo senza troppa fatica.
Lungo il percorso assaporai la soddisfazione di attraversare tratti particolarmente fangosi. Non ci furono ne cedimenti e gli appoggi furono sicuri. Insomma l’azzardo non mi aveva riservato sorprese spiacevoli.
Una volta a casa riposi le scarpe ad asciugare. Il nero elegante aveva lasciato il posto al marrone del fango e appena asciutte le ripulii per bene, senza però riportare allo splendore iniziale.

lunedì 7 gennaio 2013

Quattro di Gennaio


“Non ci sono più i termometri di una volta !”, penso leggendo i due gradi indicati dal termometro della carrozzeria. Da qualche tempo, incrociando i valori che appaiono, al mattino, sul termometro dell’auto ho realizzato che ciò che appare nel grande display rosso e’ pessimista almeno di un paio di gradi, anzi quasi di sicuro i due gradi che leggo, valgono cinque nella realtà. Fa freddo comunque e un po’, con questo freddo, che freddo non è, ci bisticcio. Preferisco il caldo del salotto, il tepore della tranquillità e del silenzio di casa. Allontano il pensiero di ritornare sul divano e guardo oltre.  La provinciale alle sette di sera vive di un  traffico stanco, sfinito, dove nessuno sembra preso dalla smania di andare oltre il limite consentito. Anche le riprese delle macchine in uscita dalla rotonda dell’hotel sembrano fatte con riguardo, come se si temesse di svegliare qualcuno. Con un guizzo mi metto correre. Sento le gambe girare con l’efficienza di un campione. Non faccio fatica e le prime centinaia di metri volano con un ritmo di cui non ho ricordo.
“Bello “, penso mentre cerco di ascoltare il mio respiro che pian piano si sta abituando.
“Potrei continuare così”, mi dico, convinto di essere alle prese con uno speciale stato di grazia.
Quando mi allenavo per la maratona erano frequenti i giorni in cui correre era un piacere e potevo forzare il ritmo senza troppa fatica.
Questa sera sembra uno di quei giorni. Sono tentato di proseguire, senza farlo intendere al mio cuore, con il nascosto desiderio di riprovare le sensazioni di un tempo. Mantengo il ritmo, anzi cerco di incrementarlo, vista la facilità con cui girano le gambe.
Mi torna alla mente un film sul Pirata Barbanera, dove quest’ultimo, in maniera nascosta e subdola, approfittando della sua  condizione di fantasma , cercava di aiutare, con trucchi a volta eclatanti ma goffi, gli alunni di una scuola impegnati nelle gare di istituto.
“Mi sembra che il Pirata Barbanera mi stia sollevando”, penso mentre continuo a correre con leggerezza.
Ma anche i pirati hanno i loro limiti e ben presto, la macchina perfetta che muove le mie gambe, inizia a  mandare strane avvisaglie. Il passo si fa più difficile, il respiro affannoso anche se il cuore non manda ancora  segni di sofferenza.
Improvvisamente, senza preavviso, una stretta al cuore mi provoca un brivido gelido, più gelido dell’aria che sta congelando le mie mani. E’ come se una mano invisibile si fosse impadronita del mio cuore e lo avesse strizzato.
Rallento in un attimo e di li a poco la gelida sensazione si ripete. Vado al passo e dopo qualche metro  la sensazione di affanno inizia a rientrare. Passano dei secondi interminabili, poi anche il batticuore si quieta e l’apprensione sfuma. Mi sento più tranquillo,
“Un momento come altri …”, penso, mentre affretto il passo.
Come altre volte il mio cuore non se l’è sentita di andare oltre. Me lo ha fatto capire con chiarezza, inequivocabilmente come il cocchiere che tira, con forza, la briglia  ai cavalli di cui sta perdendo il controllo.
Ripreso fiato, non più in preda all'affanno  mi rimetto a correre. Ascolto il ritmo e mantengo a debita distanza il fiatone. Le gambe sono tornate leggere, anche se ora le muovo con la parsimonia di chi deve correre per un giorno intero. Per non strafare alterno il passo alla corsa, seguendo il susseguirsi delle canzoni che sto ascoltando. Se possibile sincronizzo il passo con il ritmo del brano. Corro per la lunghezza di una canzone mentre cammino per la durata di quella successiva. Mi piace quest’idea che trasforma l’IPOD in un allenatore capace di dettare tempi e ritmi. Come altre volte, a velocità controllata, corro con buone sensazioni, quasi mi fossi allenato con costanza in questi ultimi mesi.
La strada, ormai conosciuta, si allontana dal paese, diventa sterrata, le case si diradano e per un buon tratto scorre tra i campi. Qui il freddo è più pungente e il buio più denso, quasi impenetrabile. Se alzo gli occhi, il cielo, però, appare per contrasto più chiaro e le stelle sono nitide e numerose. Sopra la mia testa una è di certo la più luminosa.
“Dovrebbe essere Giove”, penso mentre con attenzione cerco di seguire la stradina buia.
Un ponte di legno è il giro di boa. Ritorno verso casa per la stessa via. Quattro chilometri andare e quattro tornare.  Osservo, come sempre, sotto,  l’acqua del canale scorrere. Poi inverto la marcia  e associo il ritorno a una dolce discesa.
“Il più è fatto !”,  mi dico, sapendo benissimo che la strada che manca non è poca. Ma il giochino, sembra funzionare ancora e psicologicamente l’allenamento appare meno duro.
Mentre torno si è fatta l’ora di cena e la provinciale appare un po’ più svuotata. Le macchine rade dei ritardatari, rompendo il silenzio, fanno un rumore più fastidioso del solito. Passano in fretta però e riconsegnano in breve tempo la quiete.
Quando riappare il cancello di casa, già vado al passo da un po’. Mi diverte passare con un balzo  la barra del parcheggio, anche se, mentre mi ci appoggio sopra, temo che qualcuno la attivi con il telecomando, tornando a casa, mettendomi in difficoltà.
Entrato in casa, seduto sul divano, riprendo il calore di casa. Immobile ascolto i pochi rumori  che arrivano da fuori.  Controllo il telefono. Devo pensare alla cena. La sera è ancora lunga.

