Era il capofamiglia, colui che gestisce i soldi, che maneggia le cose che costano.
L’ho capito sin da piccolo quando, ospite a cena a casa sua, nella cucina con il pavimento in pietra, lo vedevo ogni volta intento a condire l’insalata, usando un decilitro entro al quale versava sempre la medesima quantità di olio.
Il resto della famiglia stava intorno alla tavola, dove al centro, benedetta da una croce, non mancava mai la polenta.
Come in molte case contadine di quel tempo, il cibo, quello che proveniva dal pollaio, dalla stalla o dall’orto non mancava quasi mai e la cena era sempre aperta da una tazza di latte.
La cena iniziava sempre alla stessa ora , verso le sette e mezza, quando dalla radio, che faceva bella vista su una scansia alta in un angolo della cucina, usciva la voce del radio-giornale.
I soldi era pochi e qualche difficoltà nasceva quando si doveva spenderli. Lui era colui che aveva il cordone della borsa.
Faceva il contadino, possedeva una campagna non grande, che si estendeva su una decina di campi dietro alla casa. Coltivava inoltre, dei campi in affitto, a pochi chilometri da casa. Li chiamava “i prai”.
Non c’era ancora il trattore a quei tempi e, per andare a lavorare i campi si usava la Carrretta trainata dalle due mucche più forti.
Si raggiungeva destinazione lentamente. Lui conduceva al passo gli animali, noi bambini stavamo sulla carretta a goderci il viaggio. Anche spostarci di poche centinaia di metri mi trasmetteva il senso del viaggio.
Quando invece mi portava con se nei “Prai”, si partiva al mattino, con tanto di pranzo al sacco e si tornava prima del tramonto, con il passo lento delle mucche e noi ragazzi seduti in un angolo della carretta, spesso colma di fieno.
Quando d’inverno si parlava di freddo, non mancava di ricordarmi l’inverno del 1928. Quell’anno diceva, c’era stato un freddo eccezionale e tanta era stata la neve che faceva fatica ad andare dalla morosa correndo con la bicicletta lungo i viottoli scavati sulla neve.
Sposò la Noemi, che di nome faceva Ginevra, l’anno dopo e nel ‘30 ebbero il primo figlio, Bepi, che se n’è andato poco prima dell’ultimo ferragosto.
Ogni lunedì mattina non mancava mai al mercato di Mirano. Lo ricordo d’estate quando, all’andata, lo vedevo passare davanti a casa, con quella sua bicicletta nera da donna a cui era appesa una borsa di pelle ormai consumata.
Mi diceva salutandomi :
“Me fermo quando torno ‘indrio”.
Immancabilmente al ritorno verso le undici, si fermava da noi. Non ricordo cosa mia madre gli preparasse, stava là, raccontava e ascoltava come stesse a casa sua.
Da noi stava bene, soprattutto negli ultimi tempi, quando a casa si sentiva un pò messo da parte.
Prima di partire mi lasciava delle caramelle di zucchero, colorate, che comprava o riceveva in omaggio dal banco del formaggio.
Penso ci siano ancora, in qualche banco del mercato le stesse caramelle tuttora in vendita. Ricordo di averle notate notate pochi anni fa.
Quando gli misero il Pace Maker per aiutare il cuore che andava troppo piano, sembrò rinato e quella “macchinetta” come la chiamava lui, gli diede forza e ottimismo per affrontare gli ultimi anni della sua vita. Ritornò ad andare in bicicletta, veloce come ai bei tempi.
Andava in qualche modo orgoglioso di quella attenzione che gli era stata riservata.
L’ho visto, l'ultima volta, il 22 Agosto del 1983, era Lunedì, mi sarei sposato da li a due mesi. Lui stava tornando dal solito giro al mercato, ci incrociammo davanti a casa sua. Lui mi disse che aveva un dolore allo stomaco che non lo abbandonava da qualche giorno. Il dottore, a cui si era rivolto, aveva escluso problemi di cuore.
Il giorno dopo fu ricoverato, per problemi al cuore e, il mercoledì dopo se ne andò.
La sua morte mi toccò moltissimo e da lì si insinuarono in me certe paure sulla salute del mio cuore.
Forse una premonizione.
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