Mio padre diceva che non avrei mai
fatto carriera nel mondo del calcio perché non avevo la grinta
necessaria.
Difatti di carriera nel calcio non ne
ho fatta, di certo la grinta non era sufficiente, ma sono convinto
che questa non sia stata l'unica motivazione.
Ritornando alle parole di mio padre di
certo, esse avevano un effettivo fondo di verità. Non giocavo male a
calcio, ero dotato di una buona tecnica, atleticamente ero adatto e
avevo anche delle doti di leadership che mi hanno, soprattutto nelle
categorie giovanili, fatto vestire i gradi di capitano della squadra.
Giocavo mediamente bene e, quando
facevo l'attaccante, mi riusciva anche di fare spesso qualche goal.
Il mio approccio però alla partita era sempre in po' da spettatore,
da quello che non riusciva a far andare le cose come voleva lui. Mi
capitava quasi sempre di non entrare completamente in partita.
Non era quindi la grinta a motivarmi,
che al contrario mi avrebbe fatto entrare ogni volta in campo con la
voglia di spaccare il mondo.
Mi piaceva giocare e far giocare
privilegiando la forma e la bellezza, alla sostanza e alla grinta.
Applicando queste regole non sempre era
facile vincere.
Altre volte a partita iniziata ero
baciato da un particolare stato di grazia, che poteva scattare per
mille motivi : un bel passaggio, un duello vinto oppure l'aver visto
a bordo campo qualcuno, a cui tenevo, che era venuto a vedermi. Da
quel momento diventavo imprendibile, riuscivo a vincere quasi tutti i
contrasti, facevo cose impensabili e tutto mi riusciva di una
facilità estrema. Non di rado in quelle occasione riuscivo pure a
fare goal. Questa condizione riusciva a far emergere pure la grinta e
una maggiore voglia di lottare, con la convinzione di poter superare
l'avversario.
Mio padre dopo prestazioni simili non
finiva di elogiarmi, ma alla partita successiva ritornavo, quasi
sempre, nel solito torpore.
Quindi più che aiutato dalla grinta
ero caratterizzato dall'estro che scattava secondo dinamiche del
tutto imprevedibili.
Non ho mai capito quali potessero
essere le situazioni capaci di far scattare questo stato di grazia.
Nel prosieguo della vita ho potuto
verificare che tra le condizioni esterne capaci di motivarmi nel
raggiungimento di certi obiettivi c'era la famiglia e lo stato
affettivo, mentre per tutti gli anni in cui ho praticato la corsa, ho
potuto beneficiare dello stato di benessere indotto dalla attività
fisica, capace di trasmettere energia e una visione della vita del
tutto positiva.
Un tempo paragonavo questa condizione a
quella leggera ebrezza che prende dopo aver bevuto un bicchiere di
vino.
Oggi pensavo questo, mentre correvo
lungo la pista ciclabile e a un certo punto ho cominciato, in
centro al paese, a saltare come un ragazzino sopra i parra-carri
posti al lato della strada, incurante dei giudizi di che stava
guardano.
Era palese a tutti che a fare quei
gesti non era un ragazzino, ma un ultra cinquantenne, ma a me andava
di farlo e stavo bene, sicuro di non farmi male o scivolare.
Passato il paese, preso da questo
inatteso benessere, ho pensato bene di fare degli allunghi, come ai
bei tempi. Appena il respiro cominciava a diventare affannoso,
pensando al mio cuore, rallentavo immediatamente. In ogni caso ho
ritrovato, per qualche minuto, quello stato di grazia provato nei
campi di calcio di quando ero ragazzo.
Forse non ho mai capito di essere più
creativo che tecnologico, più estroso che grintoso.
Meglio, l'ho capito troppo tardi.
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