Il primo Ottobre, San Remigio, per me e quelli della mia generazione significava una sola cosa : il primo giorno di scuola.
Ho nella mente il mio primo giorno di scuola, l'aula della vecchia scuola del mio paese, il nome della mia maestra che mi accompagnò solo per quel primo anno per poi sparire e andarsene per sempre dopo pochi anni.
La scuola del mio paese, in quegli anni, sembrava piccola tanti erano i ragazzini che la frequentavano. Era una vecchia villa veneziana convertita a scuola, con grandi stanze dal soffitto alto. Non ricordo più quanto e come fosse riscaldata durante i feddi inverni di quegli anni. Mi sembrava accogliente in tutte le stagioni e ci andavo volentieri.
Costruita su due piani aveva una piccola rimessa dove abitava la bidella, una vecchina, nei miei ricordi, che riusciva da sola,ad accudire a tutti quegli spazi.
Il cortile davanti, recintato era sontuoso. Un prato d'erba diviso in due dal viottolo d'ingresso lastricato da piastre di marmo, che portava alla scalinata. Era talmente grande da riservare spazio per tutti, da una parte le bambine dall'altra i bambini.
Su quel prato ho giocato partite di calcio lunghe un intervallo o pomeriggi interi e memorabili sfide a "Bandiera".
Alla fine delle lezioni, verso le 12.30, incuranti della fame, verso gli ultimi anni, eravamo capaci di fermarci per gli ultimi calci e l'ultima sfida a chi agguantava per primo il fazzoletto.
Le aule erano sufficienti per le cinque classi elementari, tutte numerose. Al piano terra i più piccoli, al piano superiore la quarta e la quinta.
La prima elementare l'ho passata nell'aula di destra subito dopo l'entrata. Forse eravamo 27 - 28 alunni in una classe mista equamente divisa tra maschi e femmine.
All'aula non mancava niente : c'era la grande lavagna basculante, la carta geografica oggetto di tanti sogni e viaggi immaginari, il crocifisso e una cattedra semplice e disadorna su cui stava l'insegnante.
Due file di banchi riempivano la stanza divisa da uno stretto corridoio lungo il quale era solita camminare per controllare la maestra.
In legno scuro, usurati, ci ospitavano in coppia. Avevano il calamaio per riporci l'inchiostro per chi voleva scrivere con il pennino. Scuri li ricordo come i grembiuli che indossavamo, neri per non far vedere lo sporco, con la ciocca blu per i maschi, rossa per le femmine.
Sedevamo su degli sgabelli reclinabili mentre il piano di appoggio un pò inclinato era tutto segnato da incisioni che riportavano, nomi o semplicemente linee. Su quelle incisioni, più o meno diritte, ben presto cominciai a giocare come fossero delle piste dove far correre la punta della matita come fosse una macchinina.
Su quei banchi imparai a scrivere cominciando dalle "aste" sui quaderni a righe e a quadri larghi da prima elementare, anche se mio zio Bepi mi aveva già insegnato i principi dello scrivere.
Il libro di lettura fu la palestra dove appresi la lettura. Negli anni successivi , forse dalla terza elementare, fu affiancato dal sussidiario.
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