mercoledì 25 aprile 2012

La "Due Rocche"


Si parte, sono le 9.30 spaccate. Il clima è quello delle grandi corse. Tanta gente, stand di materiale tecnico, lunghi tavoli che serviranno per il ristoro finale e lo speaker urlante che intrattiene tutti con informazioni non sempre pertinenti .
Percepisco la partenza, ma di fronte a me nessuno si muove. Sono un po’ indietro, tra qualche secondo l’onda arriverà anche dalle mie parti e potrò finalmente mettermi in moto. La giornata è splendida, perfetta per correre e abbandonare ogni pensiero. Non  mi sento bene, ma spero, anzi credo, che una volta partito il motore si olierà e tornerà la solita leggerezza.
Finalmente, davanti a me, le persone iniziano ad avanzare. Faccio i primi passi attento a non inciampare e a non far incespicare. Pian piano il passo si fa più frequente e ampio, finalmente corro.
La strada punta verso il paese  con un impercettibile pendio che non aiuta le mie gambe legnose, anzi, più avanzo  e più si appesantiscono. Rallento anche per calmare il respiro che si sta facendo affannoso.
Corro senza nessun riferimento, ne cronometro, ne cardio-frequenzimetro, nemmeno cerco i riferimenti chilometrici che sicuramente stanno ai lati del percorso. La strada, dopo qualche minuto, sembra accentuare la salita. Faccio fatica. 
“Tra poco c’è la discesa”, mi racconto per non mollare.
Non mollo e la discesa quasi inaspettata arriva, breve, troppo breve . Dopo una curva che gira attorno a una casa compare il pendio, la salita.  Stavolta si sale davvero. Continuo a correre, il respiro è affannoso ma salgo con insospettata agilità. “Meglio del previsto”, penso mentre medito di proseguire a piedi, per non scoppiare ma soprattutto ascoltando il buon senso.
Non sono l’unico a camminare. Posso considerarmi nella media. Chi un po’ prima, chi un po’ dopo ma, molti di coloro che stanno nelle mie vicinanze continuano al passo. Il respiro intanto si normalizza. Le gambe invece faticano ad avanzare.
Il sentiero si inerpica tra la vegetazione, fitta da coprire il sole. La terra è umida, a tratti resa fradicia dalle piogge dei giorni scorsi. Ci vorrebbero le scarpe chiodate per salire ma soprattutto per quando, tra un po’, si dovrà scendere.
Chi ha sistemato i ristori lungo il percorso deve saperla lunga su chi corre. Compaiono quando servono. Non sono dei supermarket, i più hanno solo acqua, ma ce ne sono più del dovuto. Fermarsi è d’obbligo per me. Un bicchiere d’acqua rinfresca il cuore. Ripartire non è facile, ma dopo pochi metri si va che è un piacere.
La salita diventa ancora più ripida, scivolosa. Qualcuno si aggrappa per non andare a gambe all'aria. Nel tratto più duro si sale aiutati da scalini fatti di tronchi.
Giunti in cima, la scritta GPM annuncia che quello è il punto più alto del percorso. Dopo una curva ricompare per pochi attimi il sole. Prima di ritornare nel bosco, ecco il ristoro.
Inizio la discesa piano, bisogna recuperare, calmare il cuore. Poi appena scompare l’affanno , accelero, mi butto giù lungo il pendio concentrandomi sugli appoggi.  Mi lascio alle spalle molti concorrenti un po’ più cauti nello scendere.  Rallento a tratti, per riprendere fiato e per affrontare le zone più fangose e scivolose dove le scarpe affondano senza controllo.
Il pendio si fa un po’ meno ripido, si corre in falsopiano per lunghi tratti e le gambe tornano a protestare.
Finito il bosco il percorso attraversa prati dove, i molti che mi hanno preceduto, hanno calpestato ben bene l’erba. Il terreno è fradicio, quasi paludoso. Non riesco a evitare di affondare i piedi in pozze d’acqua nascoste dall’erba.
"Il più è fatto!", mormoro. Qualcuno, che ascolta, mi avverte che la salita non è ancora finita. Puntuale la rampa compare di li a poco ma riesco a superarla senza andare al passo. Mi affianco a qualcuno per scambiare qualche battuta, ma soprattutto per non mollare.
Da un po’ non compaiono segnalazioni chilometriche. Cerco il campanile del paese. So che dovrò arrivare da quelle parti. Non lo trovo ma, al suo posto compare inaspettato il cartello dell’ultimo chilometro.
“Spero l’abbiano misurato giusto “, commento a bassa voce, pensando che ogni passo fatto è un passo in meno da fare.
Ricompare la strada asfaltata e molte macchine in sosta. Ci siamo, l'arrivo è vicino. Dopo una curva intravvedo  l’arco azzurro da cui ero partito più di un’ora prima.
Aumento l'andatura per finire il prima possibile.
Prendo la corsia dei 12 km. Sul traguardo guardo il cronometro : 1.41.45. Una ragazza mi da un cartellino su cui c’è scritto la mia posizione : 665

