Quando ho occasione di incontrare anziani ciclisti o comunque ciclisti che in gioventù sono riusciti a fare una discreta carriera dilettantistica o addirittura tra i professionisti, è curioso ascoltare i loro racconti approdati di narrazione in narrazione alle soglie della leggenda.
Spesso si scivola a parlare di doping chiedendo a loro, che un giorno frequentavano l'ambiente, quanto ci sia di vero in tutto quello che si legge oggi e soprattutto si racconta del passato.
Da ciò che ne esce ne deduco che anche questo argomento per ciò che riguarda il passato sia pure lui vicino alla sfera della leggenda dentro la quale non è più possibile distinguere quanto ci sia di vero e quanto sia stato inventato.
Quando invece si passa ad ascoltare le loro gesta si sentono racconti e aneddoti relativi ai grandi campioni, particolari quasi segreti, momenti di crisi superati attaccandosi alle macchine o grazie a spinte non viste. E' simpatico ascoltare con soddisfazione soprattutto i vecchi ciclisti, in particolare quelle persone che anche a settant'anni non hanno ancora smesso di pedalare per decine di km al giorno.
Ci sono i racconti degli scalatori che non sono tranquilli se non scalano il Passo dello Stelvio una volta alla settimana e i racconti dei passisti , quelli ammalati di km, capaci di partire al mattino e ritornare alla sera senza mai scendere di sella.
L'aneddoto che accomuna i racconti di quest'ultimi, i passisti, è il loro approccio alle montagne, quando le percorrevano durante le gare che facevano da giovani.
Molti di loro, prevedendo l'inevitabile sforzo e il conseguente distacco che avrebbero accumulato dagli scalatori adottavano una tecnica particolare.
Qualche decina di chilometri prima della temuta asperità iniziavano una fuga, che veniva il più delle volte snobbata da tutti. Questo premetteva loro di accumulare un vantaggio, spesso considerevole, che avrebbero gestito lungo l'ascesa con l'obiettivo di limitare i danni.
Si creavano una sorta di serbatoio di tempo che li avrebbe aiutati a minimizzare il distacco finale. In pratica si prendevano avanti per essere ripresi lungo la salita evitando qualche volta di andare oltre il tempo massimo.
La mia vita scorre di settimana in settimana. Volendo fare un'analogia con i ciclisti ogni settimana mi appare spesso come una salita. Arrivare alla domenica sera “entro il tempo massimo” è certe volte difficile, soprattutto pensando che il giorno dopo si ricomincia daccapo una nuova salita.
Non sono uno scalatore e a dirla tutta di questi tempi non mi sento nemmeno un passista da lunghe distanze.
L'ultima settimana mi è sembrata oltremodo faticosa, corsa senza motivazioni e con qualche imprevisto di troppo.
La prossima non sta nascendo sotto i migliori auspici. Meglio pensare a una fuga in avanti, qualcosa che mi porti dei bei pensieri e che almeno nei primi giorni lasci indietro i problemi a inseguire.
Non ho idea cosa farò, da qui a domattina ho tempo per pensarci.
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