mercoledì 29 giugno 2011

Ping

E’ il comando forse più conosciuto da coloro che si occupano di telecomunicazioni, in particolare da chi ha a che fare con internet.
Qualsiasi dispositivo connesso alla rete è in grado di riconoscere e rispondere a questo comando.  La macchina che lo riceve, sia essa un PC o un qualsiasi altro sistema connesso alla rete e individuabile da un indirizzo univoco, rimbalza tutto ciò che ha ricevuto verso il mittente, come in una sorta di partita a Ping Pong telematica.
Il rimbalzo, ritornato al mittente, permette misurazioni di tempo, di distanza, di velocità ma soprattutto conferma la connettività e il suo corretto instradamento.
Non sempre le risposte ritornano alla base o raggiungono il destinatario, ma questo può non essere sintomo di malfunzionamenti. Il protocollo e la gestione degli errori che lo caratterizza, sono in grado di comprendere quando un messaggio va ripetuto nel caso l’interlocutore si dimostri sordo o preso da altri pensieri.
Spesso, lanciato con ossessionante metodicità, serve a scoprire comportamenti intermittenti, permettendo un primo approccio a problemi subdoli e nascosti.
In questo caso la cadenza prende quasi il ritmo di un battito cardiaco, un Ping a ogni secondo riempie il video di righe quasi tutte uguali.
Quando qualcosa non funziona, nel video compaiono dei “buchi”, delle righe vuote a ogni mancata risposta.
In quei momenti le righe che scorrono sul  video, improvvisamente si fermano, aspettano ma, quando riprendono a salire verso l’alto, compare una riga vuota a evidenziare il temporaneo black out.
Gran parte del mondo di Internet si basa su meccanismi molto simili al Ping. In alcuni casi si chiamano “Keep Alive”, altre volte “Acknowledge” o “Heart Bit”, ma questi comportamenti hanno la funzione di tenere tutti in contatto con tutti, in un continuo e reiterato abbraccio.
Tutta la rete è percorsa in ogni momento da questi messaggi silenziosi, da un rumore di fondo continuo che come un collante unisce uomini e cose, permettendo di conoscere se una macchina sia accesa dall’altro capo del mondo o se una persona di la dal mare sia in casa o al lavoro.
Tutti sembrano sincerarsi della presenza dell’interlocutore prima di parlare, dell’esistenza di una strada sgombra prima di partire, insomma l’essere sconnessi terrorizza la rete e i suoi abitanti.
Tutto è molto simile a quando io, appena colpito al cuore dalla malattia, vivevo dissociato dal mio cuore. Pensavo di dovermi occupare di lui come fosse solo lui il malato ed io quasi non centrassi, anche se temevo che si dimenticasse di me, che mi abbandonasse improvvisamente.  Dovevo mantenere, alimentare il legame cercando conferme continue.
Così passavo molto tempo in silenzio ad ascoltare il battito. A volte non serviva nemmeno poggiare le dita sul polso. Tutto, in apparenza, era ritmato come un orologio di precisione.
La lentezza dei battiti mi dava tranquillità. Quell'andare lento, come un motore al minimo, pensavo mi garantisse margini d’incremento tali, da mettermi al sicuro dalle fibrillazioni che mi avevano abbattuto.
Poi, nel silenzio, avvertivo una sensazione di vuoto, un battito non pervenuto come un ping senza risposta. Anche nella mia mente il progredire del ritmo segnava il passo, come le righe ferme dello schermo.
Scaduto il tempo di attesa, spariva il senso di vuoto e ricompariva rassicurante un nuovo battito.
Anni or sono tutto questo mi ha fatto vivere momenti di paura.
Oggi succede più volte durante la giornata.
Attendo con pazienza come un tempo, quel lungo secondo, prima di sentire il ritorno alla normalità.
Il protocollo ha funzionato il collegamento risulta ripristinato.
La vita continua.

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