martedì 3 aprile 2012

UnoUndiciETrentacinque


UnoUndiciETrentacinque. Un'Ora Undici Minuti e Trentacinque Secondi, questo è il tempo che valgo oggi nei 12 km. La corsa di Domenica mattina, al parco San Giuliano di Mestre, a latere di una competitiva  mi ha permesso di misurarmi su una distanza certa.
Le gare non competitive che si svolgono in gran numero in questo periodo, hanno spesso misurazioni approssimative e saltuarie. Ci si può imbattere in un chilometro lungo e uno corto nonostante che, metodi di misurazione precisi siano alla portata di chiunque. La necessità di far combaciare diversi percorsi fa prendere agli organizzatori delle “licenze” metriche alquanto discutibili. Alla fine l’importante è correre e avere energie sufficienti per non sentirsi improvvisamente svuotati.
Il tempo di ieri, nonostante il vento e qualche saliscendi è stata una delle mie migliori prove sulla distanza di questo ultimo anno. Il passo è un po’ più veloce di 6 minuti al chilometro e considerando che, non ho alle spalle un allenamento continuativo, la prestazione mi ha dato una certa soddisfazione.
La corsa e l’organizzazione era fatta da gente del mestiere; gente abituata alle gare vere, dove ciò che conta è il  risultato e non la partecipazione. I ristori infatti erano tutt'altra cosa rispetto al solito. Acqua lungo il percorso e The all’arrivo accompagnati da biscotti e spicchi d’arancia. L’essenziale fatto ristoro.
Non vi era traccia ne di panini e nemmeno di minestroni o paste con vari condimenti.
Gli atleti, quelli iscritti alla gara competitiva, avevano il chip alla caviglia per una rigorosa misurazione del tempo. A una attenta osservazione, per molti di loro l’appellativo atleta poteva sembrare alquanto generoso. Ma spesse volte, e non solo nella corsa, l’apparenza inganna.
Dopo la partenza, avvenuta nel più classico dei modi : con un colpo di pistola, molti di loro si volatilizzarono nel giro di pochi chilometri, altri invece mi superavano con un passo, solo un po’ più lesto, indugiando al mio ritmo, giusto il tempo per scambiare qualche parola per poi riprendere, allontanandosi quasi in maniera impercettibile ma costante.  
Con pazienza e autocontrollo ho resistito alle tentazioni di non mollare accelerando quel tanto da non farmi superare, ma appena il respiro manifestava qualche affanno rallentavo, frenando come una macchina a cui manca di colpo la benzina.
I ritmi lenti permettono momenti di socializzare con chi ti corre a fianco. A volte si tratta di banali constatazioni sulla distanza o sulla durezza del percorso, espressioni quasi sillabiche non sempre comprensibili. Ma quando l’andatura è particolarmente rilassata può succedere di sentirsi raccontare storie di vita e di corsa, narrate da persone che a vederle lì, di fianco a trottare, quasi non sembrano credibili.
Sono storie e ricordi che provengono dai tempi dell’oro di ciascuno, quando la giovinezza e le motivazioni permettevano imprese  quasi impossibili. Chi le racconta ne va fiero come se fossero imprese del  figlio prediletto e non episodi risalenti a qualche decennio prima. Le grandi gioie in genere tendono a non invecchiare ne a essere dimenticate, risalgono, accompagnandoci, gli anni della vita tanto da sembrare dell’altro ieri.

lunedì 19 marzo 2012

Savassa

Riprendo a correre, ogni tanto, senza continuità e convincimento.
Quello che mi porta a mettere le scarpe da running è più l’affetto verso una particolare corsa, piuttosto che la voglia di rimettere in moto i muscoli e far fare un po’ di allenamento al cuore.
Quando mi ritrovo in mezzo a centinaia di corridori, tutto viene naturale, mi metto a correre, senza pause fino al traguardo.  
La fatica non si fa sentire più di tanto. Quando me la sento, aumento il ritmo fino al fiatone e poi rallento riprendendo la velocità di crociera.

Ieri i primi quattro chilometri erano in salita, mentre il resto del percorso era un dolce discendere lungo sentieri ancora brulli e stretti. 
Di tanto in tanto qualche viola ricordava che tra qualche giorno è San Benedetto. 
I dodici Km sono la distanza ottimale. Mi tiene in moto poco più di un’ora e dopo un’ora le forze sono già del tutto recuperate.
La corsa di Savassa, dalle parti di Vittorio Veneto, mi ricorda una domenica del ’92, quando l’affrontai per la prima volta.

Ieri ho terminato la il percorso di 12 Km in un’ora e trentatré, lo stesso tempo fatto nel ’92 quando invece mi cimentai sul percorso lungo dei 20 km. 
La domenica del ’92 prosegui con una gita in Val Zoldana, con tutta la famiglia. 
Spesso le mie corse erano un’occasione per una gita…….chissà se sono state un bene o solo un modo per far passare il tempo sopra i problemi. 


