Il “colmeo” nel dialetto delle parti mie, sta a significare
gruppo di case. Abitavamo nel “colmeo” più lontano dal paese, in bilico tra due
comuni. Da poco quel gruppo di case con tutti i suoi abitanti erano passati
sotto il controllo del municipio più lontano. Nonostante il cambiamento, eravamo
comunque rimasti fedeli al paese del
vecchio municipio, dove si continuava a frequentare il mercato del lunedì e i negozi della piazza per le spese più importanti. Dall’altra
parte si andava solo per le pratiche amministrative.
Il confine era tracciato, e lo è tuttora, in quella zona, da
un canaletto, chiamato Padovana. Già a quei tempi era per lo più , una fogna a cielo aperto piuttosto
che un vero corso d’acqua. Si ingrossava solo in occasione di grandi piogge e
temporali o quando veniva sbarrato da chiuse per innaffiare i campi.
La strada era stretta, i fossati che la delimitavano per
tutta la sua lunghezza erano sempre curati e puliti dai contadini. Avevano
acqua per molta parte dell’anno e durante l’inverno, quando erano
particolarmente ricchi d’acqua ghiacciavano tanto da permettere di scivolare
con la slitta.
Tra la strada e il fosso a intervalli regolari cresceva un
platano. Due file di platani accompagnavano la striscia di asfalto, senza pause,
fino al limitare del paese. Quando il sole estivo batteva inesorabile,
percorrendo la strada per andare in paese si aveva la sensazione di passare
sotto una galleria, all’ombra e al fresco.
Noi ragazzi andavamo in bici senza ansie ne paure, perché le macchine erano poche e l’ombra degli
alberi era l’aria condizionata di quei tempi.
Crea era la frazione e la parrocchia. Là stavano la chiesa, il
prete , le scuole elementari e l’asilo. Il nome deriva da creta che sta per
argilla, di cui è costituito in massima parte il terreno di quella zona. Ci si conosceva tutti. C’erano vari “colmei” che spesso coincidevano con gruppi
di famiglie tra loro imparentate, tutte con
lo stesso cognome .
La scuola era sorta all’interno di una vecchia villa veneta,
una delle tante appartenenti alla famiglia Pisani. Era alta e austera e governata
da una sola bidella minuta e gracile, che abitava in una piccola dependance;
una sorta di casupola costruita nel retro della villa.
Poco più in là la chiesa della villa era diventata la chiesa
parrocchiale. Era piccola e il campanile aveva le campane che si suonavano con
le corde. Il prete diceva messa volgendo
le spalle ai fedeli .
Appena iniziai ad andare a scuola mi arruolai nel corpo dei
chierichetti della parrocchia. La gavetta non fu delle più facili. Si faticava
sempre a trovare chi dovesse servire alla messa prima della Domenica che si
teneva, puntuale, alle sei del mattino per non intralciare il ritmo del lavoro
contadino, ma soprattutto quello delle donne che erano tra i fedeli , le più assidue e
puntuali .
Durante il primo anno di apprendista chierichetto, mi
sobbarcai molte levatacce mattutine per servire a messa prima. Durante l’inverno
mia madre mi accompagnava in bicicletta tra gelo e nebbia. Se arrivavo un po’ in
anticipo potevo sperare di tirare la corda per qualche rintocco di campana, l’ultimo
prima dell’inizio della messa.
Per i primi tempi , inoltre svolsi funzioni di assistente
chierichetto, quello “che faceva meno”. I miei compiti si limitavano a tenere l’asciugamano all’offertorio
e ad alzare la stola del prete durante la consacrazione.
Finito l’apprendistato, da primo chierichetto invece
affrontai le mansioni più importanti come versare l’acqua e il vino all’offertorio,
suonare le campanelle durante la consacrazione e tenere il piattino alla
comunione ma soprattutto, durante le funzioni più importanti portare il fuoco, cioè dondolare il crogiolo
con l’incenso fumante.
Col tempo approdai alla messa più frequentata della mattino,
anche grazie all’arrivo di apprendisti più giovani a cui assegnare i compiti più ingrati e le
messe più scomode.
C’era comunque un risvolto economico, che data la mia poca propensione
per gli affari, non mi ha mai allettato. In caso di funzioni particolari come
battesimi, funerali e matrimoni c’era la possibilità di ricevere delle mance. I volontari per queste occasioni erano molti
e, a volte, si rischiava di litigare. Io lasciavo fare e preferivo passare i
pomeriggi al campo da calcio per interminabili partite da cui tornavo sporco e
felice.
Già a quei tempi non consideravo i soldi importanti.
Oggi, come ripeto spesso, lo sono ancor meno.
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