mercoledì 25 gennaio 2012

Gli ultimi quattro giri

“Tra quindici giorni farai un 10 mila”, mi disse l’allenatore una sera di maggio appena terminato l’allenamento.
“In pista, un diecimila ?”, chiesi come a voler dire, “Non sono preparato, posso giustificarmi ?”.
“Si,  ti ho già iscritto”, mi disse con il tono di chi domina i programmi dei suoi atleti.
Da quel giorno fu come avessi segnato sul calendario una ricorrenza importante. Una data a cui non potevo sfuggire. Quella gara mi procurò, nei giorni successivi, un ansia e un pensiero continuo.
Sapevo che sarebbe stata una sofferenza.
Non mi spaventava la distanza. Già le tabelle di allenamento che stavo seguendo, prevedevano un allenamento ad andatura medio veloce, sui diecimila metri, tutti i mercoledì.
Io rispettando diligentemente quanto previsto, percorrevo la distanza su un circuito, presso gli impianti sportivi vicino casa, della lunghezza di 1200 metri : poco più di otto giri.
Riuscivo a tenere una andatura di poco inferiore ai  quattro minuti al km e, dopo meno di 40 minuti la sofferenza e lo sforzo finivano.
La pista invece, con i sui 400 metri di lunghezza, non mi era mai piaciuta. Troppo difficile dal punto di vista mentale inanellare chilometri girando in un anello così breve.
Non sopportavo nemmeno fare i 3000 metri, che finivano dopo appena sette giri e mezzo.
Per fare 10000 metri bisognava concludere 25 giri di pista !
“Un’agonia e una sofferenza”, pensavo nei giorni che precedettero al gara.
La gara arrivò un sabato di Maggio. Il meeting era tutto dedicato ai 10000 in pista.
Gli iscritti erano tutti giovani e probabilmente io, con i miei 37 anni, ero il più vecchio.
Le batterie erano congegnate in modo da mettere in gara atleti delle prestazioni paragonabili. A me, che non avevo mai corso la distanza,  assegnarono l’ultima batteria, quella che avrebbe chiuso il meeting.
Dopo la prima gara, capii che tra me e il più scarso dei concorrenti, c’erano alcuni minuti di differenza. Avevo la netta sensazione di essere capitato nel posto sbagliato.
Ma ormai c’ero e decisi di partecipare, qualunque fosse stato il risultato.
Più la gara si avvicinava, più la mia inquietudine cresceva.
Quando mi chiamarono alla partenza, l’ansia sparì. Mi accostati agli altri e tremante attesi il fatidico sparo.
Partii  con la stessa lena degli altri ma, dopo poche centinaia di metri, capii che quel ritmo sarebbe stato un suicidio per me. Rallentai e mi lasciai sfilare in fondo a tutti .
Passai al primo km in tre minuti e trenta secondi, già un po’ distaccato dal gruppo.  Da quel momento mi preoccupai solo di arrivare trovando il ritmo giusto. Rallentai fino ad correre su ritmi a me più congegnali, facendomi doppiare più di una volta dagli altri concorrenti.
Contavo i giri che mi mancavano ad ogni passaggio sotto l’arrivo.
Ad un certo punto, mentre percorrevo la parte opposta al rettilineo finale, sentii le voci concitate del pubblico che assisteva all’arrivo dei primi. Quando passai, ormai solo in pista, sotto l’arrivo, i giudici di gara avevano impostato il contagiri a -4. Mi mancavano ancora 4 giri.
Percorsi quegli ultimi 1600 metri come fossero in leggera discesa. Pensando a ogni passaggio che oramai era finita.
Tagliai il traguardo in 38’ e 59”. I giudici, che mi stavano aspettando, avevano tutta l’aria di chi aveva molta  fretta di andare a casa.
Entrai negli spogliatoi dove alcuni dei miei avversari erano già usciti dalla doccia.
Salutai, con un certo imbarazzo, dicendo : “Sono arrivato”, ma nessuno mi accennò qualcosa che potesse assomigliare a una sorta di risposta.
L’allenatore, valutando il tempo, probabilmente compromesso dalla partenza a razzo, mi disse che potevo fare meglio e con l’esperienza avrei imparato a gestire meglio la gara.
Io gli risposi che quell’esperienza mi sarebbe bastata per il resto dei miei giorni.

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