Ieri solo qualche sms per un motivo occasionale mi ha messo in contatto con la mia famiglia, o con quello che ne è rimasto.

mercoledì 25 gennaio 2012

Gli ultimi quattro giri

“Tra quindici giorni farai un 10 mila”, mi disse l’allenatore una sera di maggio appena terminato l’allenamento.
“In pista, un diecimila ?”, chiesi come a voler dire, “Non sono preparato, posso giustificarmi ?”.
“Si,  ti ho già iscritto”, mi disse con il tono di chi domina i programmi dei suoi atleti.
Da quel giorno fu come avessi segnato sul calendario una ricorrenza importante. Una data a cui non potevo sfuggire. Quella gara mi procurò, nei giorni successivi, un ansia e un pensiero continuo.
Sapevo che sarebbe stata una sofferenza.
Non mi spaventava la distanza. Già le tabelle di allenamento che stavo seguendo, prevedevano un allenamento ad andatura medio veloce, sui diecimila metri, tutti i mercoledì.
Io rispettando diligentemente quanto previsto, percorrevo la distanza su un circuito, presso gli impianti sportivi vicino casa, della lunghezza di 1200 metri : poco più di otto giri.
Riuscivo a tenere una andatura di poco inferiore ai  quattro minuti al km e, dopo meno di 40 minuti la sofferenza e lo sforzo finivano.
La pista invece, con i sui 400 metri di lunghezza, non mi era mai piaciuta. Troppo difficile dal punto di vista mentale inanellare chilometri girando in un anello così breve.
Non sopportavo nemmeno fare i 3000 metri, che finivano dopo appena sette giri e mezzo.
Per fare 10000 metri bisognava concludere 25 giri di pista !
“Un’agonia e una sofferenza”, pensavo nei giorni che precedettero al gara.
La gara arrivò un sabato di Maggio. Il meeting era tutto dedicato ai 10000 in pista.
Gli iscritti erano tutti giovani e probabilmente io, con i miei 37 anni, ero il più vecchio.
Le batterie erano congegnate in modo da mettere in gara atleti delle prestazioni paragonabili. A me, che non avevo mai corso la distanza,  assegnarono l’ultima batteria, quella che avrebbe chiuso il meeting.
Dopo la prima gara, capii che tra me e il più scarso dei concorrenti, c’erano alcuni minuti di differenza. Avevo la netta sensazione di essere capitato nel posto sbagliato.
Ma ormai c’ero e decisi di partecipare, qualunque fosse stato il risultato.
Più la gara si avvicinava, più la mia inquietudine cresceva.
Quando mi chiamarono alla partenza, l’ansia sparì. Mi accostati agli altri e tremante attesi il fatidico sparo.
Partii  con la stessa lena degli altri ma, dopo poche centinaia di metri, capii che quel ritmo sarebbe stato un suicidio per me. Rallentai e mi lasciai sfilare in fondo a tutti .
Passai al primo km in tre minuti e trenta secondi, già un po’ distaccato dal gruppo.  Da quel momento mi preoccupai solo di arrivare trovando il ritmo giusto. Rallentai fino ad correre su ritmi a me più congegnali, facendomi doppiare più di una volta dagli altri concorrenti.
Contavo i giri che mi mancavano ad ogni passaggio sotto l’arrivo.
Ad un certo punto, mentre percorrevo la parte opposta al rettilineo finale, sentii le voci concitate del pubblico che assisteva all’arrivo dei primi. Quando passai, ormai solo in pista, sotto l’arrivo, i giudici di gara avevano impostato il contagiri a -4. Mi mancavano ancora 4 giri.
Percorsi quegli ultimi 1600 metri come fossero in leggera discesa. Pensando a ogni passaggio che oramai era finita.
Tagliai il traguardo in 38’ e 59”. I giudici, che mi stavano aspettando, avevano tutta l’aria di chi aveva molta  fretta di andare a casa.
Entrai negli spogliatoi dove alcuni dei miei avversari erano già usciti dalla doccia.
Salutai, con un certo imbarazzo, dicendo : “Sono arrivato”, ma nessuno mi accennò qualcosa che potesse assomigliare a una sorta di risposta.
L’allenatore, valutando il tempo, probabilmente compromesso dalla partenza a razzo, mi disse che potevo fare meglio e con l’esperienza avrei imparato a gestire meglio la gara.
Io gli risposi che quell’esperienza mi sarebbe bastata per il resto dei miei giorni.

domenica 22 gennaio 2012

Una Corsa come poche

Stamattina lo scenario era quello delle grandi occasioni, quello delle grandi maratone.
La Monterfortiana, giunta alla 37 edizione, è stata resa famosa dalla singolarità dei ristori organizzati lungo il percorso. Sono ormai mitici le salsicce e polenta, il minestrone preparato dagli alpini, il vin brullè e la china da bere prima dell’ultimo chilometro.
Nell’intervallo tra un ristoro e l’altro si corre, si passeggia ma soprattutto si aspetta il prossimo ristoro.
Questa fama fa si che nel paesino appollaiato nelle vicinanze dell’autostrada A4 nei pressi di Verona si diano appuntamento una moltitudine enorme di podisti o presunti tali. Circa 20 mila erano, stamattina, le presenze stimate.
Primo problema il parcheggio. Per evitare l’ingorgo io e mio figlio ci siamo fatti mattinieri. Partiti alle cinque, siamo arrivati a destinazione, bucando la nebbia insidiosa che era calata lungo l’autostrada, alle sei o giù di lì.

