sabato 6 agosto 2011

Il cuore sbucciato

Da ragazzo giocavo a calcio nei posti più disparati. Non era la disponibilità dello spazio a far nascere partite e sfide, ma l'avere tra le mani un pallone.
Poi bastava un cortile, un angolo, uno spiazzo qualsiasi per far nascere uno stadio.
La palla unitamente alla passione erano l'essenza del gioco.
Tutti gli altri accessori non erano significativi. Si poteva giocare con le scarpe chiodate su un campo regolamentare, come indossando i vestiti della festa davanti alla chiesa, finita la messa domenicale.

Naturalmente non sempre vestiti, scarpe appena lucidate e ginocchia ne uscivano indenni. Spesso era preferibile avere le ginocchia sbucciate, piuttosto che tornare a casa con il vestito della festa strappato.

Quando invece, ci si sbucciava le ginocchia, passati i primi minuti, spaventati dal sangue che sembrava non fermarsi mai, dopo un sommario pronto soccorso fatto con l'acqua fresca si tornava a giocare e a correre, incuranti del rigolo di sangue che continuava a scendere lungo la gamba.

D'estate, quando si girava con i pantaloni corti, ci veniva detto che il sole caldo aiutava a rimarginare la ferita che sarebbe, quindi, guarita più in fretta.

Oggi pomeriggio, ricordando quelle ginocchia sbucciate e visto il sole cocente, ho pensato che forse, quest'ultimo, poteva fare per me, aiutandomi a guarire le ferite che ancora ogni tanto si riacutizzano nel mio cuore.
Aiutandomi con della buona musica ho camminando sotto quel sole cocente, senza pensare.
Quel caldo ha fatto l'effetto sperato e, tornato a casa, già mi sentivo un po' meglio.

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