La rete quando ero piccolo, altro non era che quel recinto eretto da mio padre a "difesa" della casa.
Per me, un pò sognatore ma molto esuberante, era una sorta di recinto carcerario che limitava il mio raggio di azione e le mie scorribande.
Io avevo imparato, appena cresciuto, a scavalcarla per fuggire e ritrovarmi con le bande di ragazzini della mia eta.
Oggi la bande non esistono più e i bambini vengono confinati dentro a palestre o piscine per fare attività "ricreative" o sportive sotto gli occhi vigili di maestri e educatori di ogni tipo, con con ritmi a volte inopportuni e incuranti delle necessità dei bimbi.
Peccato, per i bambini e per un tipo di mondo passato fatto di cortili polverosi e giochi e giocattoli semplici.
Lo scavalcamento della rete fu per qualche anno, una attività quotidiana, un'evasione che mettevo in atto appena pranzato, dopo il ritorno da scuola. Il mio pensiero fisso, allora, era quello di andare a giocare a pallone con gli altri ragazzini. Ogni giorno una sfida nuova contro avversari diversi o rimescolati.
Il calcio, per me, veniva prima dei compiti e questo contrastava con il volere di mia madre, che pensava esattamente il contrario.
"Prima finisci i compiti, poi fai quello che vuoi", mi ripeteva un giorno si e l'altro pure.
Ma i sogni e i desideri per ciascuno di noi, e questo mia madre lo sapeva, vengono sempre prima dei doveri e così solo dopo qualche anno, smessi i calzoni corti, mi adeguai alla regola.
Fu così che continuai, quasi ogni giorno a scavalcare la rete nei pomeriggi, qualsiasi fosse la stagione.
Ma le cose non erano poi così facili. Io stavo finendo le elementari, mia madre era giovane e abbastanza veloce ma avevo, purtroppo, una sorella di poco più piccola.
Lei la rete non la sapeva saltare, e così subito dopo aver scoperto la mia fuga correva ad avvertire mia madre:
"Mio fratello ha saltato la rete, è andato a giocare a pallone!", diceva di li a poco.
Mia madre, qualche volta faceva finta di non sentire, ma altre volte, molte se ben ricordo, si armava di una una specie di frustina, la chiamava "viscia" ( con il suono duro,non come sciare), e correva a riprendermi.
La disputa era una sorta di inseguimento tra guardie e ladri, dove spesso ho avuto occasione di assaggiare nelle gambe la "viscia". Tornavo a casa correndo e mi mettevo a fare i compiti.
Non nego di avere tentato anche più evasioni in un giorno, rischiando comunque le vergate alle gambe.
Per me la parola rete ha identificato un ostacolo da saltare, ciò che mi divideva dalla mia passione di allora: giocare a pallone. Non era ancora il fondo della porta che si gonfiava a seguito di un goal. Le porte dei campi da calcio della mia infanzia non avevano la rete, spesso neppure la traversa.
Poi sono cresciuto ed è arrivata lei : La Rete, Internet. La stessa parola ha assunto un nuovo significato che con il passare del tempo ha via via sovrastato i significati già conosciuti.
Da tempo frasi tipo : " mi sono collegato alla rete", " sono in rete", ecc.. sono diventate comuni e la parola rete progressivamente ha identificato nel nostro immaginario la parola Internet.
Il progresso continua a creare cose nuove ma difficilmente nascono nuove parole, spesso si danno nuovi significati a parole già esistenti o ereditiamo parole da altre lingue.
Una denuncia analoga a quella di mia sorella, detta ai giorni nostri, potrebbe indurre una madre a verificare cosa stia facendo il figlio davanti al computer piuttosto che a farle sbirciare i giardinetti per verificare se sta giocando a calcio.
Potrebbe suonare più o meno così :
"Mio fratello sta giocando a calcio, prima di fare i compiti!".
Il massimo della pena potrebbe essere il cambio password di accensione del PC.
La "viscia" di quegli anni, se usata oggi, giustificherebbe una chiamata al Telefono Azzurro.
Assieme alle cose, ai significati delle parole sono cambiate, molto, anche le persone.
Nessun commento:
Posta un commento