Non eravamo i primi. L’organizzazione era già in moto o probabilmente non si era mai fermata. I parcheggi migliori erano già occupati, ma un posto per la macchina, poco lontano dalla partenza, non è stato difficile scovarlo.

Il freddo era pungente, non so quanto fosse sotto zero, però un cappuccino in un bar e un caffè in un altro ci ha permesso di stare al caldo. Verso le sette e mezza, vestiti i panni del podista, mi sono recato nella zona della partenza. Non riuscivo a far fronte al freddo che progressivamente mi stava gelando. Intanto spuntava gente da tutti i “cantoni”.
La partenza alle otto e mezza, quando ormai avevo i piedi e le mani gelate, ha messo in moto migliaia di persone. Meglio ha messo in moto i primi. Io, che me ne stavo un po’ nelle retrovie, ho potuto muovermi dopo qualche minuto. Prima camminando, poi correndo con attenzione districandomi tra gli altri podisti.
Solo dopo tre chilometri, ho cominciato a correre serenamente, mentre dopo il quarto chilometro il gelo ha cominciato a sciogliersi e anche il paesaggio è diventato di colpo molto più piacevole.
I ristori erano come i negozi appena partiti i saldi: assediati ma comunque accessibili.
Ho avuto modo di mangiare i wurstel poco dopo il via, il minestrone con vin brullè al ristoro degli alpini, mentre quando potevo corroborarmi con un po’ di china ho preferito non fermarmi.
Al traguardo c’era di tutto : dai dolci ai tortellini e bibite di ogni tipo.

Una corsa come se ne vedono poche. Una festa popolare che nemmeno le grandi maratone riescono a eguagliare. Pochi tra coloro che erano alla partenza stamattina pensavano alla corsa come una prova contro il tempo, era solo un intermezzo tra un cicchetto e un vin brullè.

domenica 8 gennaio 2012

La corsa alla separazione

Stamattina faceva meno quattro sul termometro della carrozzeria davanti a casa mia e a stare seduto sul ponte ad aspettare mio figlio, nulla mi faceva desiderare una corsa mattutina.
Ma le cose, quando si mettono in moto, spesso avanzano da sole e, se non si oppone nessuna  resistenza si arriva comunque alla meta, buona o cattiva che sia.

Pensando, rannicchiato dentro la giacca a vento, a questi meccanismi ineluttabili, trovai delle analogie, con il modo con cui sono arrivato a separarmi da mia moglie.

Inizialmente avviai la richiesta, come una sfida nei suoi confronti, pensando che questo potesse portarci a parlare e a trovare una soluzione. Quel meccanismo, quella sfida, una volta innescato, proseguì da solo e non ci fermammo mai a parlare e discutere sull’opportunità di fermarlo. Solo la mia malattia, determinò un rallentamento, ma poi, le continue incomprensioni, ci portarono a firmare davanti all’avvocato. Quella sera di Febbraio, solamente durante i due chilometri che stanno tra casa e lo studio dell’avvocato, mia moglie mi lesse e consegnò, un biglietto scritto a mano, che conservo ancora. Non capii, lessi e rilessi quelle righe frettolosamente scritte. Poi il 28 maggio del 2010 firmammo i documenti della separazione davanti al giudice, presso il tribunale di Venezia. Vivemmo quella giornata come una gita, finalmente liberi dai figli, solo noi due. Il paradosso continuò prima di entrare dal giudice quando ci chiedemmo : “Ma perchè siamo qui?”, ma, ancora, senza fermarci a pensare,  andammo davanti al giudice firmando senza l’apparente ombra del dubbio.

Per me fu un momento dolorosissimo che curai per molti mesi prima di poterlo accettare.
Quel giorno la gita continuò, passeggiando per Venezia, facendoci delle fotografie e pranzando come due fidanzati in un  ristorante lungo le calli. Tornammo nel pomeriggio con calma.
Oggi viviamo da separati e non ci siamo mai più ritrovati a parlare o a passeggiare come quel giorno a Venezia, tra meno di diciotto mesi potremmo divorziare.
Stamattina è successo una cosa simile. Dopo pochi chilometri mi sono ritrovato a Maerne, un paese poco lontano, in mezzo a altri podisti intirizziti.
Preso coraggio e uscito dalla macchina, mi preparai e, solo in quel momento realizzai che di li a poco mi sarei messo a correre.
La corsa, che prevedeva premi per i vincitori di categoria, aveva catalizzato l’attenzione di molti dei più forti podisti della zona.
Come al solito, pur senza allenamento, decisi di affrontare i 14 chilometri del percorso medio. Ben presto il freddo si volatilizzò e correre diventò veramente un piacere.
Dopo qualche chilometro decisi di seguire il passo di una ragazza che aveva un’andatura simile alla mia . Le dissi dopo un pò, centellinando il fiato : “Non ti dispiace se ti uso come Pace Maker ?”. La ragazza rispose gentile e così continuai a seguirla per qualche chilometro.
Durante quei chilometri, guidato da quel gentile Pace Maker e continuamente monitorato dall’ICD che mi porto addosso, mi sono sentito veramente attrezzato dal punto di vista Cardiologico.
Peccato che avessi dimenticato il cardio-frequenzimetro a casa, altrimenti potevo considerarmi una macchina perfetta.

