Il buio e il silenzio sono,
usando un termine matematico, i limiti tendenti a infinito delle parole luce e
suono.
Il buio è la luce più fioca che
si possa immaginare come silenzio è il suono più basso che l’udito riesca a
percepire.
Mi piace pensarli come una sorta
di vacanza per la vista e l’udito, i sensi che in qualche modo ci danno la
percezione dello spazio. Ciò che rimane a disposizione dei nostri sensi è la
prossimità, tanto che il mondo a nostra disposizione si riduce all’aperura
delle nostre braccia
Succede di questi tempi, che
molte serate siano caratterizzate dal silenzio. La televisione è spesso compagna
dei lavori domestici. Alla fine la metto a tacere e diventa buia come le notti di
questo autunno appena iniziato.
La stanza da letto è lontana
anche dai rumori della provinciale. Il silenzio in certi momenti è davvero
assoluto.
Rimane quasi fosse un ronzio, il
frullare dei pensieri, caratterizzati da qualche proposito su “cosa farò domani”
e, di tanto in tanto, da qualche sogno a occhi aperti.
I rumori della nostra mente, non
si spengono mai, e, come il rumore di fondo dell’universo proviene dal mitico
big bang, essi ci accompagnano dalla nostra nascita.
Nemmeno il sonno riesce ad
addormentarli.
Ma quando il silenzio sembra sia
sempre più protetto dall’ora tarda, ecco che voci concitate, ricreano lo spazio
che sembrava svanito. Le parole
provengono da qualche stanza del palazzo. Impossibile non ascoltarle, come
impossibile ignorarne la natura rissosa. Qualcuno sta litigando e nel diverbio
le parole perdono il senso della misura. Sembra di assistere una gara dove
vince, chi riesce a essere più duro verso l’altro. Dopo poco la rissa non ha ne
capo ne coda.
Sto là ad ascoltare e aspetto che
lo sfinimento o il buon senso, chiuda la bocche, come aspettavo sere fa che qualcuno
spegnesse l’allarme in piena notte, ignorando, per un po’, che dovevo farlo io.
Ascoltando quelle voci rimpiango
il suono straziante, ossessivo ma sensato dell’allarme.
Poi, pian piano, le urla sempre
più vuote di violenza, ritornano a essere voci, poi parole che spesso terminano
con un “buna notte”, sigillo di una tregua temporanea.
Chissà, mi chiedo, se i due litiganti ricordano ancora i motivi
della rissa.
Poi il silenzio ritorna ad
accompagnarsi al buio mentre il sonno nel frattempo pare svanito.
Accendo la luce sul comodino.
Parte piano e, di lì a poco, mi permette di aprire un libro.
Fatico a mettere a fuoco le
pagine, ma continuo a dare la colpa alla lampadina “poco luminosa”.
Ho indossato l’altro giorno un
paio di occhiali e ho provato lo stesso sollievo che si ha quando, senza preoccupazione,
ci si lascia guidare dal navigatore verso una destinazione sconosciuta.
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