lunedì 20 dicembre 2010

L'omino di Neve


Il freddo di quell'inverno aveva portato con se molta neve. Oramai la neve era un appuntamento fisso per quei luoghi che un giorno sembravano destinati a essere avvolti perennemente dalla nebbia.
Che strano, la nebbia era diventata un ospite occasionale mentre la neve che in passato sembrava un lusso oggi, immancabile, cadeva copiosa tre o quattro volte nel corso dell'inverno,
Mutamenti climatici, che certuni consideravano nella norma mentre per altri, erano l'inizio dell'apocalisse.
Ma per un bimbo di appena sei anni la neve era una cosa che portava con se la sensazione di sorpresa che, solo un regalo inatteso sà dare. La capacità che ha di cambiare il mondo che ci circonda, le dà un un non so che di magico che si accorda con il fantastico e il magico che alimenta la realtà di un bimbo.

Fu così che ben presto, quel manto bianco e immacolato fu attraversato da mani e attrezzi che raccolsero tutta la neve in un unico punto. Il bimbo, in accordo con il padre, scelse un posto all'ombra, al riparo dai raggi del sole.
Quel mucchio di neve pian piano cambio forma, divenne più largo e più alto. Mani anche se poco avvezze alla scultura, pian piano le diedero una forma umana. La testa fu adornata da un cappello di paglia, il naso vistoso fu realizzato grazie a una carota mentre due noci permisero di disegnare gli occhi.
Quel viso fu completato da un ampio sorriso.

Il resto del corpo prese ben preso una fisionomia chiara.
Quel pupazzo era seduto e teneva le braccia piegate sulle ginocchia, sembrava riposare guardando lontano.
La gioia del bimbo fu incontenibile tanto che chiamò a raccolta tutti i parenti e vicini perchè potessero ammirare il suo capolavoro.
Ancora qualche rifinitura e poi finalmente l'opera fu completata.

Quando l'interesse e l'entusiasmo del bimbo si smorzarono, quel mucchio di neve ghiacciata comincio a essere pervasa da strane vibrazioni. Gli occhi, immobili fino a quel momento, si animarono di una luce strana.
Quel pupazzo gelato, come per incanto, prese coscienza di se, cominciò a percepire il mondo che lo circondava e ancorché immobile, l'orizzonte che poteva esplorare con lo sguardo era grande a giustificare la vita.

“Bellissima la vita ! Da qui posso vedere le macchine che passano nella strada. Chissà da dove vengono e chissà dove sono dirette”, si ripeteva in continuazione.

“Posso sentire le voci degli abitanti delle case vicine”, chissà quante cose potrò imparare.

Si era accorto che il bimbo che lo aveva creato, si affacciava spesso alla finestra per sincerarsi del suo stato di salute, a verificare se tutto fosse al suo posto e se non ci fossero stati cedimenti.

Lui stava benissimo. I giorni successivi alla nevicata furono gelidi e la bassa temperatura contribuì a rendere la neve ancora più compatta.

“Sono talmente ghiacciato che i raggi del sole non riusciranno a sciogliermi”, pensava ed era talmente euforico che riteneva di poter resistere al sole e alla buona stagione.
Il bimbo lo visitava regolarmente. A volte riassestava qualche pezzo di neve che qualche uccellino nell'appoggiarsi aveva spettinato, rimettendo tutto come prima.

Ben presto invece il tempo cambiò, la temperatura si alzò quel tanto da infastidire la neve e il ghiaccio di quell'omino.
L'ottimismo comunque sembrava non abbandonarlo.
“L'inverno è ancora lungo, e il freddo non tarderà a ritornare”, usava ripetersi per rassicurasi.
Ma il freddo, indugiò per qualche giorno in più e qualche pezzo di neve cominciò a sciogliersi, staccandosi e cadendo fragorosamente. Niente di irreparabile, nel complesso tutto sembrava come prima e soprattutto lui stesso, non volle preoccuparsi oltremodo.

“Non sarà un piccolo pezzo di neve caduto a pregiudicare la mia compattezza. Sono stato costruito su una base solida e compatta. In ogni caso il bimbo arriverà e rimetterà tutto a posto”.
Il bimbo preso da altri interessi, dimenticò di ritornare dal suo capolavoro di neve che, purtroppo, continuò a subire le angherie dei raggi del sole.

“Non fa niente”, diceva un po' provato il pupazzo, “posso ancora vedere e udire distintamente tutto come all'inizio, vale la pena vivere anche in queste condizioni”.

Nel frattempo vedeva il bimbo giocare lì vicino, con la poca neve rimasta e, soffriva nel notare come, quel ragazzino che lo aveva tanto desiderato, non si curasse più di lui. Non si spiegava inoltre, il perché non si avvicinasse nemmeno per un momento a riassestare qualche zolla di neve in procinto di staccarsi.

Con i giorni successivi, la situazione divenne sempre più critica. Il gelo tanto atteso non era arrivato e men che meno la neve. Il sole aveva continuato inesorabile la sua opera di scioglimento. Il blocco di neve si era via via sempre più inclinato.
Il pupazzo divenne sempre più debole, non vedeva e udiva come prima. L'orizzonte appariva popolato da ombre irriconoscibili mentre i suoni sembravano più che altro dei rumori, quasi dei disturbi.
E così arrivò il momento che tanta fu l'inclinazione, che il tutto crollò. La carota del naso scivolò sul terreno e le noci, che da un po' non vedevano più, rotolarono lontano.
L'omino di neve, incosciente era pervaso da un torpore che lo rendeva insensibile a quello che stava succedendo e i suoi pensieri si dispersero, a volte incompiuti, altre volte indecifrabili, in rivoli d'acqua che lentamente presero la via dei ruscelli che irrigavano la campagna lì intorno.

Quella stessa acqua che poche centinaia di metri più a valle veniva assorbita dalle radici degli alberi e delle piante che si preparavano al risveglio che, con la buona stagione, sarebbe arrivato.

Quel pupazzo di neve e ghiaccio che tanto caparbiamente aveva resistito al sole e al caldo, aveva, a sua insaputa, custodito un po' acqua per le piante e i fiori di primavera per distribuirla gradualmente durante il suo lento disgelo.

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