Si parte, sono le 9.30 spaccate. Il clima è quello delle
grandi corse. Tanta gente, stand di materiale tecnico, lunghi tavoli che
serviranno per il ristoro finale e lo speaker urlante che intrattiene tutti con
informazioni non sempre pertinenti .
Percepisco la partenza, ma di fronte a me nessuno si muove.
Sono un po’ indietro, tra qualche secondo l’onda arriverà anche dalle mie parti
e potrò finalmente mettermi in moto. La giornata è splendida, perfetta per
correre e abbandonare ogni pensiero. Non
mi sento bene, ma spero, anzi credo, che una volta partito il motore si olierà e tornerà la solita
leggerezza.
Finalmente, davanti a me, le persone iniziano ad avanzare.
Faccio i primi passi attento a non inciampare e a non far incespicare. Pian
piano il passo si fa più frequente e ampio, finalmente corro.
La strada punta verso il paese con un impercettibile pendio che non aiuta le
mie gambe legnose, anzi, più avanzo e
più si appesantiscono. Rallento anche per calmare il respiro che si sta facendo
affannoso.
Corro senza nessun riferimento, ne cronometro, ne cardio-frequenzimetro,
nemmeno cerco i riferimenti chilometrici che sicuramente stanno ai lati del
percorso. La strada, dopo qualche minuto, sembra accentuare la salita. Faccio
fatica.
“Tra poco c’è la discesa”, mi racconto per non mollare.
Non mollo e la discesa quasi inaspettata arriva, breve,
troppo breve . Dopo una curva che gira attorno a una casa compare il pendio, la
salita. Stavolta si sale davvero.
Continuo a correre, il respiro è affannoso ma salgo con insospettata agilità. “Meglio
del previsto”, penso mentre medito di proseguire a piedi, per non scoppiare ma
soprattutto ascoltando il buon senso.
Non sono l’unico a camminare. Posso considerarmi nella
media. Chi un po’ prima, chi un po’ dopo ma, molti di coloro che stanno nelle mie vicinanze
continuano al passo. Il respiro intanto si normalizza. Le gambe invece faticano
ad avanzare.
Il sentiero si inerpica tra la vegetazione, fitta da coprire
il sole. La terra è umida, a tratti resa fradicia dalle piogge dei giorni
scorsi. Ci vorrebbero le scarpe chiodate per salire ma soprattutto per quando,
tra un po’, si dovrà scendere.
Chi ha sistemato i ristori lungo il percorso deve saperla lunga su chi corre.
Compaiono quando servono. Non sono dei supermarket, i più hanno solo acqua, ma ce ne sono più del
dovuto. Fermarsi è d’obbligo per me. Un bicchiere d’acqua rinfresca il cuore.
Ripartire non è facile, ma dopo pochi metri si va che è un piacere.
La salita diventa ancora più ripida, scivolosa. Qualcuno si
aggrappa per non andare a gambe all'aria. Nel tratto più duro si sale aiutati da
scalini fatti di tronchi.
Giunti in cima, la scritta GPM annuncia che quello è il punto più alto del percorso. Dopo una curva ricompare per pochi attimi il sole. Prima di ritornare nel bosco, ecco il ristoro.
Giunti in cima, la scritta GPM annuncia che quello è il punto più alto del percorso. Dopo una curva ricompare per pochi attimi il sole. Prima di ritornare nel bosco, ecco il ristoro.
Inizio la discesa piano, bisogna recuperare,
calmare il cuore. Poi appena scompare l’affanno , accelero, mi butto giù
lungo il pendio concentrandomi sugli appoggi.
Mi lascio alle spalle molti concorrenti un po’ più cauti nello scendere.
Rallento a tratti, per riprendere fiato
e per affrontare le zone più fangose e scivolose dove le scarpe affondano senza controllo.
Il pendio si fa un po’ meno ripido, si corre in falsopiano
per lunghi tratti e le gambe tornano a protestare.
Finito il bosco il percorso attraversa prati dove, i molti
che mi hanno preceduto, hanno calpestato ben bene l’erba. Il terreno è
fradicio, quasi paludoso. Non riesco a evitare di affondare i piedi in pozze d’acqua
nascoste dall’erba.
"Il più è fatto!", mormoro. Qualcuno, che ascolta, mi avverte che la salita non è ancora
finita. Puntuale la rampa compare di li a poco ma riesco a superarla senza andare al
passo. Mi affianco a qualcuno per scambiare qualche battuta, ma soprattutto per non
mollare.
Da un po’ non compaiono segnalazioni chilometriche. Cerco il
campanile del paese. So che dovrò arrivare da quelle parti. Non lo trovo ma, al
suo posto compare inaspettato il cartello dell’ultimo chilometro.
“Spero l’abbiano misurato giusto “, commento a bassa voce,
pensando che ogni passo fatto è un passo in meno da fare.
Ricompare la strada asfaltata e molte macchine in sosta. Ci
siamo, l'arrivo è vicino. Dopo una curva intravvedo l’arco azzurro da cui ero partito più di un’ora prima.
Aumento l'andatura per finire il prima possibile.
Aumento l'andatura per finire il prima possibile.
Prendo la corsia dei 12 km. Sul traguardo guardo il
cronometro : 1.41.45. Una ragazza mi da un cartellino su cui c’è scritto la mia
posizione : 665
Nessun commento:
Posta un commento