martedì 6 aprile 2010

La squadra del cuore

Le persone della mia età sono spesso cresciute in parrocchia.
Formavano gruppi numerosi alla guida di preti in gamba, spesso accomunati dalla passione per il gioco del calcio.
Il calcio è stato per noi l'educatore aggiunto, il gioco che ci ha permesso di creare gruppo, di non disperderci, di concentrarci in luoghi, sempre gli stessi, per interi pomeriggi a tirar calci al pallone.
I campetti, gli spiazzi erano quello che per i bimbi di oggi sono le palestre , le piscine. Giocare a calcio costava poco. Non servivano divise particolari o scarpini chiodati.
Spesso la partita di calcio si svolgeva nell'intervallo di scuola, dove si giocava con i vestiti e le scarpe buone che non sempre ne uscivano indenni.

Al pomeriggio, dopo le lezioni, ci si rinuiva di nuovo in spazi conusciuti dai ragazzi ma soprattutto dai genitori e là si ripartiva con sfide ogni giorno memorabili.
In questo modo ho, abbiamo imparato a giocare, cercando di emulare i campioni di allora : Mazzola, Rivera, Riva, Boninsegna, Domenghini e altri ancora.

I preti di allora con il calcio attiravano i ragazzi in parrocchia, che così potevano usare il campetto adiacente alla chiesa, magari poi diventavano chierichetti e così non si perdevano per strada.
Al mio paese fu assegnato dalla diocesi, agli inizi degli anni 60 un parroco , Don Egidio, che fondò la parrocchia, iniziò la costruzione della nuova chiesa e concluse i lavori dell'asilo che furono veramente il collante di quella frazione che stava crescendo, accogliendo i nuovi operai assieme ai contadini già presenti da sempre.
Quel prete era juventino e spesso usava, incitando i suoi parrocchiani, il motto "siamo forti come la juve". Si preoccupò principalmete di amalgamare i grandi e a creare la comunità. Si svolsero in quegli anni mitiche partite scapoli ammogliati o sfide con le frazioni vicine a cui lui partecipava giocando con la tonaca nera tipica dei preti di quegli anni. Per un pò subii la sua inflenza e la juve fu la mia squadra del cuore.
Durò poco o almeno fino a quando un cappellano Don Luigi arrivò in paese. Dedicava moltissimo tempo ai ragazzi essendo giovane e pieno di iniziative. Teneva al Milan e in breve tempo l'intero gruppo tenne al Milan, io compreso.

In casa mio padre teneva all'Inter ma non aveva mai influenzato la mia fede calcistica.
Ma successe qualcosa che òil corso delle cose.

L'Inter perse lo scudetto a Mantova a favore della Juve che lo superò all'ultima giornata. Per i tifosi di allora fu un momento molto simile al 5 maggio del 2002 anche se il minor impatto dei media di quegli anni attutì sia la delusione dei vinti che l'entusiasmo dei vincitori.

Quella sera mio padre vide il parroco Juventino festeggiare la vittoria in una casa poco distante. Con aria di sfida tirò fuori una maglia nerazzura, me la fece indossare e prendendomi per mano mi condusse là dove si stava festeggiando.
Volarono sfottò ma tutti si divertirono in allegria.
Quella fu la prima maglia che indossai, mi piacque subito, quei colori mi affascinarono e da quel momento diventai interista senza più cambiare idea.

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