giovedì 1 settembre 2011

Doppio Salto Mortale

Giusto due anni fa mi "installavano" il defibrillatore. Quel giorno a vederlo appoggiato sul tavolo della sala operatoria, prima dell'operazione, svenni, come un condannato a morte che vede la siringa prima di stendersi sul lettino. Difatti non era e non fu un'esecuzione ma un atto di amore da parte di chi, pur non conoscendomi,  riprese per mano la mia vita assicurandola, come si assicura un bambino che sta imparando i primi passi.
Ritornai in camera, dopo l'intervento, nuovamente cambiato nel giro di otto giorni.
"Doppio salto mortale", direbbe il presentatore del circo equestre.

Due anni, sono lunghi e cercando di percorrerli a passo di corsa, sono spesso incespicato. Il cuore e il defibrillatore hanno entrambi fatto il proprio dovere. Il primo, con orgoglio non ha voluto saperne di avere bisogno del secondo. "Oggi faccio da solo, grazie", è sembrato ripetere ogni giorno al risveglio e, anche nei momenti più difficili, e credetemi, ci sono stati, se l'è sempre cavata da solo.
Il defibrillatore non ha battuto ciglia, superando tutti i controlli fatti fino ad ora, come una fuoriserie di ottima fattura. So che, ha ancora "carburante" per otto anni, un'autonomia da astronave interplanetaria piuttosto che da fuoriserie.
Qualcuno da ottobre del 2010, legge e immagazzina i dati che questa astronave intercostale, raccoglie e trasmette di lunedì in lunedì.
Per curiosità chiederò di leggere la storia di questo ultimo anno quando, tra un mese, per un controllo di routine sarò richiamato ai box. Chissà se sarà possibile leggerla o sarà comprensibile.
Poi c'è questa mia vita, normale per me, meno per gli altri. In fin dei conti sono una persona colpita da infarto, da arresto cardiaco e portatrice di defibrillatore.
"Cosa pensereste voi incontrandomi, conoscendo il mio stato di salute ?". Certo, sono sicuramente uno che deve ringraziare Dio di essere ancora a questo mondo ma,  personalmente mi sento aggrappato alla vita non con un filo sottile, ma con una solida corda. A morire non ci penso nemmeno un po’ e, soprattutto, non è cosa che mi riguarda.

In ogni caso, per scrupolo e per rispetto degli altri, all'inizio di nuove amicizie sono tentato a raccontare il mio stato, a volte anche la mia storia. La chiarezza sin dall'inizio evita delusioni a tutti. Quando ho "giocato" con l'assicuratore chiedendo una polizza vita, atteggiandomi come una persona normale, sono stato accolto come un cliente di riguardo. Quando invece, finito il gioco, ho raccontato la verità, sono di colpo diventato un emarginato, un escluso dal Target, di sicuro una persona poco affidabile per chi intendeva spillarmi un po’ di anni di premi assicurativi.
L'assicuratore quella sera, ha subito risposto : "No, non ti posso assicurare !"
Nelle relazioni personali, temo a volte che possa succedere la stessa cosa, per questo preferisco raccontarmi e senza farmi illusioni, attendo la reazione di chi mi sta davanti.

Nonostante tutto, tendo a dimenticare, illudendomi di non essere mai cambiato, anzi di essere migliorato strada facendo. Per questo motivo mi tuffo con entusiasmo in imprese, che definirei al limite, che spesso mettono in apprensione chi mi accompagna o coloro a cui le racconto.
"Il come stai ?" o "A quanto sono i battiti ?" che mi sento chiedere durante le corse o salendo in montagna, sono un po’ il termometro di questa apprensione che prende chi sta con me. Io tendo a rassicurarli, pur raccontando che il cuore qualche minuto prima era andato per  un po’ fuori giri.
Chi invece si sente raccontare le mie imprese "da Indiana Jones", mi ascolta paziente, poi in modo pacato conclude: "Tu devi ricordarti una cosa : sei malato!".

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