lunedì 26 dicembre 2011

La corsa dei bicchieri


E’ abbastanza strabiliante che alle 8.30 del mattino ci siano già migliaia di persone che corrono incuranti della temperatura sotto zero. Lo è ancor di più se ciò accade il giorno di Santo Stefano, uno dei giorni di vacanza per eccellenza.
Le corse programmate erano un paio, pure distanti fra di loro. Gli affezionati della corsa erano accontentati, ma non pensavo di essere tra gli ultimi a partire a Casalserugo, appunto alle otto e mezza.
Nonostante la mancanza di allenamento, ho scelto di percorrere di corsa i dieci km del percorso medio.
Faceva freddo ma si correva senza fatica e ben presto il freddo lasciò il posto a un tepore da faceva star bene. C’erano podisti  imbacuccati come stessero marciando verso il Polo Nord mentre altri in tenuta quasi estiva sembravano incuranti del freddo.  Succede qualcosa di simile anche alle corse estive quando  ci si trova a correre con persone eccessivamente vestite.  Di gente strana ce ne a tutte le stagioni.
Al primo ristoro, che giunse ben presto, per il rotto della cuffia trovai  ancora dei bicchieri per poter bere del the caldo. Tutto era stato saccheggiato da coloro che mi avevano preceduto.
Cosa sarebbe successo al ristoro successivo ?  Bisognava accelerare il passo e rimontare un po’ di gente. Così per un buon tratto la corsa si tramutò in una gara contro la riserva di bicchieri del ristoro successivo.
In quel tratto mi riuscì di rimontare qualche centinaio di persone e giunto al secondo ristoro, pur trovando i tavoli completamente razziati di ogni vivanda, c’erano comunque sufficienti bicchieri per bere del  the caldo.
Gli ultimi tre chilometri passarono senza particolari difficolta, alternando accelerazioni a periodi di recupero.
Con oggi sono ritornato a correre, dopo qualche esperienza di camminata e un tentativo di Nordic Walking.
Correre, in ogni modo, quando è possibile è fonte di benessere e soddisfazione.
“Se fa strada !!”

domenica 27 novembre 2011

Nordic .... che ?


Di questi tempi,  non so perché (o forse si), di correre non ci ho voglia.
Non è finito un amore, mi è solo passata la voglia di far fatica, soprattutto affrontando corse domenicali senza nemmeno uno straccio di allenamento.  Di sicuro sono certe condizioni esterne, che non riesco a governare, a  determinare questo mio comportamento, anche se cerco di considerare ciò che mi succede al netto di turbative provenienti da chissà dove. Non sempre ci riesco.
Così stamattina accettando l’invito per la solita corsa domenicale, ho cercato stimoli nuovi.
“Oggi provo il Nordic Walking”, mi sono detto. 
Così, rispolverati i bastoncini da trekking, li ho riposti con scarpe e maglietta nella borsa, deciso a intraprendere la nuova esperienza.
La decisione non era casuale. La motivazione era, in fondo in fondo, quella di non voler far fatica.
Così inventandomi la scusa del Nordic Walking, ho trovato il pretesto per portare con me i bastoncini per usarli come fossero delle stampelle, più che gli strumenti adatti al nuovo tipo di fitness.
Scelto il percorso più corto, sempre per la solita ragione, mi sono avventurato lungo sentieri pieni di saliscendi, usando i bastoncini come quando cammino in montagna, ma con un passo decisamente più svelto.
Mi sono divertito un sacco, faticando come e più se avessi corso, riproponendomi alla fine di ripetere l’esperienza.
Nel pomeriggio, leggendo su Internet la tecnica specifica del Nordic Walking mi sono reso conto che lo stile che avevo usato in mattinata niente aveva a che fare con quanto descritto.
A Barbisano, dalle parti di Pieve di Soligo, in provincia di Treviso c’era una moltitudine di persone come poche altre volte avevo visto. Corsa bellissima, giornata ideale, unico neo : i problemi di parcheggio, come ormai succede ogni domenica, determinati dalla invasione dei podisti.

lunedì 14 novembre 2011

Le buone abitudini


La parte pigra di me, da un pò di tempo, aveva preso il sopravvento sulle buone abitudini della primavera passata.  Pian piano mi ero allontanato dalla pratica di quel po’ di attività sportiva tanto raccomandata dai medici.
Quest’estate con il caldo, preferivo le lunghe passeggiate, poi con l’arrivo del fresco, invece che riprendere il passo di corsa,  mi sono attenuto al minimo sindacale : facevo solo le corse non competitive domenicali, senza curare nessun tipo di allenamento infrasettimanale. Insomma, peggio non potevo fare concentrando tutti gli sforzi alla domenica mattina.
Ma il buon senso pazientemente ha lavorato in silenzio. Ho progressivamente notato chiari segni di affanno su rampe e scalinate, affrontate di corsa solamente qualche mese prima mentre, le corse domenicali sono diventate via via una sofferenza.

Era necessario cambiare marcia.  Stasera, quasi con noncuranza, mi sono ritrovato in tenuta da runner. Uscire e cominciare a correre mi è parso come andare in riva al mare a saggiare la temperatura dell’acqua prima di fare il bagno. In effetti qualcosa dovevo avere sbagliato. Il termometro della carrozzeria segnava 7 gradì, ma il mio abbigliamento era adatto a una temperatura di almeno 15 gradi.

“Non fa niente”, mi sono detto, “tra dieci minuti non sentirò più il freddo”.

