Sono ritornato a frequentare i corridoi degli ospedali. Sono obbligato a
farlo perché ciclicamente devo fare delle visite e analisi di controllo. Il mio
stato di salute lo richiede.
L’ICD, che mi
accompagna, necessita di manutenzione a
intervalli regolari, come una qualsiasi macchina di questo mondo.
Mi ritrovo così a sostare nelle sale di aspetto degli ambulatori di
Cardiologia. A volte ci sto perché arrivo troppo presto, altre volte perché da
ritardatario mi rimettono in fondo alla lista.
Ho modo così di guardare i pazienti, in attesa, come me, del
loro turno di visita, come fossero dei “compagni
di vaggio”, in attesa di un volo aereo.
Quasi tutti sembrano più anziani di me. Ad occhio, stimo, che la gran parte di loro abbia già superato i sessant’anni, anzi molti sembrano addirittura più vecchi. Alcuni sono
accompagnati da figli e compagni/e, spesso perché non autosufficienti.
Raramente trovo persone che potrei definire miei coetanei.
Guardo e scruto questa gente, tutta affetta da questioni di cuore come me, con il
distacco di colui "a cui la cosa non lo
riguarda”, o con la sorpresa dell’”estraneo capitato li per caso”.
“ Non mi ridurrò mai come loro!”, dico tra me e me, osservando
i casi in apparenza più seri.
Poi penso agli anni a venire e alla fatica, che già faccio
oggi, per tenere riparato questo mio cuore, dalle intemperie della vita e, con
una botta di ottimismo, guardo con favore al poter ritornare per molto ancora
tra quegli “specchi”.
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