Del 1 Ottobre 1963 non ricordo
più niente. Mi è rimasta in mente solo l’aula dentro alla quale ho passato quel
primo anno di scuola. Ricordo la figura della maestra, il suo nome e il fatto
che l’anno dopo fu sostituita da non so chi. Ho passato i restanti quattro anni
con una maestra di cui non ricordo assolutamente niente.
Il nero era il colore
predominante. Nera era la lavagna, neri erano i grembiuli, scuri erano i muri, neri erano i banchi di legno e
le imposte grandi di quell’austero edificio sembrava non bastassero a illuminare la stanza.
Azzurro era il fiocco al collo
dei maschi mentre rosso era quello delle femmine. Nulla sembrava essere
lasciato al caso. Come catalogati erano i maschi e le femmine anche i poveri
erano divisi dai non poveri. Di ricchi non ce n’erano.
I poveri ricevevano libri e
quaderni gratis. I squaderni dei poveri avevano pure loro la copertina nera e
il bordo delle pagine era colorato di rosso. A me piacevano molto e avrei
desiderato essere povero per avere quei quaderni.
C’era il capoclasse. Di solito
era eletto il più bravo della classe che, quando la maestra doveva assentarsi
per qualche motivo, controllava la classe separando i buoni dai cattivi. Li
scriveva diligentemente sulla lavagna su due colonne ben distinte.
Come essere buono ? Tutti avevano
al loro tattica : alcuni se ne stavano accucciati, sul banco senza fiatare
mentre altri guardavano i compagni cercando chi fosse il più buono. Il rigoroso
silenzio e la gara alla santità durava pochi minuti. Quando l’assenza della
maestra superava i quindici minuti, i cattivi avevano sempre il sopravvento sui
buoni che comunque restavano buoni in quanto vittime dei cattivi.
Il primo della lista dei cattivi veniva, al ritorno
della maestra, espulso dalla classe per qualche minuto.
L’umiliazione era forte sia quando si era cacciati sia quando si rientrava.
Il resto dei ricordi sono legati
al grande cortile della scuola dove ho giocato a bandiera e memorabili partite
di calcio.
Verso la quarta elementare, una
supplente per tenerci tranquilli, usava la bacchetta picchiando sulle mani dei
più vivaci che disturbavano i compagni.
Infine non ho mai dimenticato gli
amori platonici, mai confessati, verso un paio di bimbe.
Ricordo ancora i loro nomi.
E’ proprio vero, gli amori non si
dimenticano mai.
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