Il freddo l’ho sentito per una buona mezz’ora e solo quando ho intrapreso la via del ritorno ho realizzato di essermi finalmente scaldato.

Sono tornato a casa più in fretta di quanto me ne fossi allontanato. Il caldo della casa mi ha ritemprato e messo un certo appetito.
Potevo in pochi minuti svuotare il frigorifero,  ma la situazione mi è ormai nota. E' bastato addentare un paio di carote per salvare l’incolumità della dispensa .

domenica 16 ottobre 2011

Corsa d'autunno


Più che di Autunno stamattina si poteva parlare di Inverno. Tre gradi segnava il termometro della carrozzeria quando sono partito da casa. Il sole avrebbe più in là distribuito un po’di tepore ma l’aver adottato un  abbigliamento invernale mi è sembrata la decisione più giusta.

La partenza tradizionale, tutti insieme alle nove in punto penso sia una consuetudine da rivalutare rispetto alla partenza senza regole che caratterizza la gran parte delle corse domenicali.
Partire insieme aumenta la competitività e aiuta a capire quanto si va veloci o quanto si va piano a seconda della posizione che di chilometro in chilometro, si va a occupare.

La potrei definire la corsa  silenziosa. Pochi concorrenti avevano voglia di parlare, solo qualche chiacchiera qua e là, ma faceva più baccano il vento freddo che soffiava spesso in senso contrario.

Nonostante la lunga esperienza, era difatti la quindicesima edizione, i ristori lungo il percorso lasciavano un po’ a desiderare, mentre all’arrivo tutto era organizzato per il meglio.

Avevo corso ad Orgnano qualche anno fa, prima della malattia, durante uno dei tanti periodi in cui avevo tentato di tornare alle corse agonistiche. Ricordo di aver fatto venti chilometri ma altro non mi è rimasto in mente.


domenica 9 ottobre 2011

G.P. Bancarella

La temperatura stamattina era ideale per correre. Credo che 15 fossero i gradi in meno di domenica scorsa.
Dopo una notte poco tranquilla, ho optato per il percorso più corto. Sette chilometri potevano bastare senza rischiare inutili sforzi.
Ma dopo qualche centinaio di metri, mi sono reso conto che le gambe giravano alla grande.
L'aver dimenticato il cardio-frequenzimetro mi metteva al riparo dall'ansia da frequenza cardiaca.

Ho corso come facevo un tempo : "a sensazione". Quando venivo affiancato da un podista che andava più di me, cercavo di seguirlo per qualche centinaio di metri.
Per alcuni tratti mi sembrava di volare come un tempo.

Un'amica, sorpresa per vedermi correre sul percorso più breve mi ha chiesto :
"Dì la verità a quale maratona ti stai preparando ?"

A caldo mi sono sentito di rispondere.
"Vivere ancora per i prossimi 20 anni. E' una maratona molto lunga ma spero di arrivare in fondo!"

Ho preso un bicchiere di The caldo è ho ripreso a volare.

domenica 2 ottobre 2011

Maratonella


Stamattina l'Autunno sembrava mettere fuori la testa. I quattordici gradi alle sette del mattino provocavano qualche brivido, ma il cielo era terso e il sole di li a poco avrebbe portato il caldo di un’estate che non se ne vuole andare.

 A Campalto, dalle parti dell’Aeroporto di Venezia, si correva una corsa competitiva su due distanze : 15 e 30 chilometri. Per il percorso più corto c’era l’opzione “non competitiva”, fatta apposta per me e ritirato il pettorale 131 con la sigla NC mi sono allineato alla partenza.

Approfittando di alcuni spazi ho potuto partire con i Top Runner in prima fila. Al mio fianco c’era Salvatore Bettiol, il maratoneta degli anni 80 e 90. Al via siamo scattati insieme. Da quel momento, sono stato risucchiato da quasi tutti, in pochi chilometri.

La corsa è stata divertente. Non ho fatto fatica tenendo sotto controllo il cuore che, progressivamente ha aumentato le frequenze. Ho avuto modo di parlare con molti podisti che occasionalmente mi affiancavano. Chiacchierare fin che c’è fiato è un modo simpatico per distrarsi e non pensare alla fatica.

Verso la fine il cardio-frequenzimetro ha cominciato a dare i numeri. Lo fa ormai sistematicamente. Sembra stancarsi prima di me.  Per evitare “cazzate”, ho rallentato d’ufficio evitando pure di parlare, risparmiando il fiato.

Lungo la laguna c’era modo di “correre affiancati” agli aerei che, quasi a passo d’uomo, atterravano nel vicino aeroporto. Per qualche istante, grazie alla prospettiva,  ho avuto l’impressione di andare alla stessa velocità.

Come in altre occasioni gli organizzatori hanno speculato sull’ultimo chilometro. Lo mettono sempre nel posto sbagliato. Oggi penso fosse indicato quando mancavano più di 1500 metri.

Ciascuno può dar fondo alle ultime energie ma, non sempre bastano ad arrivare al traguardo, che non si materializza mai.




domenica 18 settembre 2011

Due Stent a uno !


