martedì 9 novembre 2010

L'estate di San Martino

Qualche anno fa, quando c'erano ancora le nebbie, passavo i sabato mattina a casa da solo. Mia moglie lavorava, mio figlio era a scuola. La prima perte della mattinata era dedicata a qualche commissione, poi verso le dieci, indossati i panni da "runner" partivo per un "lungo", un allenamento di venti o più chilometri allo scopo di allenare la resistenza allo corsa prolungata. Me ne stavo fuori un paio d'ore a correre tra le strade di campagna delle mie zone, spingendomi qualche volta fino alla Riviera del Brenta, famosa per le sue ville venete. Il paesaggio tra natura e architettura era vario e piacevole.
La corsa mi veniva facile e non avvertendo nessuna fatica potevo guardarmi intorno come se stessi viaggiando in macchina facendo attenzione ai particolari e ai piccoli eventi che incontravo strada facendo.
Il ritmo era spesso scandito dalla radio che mi acccompagnava in queste lunghe sgroppate mattutine.
In novembre era abbastanza normale ritrovarsi a correre fra la nebbia o il freddo di una gelata. I primi minuti erano sempre un pò difficili.

Non portavo mai con me ne i guanti ne il berretto di lana sapendo che dopo 10 o 15 minuti, una volta scaldatomi,  mi sarebbero stati di impiccio. Per questa ragione però passavo il periodo iniziale con orecchie e le mani gelate che sembravano dovessero sgretolarsi da un momento all'altro.
Poi pian piano il senso di gelo spariva lentamente, le mani e il viso si rianimavano di un calore sempre più forte, ritornando a muoversi normalmente, insensibili al gelo che fino a poco prima le teneva bloccate.
Da quel momento in poi tutto diventava piacevole. Come un diesel alla giusta temperatura mantenevo il ritmo che controllavo spesso  lungo il percorso verificando i tempi di passaggio davanti ai  riferiemnti che, numerosi, mi ero creato lungo il percorso.

Niente era stato misurato, ma ricordavo perfettamente i tempi di passaggio su un ponte o davanti a una casa colonica o girando attorno a un  capitello. Tutto molto naif ma molto efficace in quanto sapevo benissimo quando stavo andando forte o quando invece ero imballato. Non tutti i giorni erano uguali e se cominciavano male difficilmente si raddrizzavano. Comunque anche quando andavo da schifo, mettevo il motore al minimo e continuavo senza fretta ascoltando rilassato la musica.

Il percorso, per la prima parte, si snodava lungo una stradina bianca, immersa nei campi  con poche case. Poi per qualche chilometro lungo una strada asfaltata raggiungevo l'argine di un canale che dritto dritto mi portava verso la Riviera del Brenta. La strada di ritorno era spesso la stessa, altre volte una deviazione mi portava in paese dove attraversavo il bellissimo parco per poi arrivare a casa passando vicino agli impianti sportivi, dove  ero solito svolgere gli allenamenti veloci su un percorso misurato, lungo poco più di un chilometro.

In quelle mattine di Novembre la nebbia rimaneva bassa a volte fino a mezzogiorno, più raramente per tutta la giornata. La mancanza di un orizzonte, rendeva la nebbia una sorta di liquido entro cui "nuotare" e questo era in qualche modo confermato dalle migliaia di goccioline microscipiche che sentivo infrangersi sul viso.
Quando il sole riusciva a filtrare, la luce diffusa illuminava i campi in maniera irreale e il tepore si avvertiva immediatamente. Il calore sembrava a volte fuori stagione e il giorno iniziato con il freddo e il grigiore della nebbia diventava improvvisamente luminoso e quasi primaverile.

La velocità del ritorno dipendeva da come avevo percorso i primi 10 o 15 km. Un ritmo sostenuto portava a un viaggio di ritorno più rilassato, caratterizzato da un certo appagamento e compiacimento.

La corsa terminava, qualunque fosse stato il percorso, sempre nello stesso punto, a cento metri da casa. Là mi fermavo, bloccavo il cronometro e cominciavo a camminare: Il cuore velocemente tornava sotto i 100 battiti al minuto.
Ero pervaso da una sensazione di rilassamento totale, aprivo il cancello entrando a casa, che di solito mancava poco a mezzodì.
Mi sedevo sulla soglia di casa e guardavo i campi di fronte a me. Si erano appena liberati dalla brina della notte e la nebbia si era  dissolta forse solo per poche ore.
Ho un ricordo bellissimo di quelle mattinate e non le potrò mai dimenticare.

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