lunedì 7 gennaio 2013

Quattro di Gennaio


“Non ci sono più i termometri di una volta !”, penso leggendo i due gradi indicati dal termometro della carrozzeria. Da qualche tempo, incrociando i valori che appaiono, al mattino, sul termometro dell’auto ho realizzato che ciò che appare nel grande display rosso e’ pessimista almeno di un paio di gradi, anzi quasi di sicuro i due gradi che leggo, valgono cinque nella realtà. Fa freddo comunque e un po’, con questo freddo, che freddo non è, ci bisticcio. Preferisco il caldo del salotto, il tepore della tranquillità e del silenzio di casa. Allontano il pensiero di ritornare sul divano e guardo oltre.  La provinciale alle sette di sera vive di un  traffico stanco, sfinito, dove nessuno sembra preso dalla smania di andare oltre il limite consentito. Anche le riprese delle macchine in uscita dalla rotonda dell’hotel sembrano fatte con riguardo, come se si temesse di svegliare qualcuno. Con un guizzo mi metto correre. Sento le gambe girare con l’efficienza di un campione. Non faccio fatica e le prime centinaia di metri volano con un ritmo di cui non ho ricordo.
“Bello “, penso mentre cerco di ascoltare il mio respiro che pian piano si sta abituando.
“Potrei continuare così”, mi dico, convinto di essere alle prese con uno speciale stato di grazia.
Quando mi allenavo per la maratona erano frequenti i giorni in cui correre era un piacere e potevo forzare il ritmo senza troppa fatica.
Questa sera sembra uno di quei giorni. Sono tentato di proseguire, senza farlo intendere al mio cuore, con il nascosto desiderio di riprovare le sensazioni di un tempo. Mantengo il ritmo, anzi cerco di incrementarlo, vista la facilità con cui girano le gambe.
Mi torna alla mente un film sul Pirata Barbanera, dove quest’ultimo, in maniera nascosta e subdola, approfittando della sua  condizione di fantasma , cercava di aiutare, con trucchi a volta eclatanti ma goffi, gli alunni di una scuola impegnati nelle gare di istituto.
“Mi sembra che il Pirata Barbanera mi stia sollevando”, penso mentre continuo a correre con leggerezza.
Ma anche i pirati hanno i loro limiti e ben presto, la macchina perfetta che muove le mie gambe, inizia a  mandare strane avvisaglie. Il passo si fa più difficile, il respiro affannoso anche se il cuore non manda ancora  segni di sofferenza.
Improvvisamente, senza preavviso, una stretta al cuore mi provoca un brivido gelido, più gelido dell’aria che sta congelando le mie mani. E’ come se una mano invisibile si fosse impadronita del mio cuore e lo avesse strizzato.
Rallento in un attimo e di li a poco la gelida sensazione si ripete. Vado al passo e dopo qualche metro  la sensazione di affanno inizia a rientrare. Passano dei secondi interminabili, poi anche il batticuore si quieta e l’apprensione sfuma. Mi sento più tranquillo,
“Un momento come altri …”, penso, mentre affretto il passo.
Come altre volte il mio cuore non se l’è sentita di andare oltre. Me lo ha fatto capire con chiarezza, inequivocabilmente come il cocchiere che tira, con forza, la briglia  ai cavalli di cui sta perdendo il controllo.
Ripreso fiato, non più in preda all'affanno  mi rimetto a correre. Ascolto il ritmo e mantengo a debita distanza il fiatone. Le gambe sono tornate leggere, anche se ora le muovo con la parsimonia di chi deve correre per un giorno intero. Per non strafare alterno il passo alla corsa, seguendo il susseguirsi delle canzoni che sto ascoltando. Se possibile sincronizzo il passo con il ritmo del brano. Corro per la lunghezza di una canzone mentre cammino per la durata di quella successiva. Mi piace quest’idea che trasforma l’IPOD in un allenatore capace di dettare tempi e ritmi. Come altre volte, a velocità controllata, corro con buone sensazioni, quasi mi fossi allenato con costanza in questi ultimi mesi.
La strada, ormai conosciuta, si allontana dal paese, diventa sterrata, le case si diradano e per un buon tratto scorre tra i campi. Qui il freddo è più pungente e il buio più denso, quasi impenetrabile. Se alzo gli occhi, il cielo, però, appare per contrasto più chiaro e le stelle sono nitide e numerose. Sopra la mia testa una è di certo la più luminosa.
“Dovrebbe essere Giove”, penso mentre con attenzione cerco di seguire la stradina buia.
Un ponte di legno è il giro di boa. Ritorno verso casa per la stessa via. Quattro chilometri andare e quattro tornare.  Osservo, come sempre, sotto,  l’acqua del canale scorrere. Poi inverto la marcia  e associo il ritorno a una dolce discesa.
“Il più è fatto !”,  mi dico, sapendo benissimo che la strada che manca non è poca. Ma il giochino, sembra funzionare ancora e psicologicamente l’allenamento appare meno duro.
Mentre torno si è fatta l’ora di cena e la provinciale appare un po’ più svuotata. Le macchine rade dei ritardatari, rompendo il silenzio, fanno un rumore più fastidioso del solito. Passano in fretta però e riconsegnano in breve tempo la quiete.
Quando riappare il cancello di casa, già vado al passo da un po’. Mi diverte passare con un balzo  la barra del parcheggio, anche se, mentre mi ci appoggio sopra, temo che qualcuno la attivi con il telecomando, tornando a casa, mettendomi in difficoltà.
Entrato in casa, seduto sul divano, riprendo il calore di casa. Immobile ascolto i pochi rumori  che arrivano da fuori.  Controllo il telefono. Devo pensare alla cena. La sera è ancora lunga.

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