Si può dire che la stagione delle non competitive, nonostante l’afa estiva e soffocante, sia cominciata oggi.
Il programma delle corse, questa domenica, era molto ampia e quindi la scelta è andata su quella più comoda e vicina, che permetteva un risveglio normale.
A Dolo i percorsi erano come di consueto 3 : i sei chilometri, i quindici  e i trenta. Quest’ultima misura, suppongo, preparata appositamente per dare modo ai maratoneti di saggiare la resistenza in vista della ormai prossima maratona di Venezia.
Dal canto mio, pur non essendomi mai allenato dopo l’ultima corsa a Colle Umberto, snobbando la distanza più corta ho scelto i quindici chilometri, pur con la consapevolezza che, in caso di difficoltà, avrei potuto proseguire a passo spedito.
Alla partenza, avvenuta puntualmente alle 8.30, ho potuto percorrere qualche centinaio di metri in testa a tutti, poi controllato il battito cardiaco ho rallentato bruscamente. Da quel momento è cominciato un lento e inesorabile scivolamento verso le retrovie del gruppo.
Unica soddisfazione, non sono stato risucchiato dai “Nordic Walking” , quelle persone che, aiutandosi con i bastoncini, si mescolano orami ai podisti in ogni manifestazione.

Prese le misure con il cuore e la velocità, correvo senza eccessiva fatica, riuscendo a scambiare qualche parola con  podisti che nel frattempo mi passavano. Percorrevo un po’ di strada affiancato per poi lasciarli andare.

A un certo punto, un gruppetto che stava sopraggiungendo, stava discutendo di cinema e in particolare del film “Questioni di cuore” con Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart.
Una signora, che sembrava l’esperta della materia, stava dicendo che il film sarebbe passato in televisione nel corso della settimana e lo stava raccomandando ai compagni.
Quando si accostarono mi unii a lei nell’elogiare il film, che avevo visto qualche tempo fa.
“Parla di due persone che colpite da infarto fanno amicizia”, raccontava la signora evitando di svelarne la fine.
“Si è vero però il senso del titolo è duplice, un storia di cuore che diventa una storia di amore”, ho aggiunto io spiegando il doppio senso del titolo.

Di li a poco ci siamo divisi. Io proseguii per il percorso dei 15 km, mentre loro puntarono decisamente al percorso lungo. Mi invitarono con loro ma io ringraziai salutandoli.
Dopo qualche metro, superata la deviazione,  sono stato affiancato da un altro podista. Aveva sessantanni, mi avrebbe detto più tardi.
“Parlavano di infartuati, quei signori e ne avevano uno che correva con loro !”,  dissi al nuovo compagno di corsa.
Il signore mi chiese se correre mi dava dei problemi e che frequenza cardiaca dovevo rispettare.
Poi aggiunse :
“Ti hanno messo anche degli Stent ? Io ne ho uno, tu quanti ne hai ?
“Io ne ho due ! “, risposi senza soddisfazione.

Prosegui affiancato al signore per qualche chilometro, raccontando in parte la mia storia. Poi, senza salutare, in silenzio rallentai. Quel dialogo occasionale mi aveva  aiutato a superare un momento di crisi. Raggiunti gli 11 chilometri, ho smesso di correre e, mantenendo un buon passo, ho raggiuto il traguardo senza difficoltà.

domenica 4 settembre 2011

Si riprende a correre


Si ritorna  a correre. La stagione delle non competitive, dalle mie part,i non è ancora cominciata. Il caldo continua a farsi sentire, ma dalla prossima settimana molti saranno coloro che rimesse le scarpe da running riprenderanno il rito della corsa domenicale.

Le ultime corse estive, che mai hanno visto soste, si corrono tra il fresco dei monti e delle colline, su percorsi che spesso assumono caratteristiche di vere e proprie scalate.

Quindi, dato uno sguardo al programma delle corse pubblicato su Internet, ho trovato la corsa che faceva per me : un percorso collinare a Colle Umberto, poco più in là di Conegliano.
Le colline di quei luoghi sono molto dolci e, pur non essendo particolarmente preparato, l’affrontare qualche pendenza non mi creava nessuna apprensione.
Percorrere le strade venete, di domenica, tra le sette e le otto del mattino, è come un viaggio nel deserto, dove sembra che tutto, non solo le strade, sia abbandonato da qualsiasi forma di vita.

L’unica testimonianza di vita che si trova, sono i gruppi di ciclisti che, a frotte via via sempre più numerose, si avviano in cerca di pendenze. Il resto della specie umana non appare, come assopita, in attesa delle ore tarde del mattino, come lucertole in attesa del sole più caldo.

All’apparire delle colline, l’orizzonte è subito diventato più gradevole. Notando l’insegna dell’Hotel Prealpi, qualche chilometro dopo Conegliano, ho immaginato, vedendolo un po’ fuori luogo, che fosse scivolato a valle a causa di uno smottamento. Le Prealpi infatti cominciano qualche chilometro più su.

La corsa, si snodava tra pendii molto brevi, sempre seguiti da discese utili per buoni recuperi.
Il percorso era segnato in modo approssimativo. Ho perso, più di una volta, la linea dei 12 Km, trovandomi per dei tratti con quelli che facevano i 21 km e terminando con i concorrenti della corsa più breve.
La somma finale mi sta bene, visto che non correvo da giugno.
Durante la gara ho tenuto d’occhio il mio cuore e, quando alla fine della rampa più lunga la frequenza mi è sembrata fuori controllo, mi sono messo al passo e fino all’arrivo non ho più ripreso a correre.
Con i tortellini ottenuti aggiungendo due euro all’iscrizione, mi sono preparato il pranzo.