Quando correvo e mi allenavo con impegno e metodo,
percorrevo più di 400 km al mese. Allenarsi con metodo significava seguire un
programma di allenamento finalizzato a un obiettivo.
Il mio obiettivo era di correre la maratona sotto le tre ore
e se possibile migliorarmi.
Quei metodi in quegli anni li chiamavo tabelle, per la modalità con cui erano rappresentati : cosa fare per ogni giorno della
settimana per un ciclo di 4 settimane.
Ogni settimana prevedeva un giorno di riposo in cui non
correvo o correvo poco ( massimo 7-8 km lentamente). Dopo un ciclo di carico di
tre settimane la tabella prevedeva una settimana di scarico in cui tutte le
attività dovevano essere svolte al 50 %.
Quest'ultima permetteva al fisico di recuperare energie e
soprattutto riposare. Di solito alla fine del periodo di scarico si poteva
inserire una gara, sfruttando lo stato di freschezza che il riposo aveva
recuperato.
La leggerezza e la
facilità di corsa ottenute dopo una settimana di scarico permettevano di
ottenere i migliori risultati. La sensazione che vivevo durante quelle gare era
molto vicina al volo radente: era un piacere correre.
In ogni caso non ero una macchina, ne per ciò che riguarda
il fisico e nemmeno per quel che riguarda la mente.
C’erano giorni che mettere le scarpe da Running era più un
dovere che un piacere. A spingermi a farlo erano le motivazioni e la voglia di
non perdere colpi. Sapevo poi che avrei dovuto fare i conti con una sorta di contraccolpo psicologico che
somigliava molto al senso di colpa.
Altre volte partito con la voglia di correre a ritmo
sostenuto, mi ritrovavo ad andare piano come se fossi in sella a un cavallo che non voleva saperne di fare un passo. In quei casi mi rendevo conto che il mio
corpo non aveva del tutto recuperato gli allenamenti dei giorni precedenti e
quindi, reclamava una pausa.
I segnali erano comunque chiari e siccome, per quanto
spingessi, non riuscivo a correre veloce, mi rassegnavo a un allenamento
tranquillo sia per il fisico che per la mente.
Questi contrattempi non intralciavano i miei programmi di allenamento
che non potevano essere sconvolti da un
giorno di riposo in più.
Era comunque curiosa la dissociazione tra mente e corpo.
Succedeva che, ciò che la mente aveva programmato non trovasse d’accordo il fisico, ma non era raro che si verificasse
l’esatto contrario.
Ascoltavo comunque le richieste sia del corpo che della
mente, come se fossi il terzo incomodo tra due litiganti. Mi dovevo adeguare e compresi ben presto che
motivazioni e volontà niente potevano.
Qualcosa di simile succedeva quando sbagliando il ritmo di gara, mi
trovavo di colpo senza più energie. In quel caso mente e corpo si alleavano e
non mi restava che continuare al passo o al minimo, al solo scopo di arrivare.
Niente avrebbe potuto incentivarmi a ripartire di buona lena.
Arrivavo stremato e
svuotato di ogni energia e stavo immobile
per interminabili minuti a recuperare un po’ di forza senza pensare a niente,
ascoltando il respiro diventare meno affannoso e il cuore che pian piano
rallentava.
Compresi ben presto che i tempi di recupero sono importanti e se non li
prevediamo è il nostro corpo a reclamarli.
Forzare la mano è possibile. La volontà e le motivazioni
possono permetterci di mandare il nostro fisico oltre il limite. Il nostro
corpo, cuore muscoli e mente qualche
trasgressione ce la permette.
Pensiamo a quanta pazienza ha il nostro fisico nei confronti
delle nostre sbornie, delle abbuffate, del fumo e altro ancora e come la mente
cerchi spesso di dissuaderci dalla collera e da azioni che mettono a
repentaglio la nostra incolumità.
Saremmo in buone mani se non fossimo tirati per la giacca da
sollecitazioni o richieste esterne che spesso consideriamo doveri dai quali non possiamo
prescindere.
Il resto lo svolge la nostra ambizione il nostro orgoglio
che ci rende sordi alle necessità di una
vita più a misura d’uomo.
La misura d’uomo esiste ?
L’uomo è un essere primordiale che arriva da molto lontano. E’ passato
attraverso un’evoluzione lunga qualche milione di anni ed è dotato di una capacità
di adattamento unica tra le specie presenti su questo pianeta. E’ inoltre l’unico
esemplare capace di andare oltre, modificando l’ambiente che lo
ospita secondo le proprie necessità, elaborando modalità con cui controllare la natura quando quest’ultima cerca di
imporre le proprie regole. A volte ci riesce altre volte prende delle sonore
lezioni di umiltà.
Mentre le altre specie sono costrette a sfidare le avversità
della natura in una lotta continua per la sopravvivenza, l’uomo mette in
discussione le proprie possibilità fisiche e psichiche obbedendo a regole da
lui stesso create. La cultura impone spesso comportamenti a cui gli uomini, loro
malgrado, devono sottostare.
Spesso, la durezza delle regole sociale, vanno ben oltre la crudeltà imposta dalla
lotta per la sopravvivenza.
La vita a “misura d’uomo” è un prodotto della cultura, che
l’uomo stesso modifica secondo le
proprie necessità e le proprie ambizioni e che niente ha a che vedere con l’ambiente
che lo ospita, permettendone la
sopravvivenza.
Ne consegue che per
ambizione, orgoglio, amore o semplicemente necessità, a volte, richiediamo al nostro corpo prestazioni al di sopra delle
possibilità ed è questo, anche, uno dei motivi di tante morti inspiegabili.
Questo ho pensato, vedendo morire in campo un calciatore,
che nonostante stesse “giocando a calcio”, svolgeva il suo lavoro, per cui era
pagato come altri lavoratori. Molte sono le persone che quotidianamente perdono
la vita svolgendo il proprio lavoro. Quando questo accade sotto la lente d’ingrandimento
dei media e della televisione in particolare, coinvolge emotivamente milioni di
persone come se fosse un evento unico. E’ una delle situazioni inspiegabili e
strabiche del nostro mondo che pensa che l’apparire sia più importante
dell’essere.
E’ auspicabile che il clamore e l’attenzione sollevate da uno
aiuti a considerare il silenzio di molti.
Nessun commento:
Posta un commento