Il piazzale all’interno della fabbrica sembra un piastra rovente, a camminarci sopra mi viene quasi da identificarmi con una bistecca. Le macchine sono fortunatamente all’ombra, anzi al fresco del parcheggio che arriva fino a -2, come intendiamo indicare il parcheggio sotterraneo. Alla sera sono fresche ed entrarci è un sollievo anche se fuori il sole picchia ancora.
Oggi, di ritorno da uno spuntino al bar, quasi a festeggiare la ricorrenza, mi sono trovato un po’ ansimante sul finire della lunga rampa di scale che permette di risalire dall’interrato. Solo un leggero affanno, dovuto più alla birra che alla salita. Percepivo nitidamente il battito cardiaco, accelerato ma non frenetico.
Mi ha fatto piacere percepirlo, in parte il festeggiato oggi è proprio lui.
La situazione mi ha riportato alla mente quei giorni di tre e più anni fa, quando, lungo il tragitto tra il parcheggio e l’ufficio, sostavo più volte a far calmare i dolori “allo stomaco” e “alla schiena”. Stavo fermo, apparentemente senza ragione, fingendo di riassettare il cappotto o lo zaino che conteneva il PC, anche a giustificare chi, facendo il mio stesso tragitto si fermava a chiedermi se stavo male o mi aspettava per fare assieme il restante percorso.
Poi andavo dal medico, il solito, a raccontare sintomi e quanto mi accadeva. Ne sono sempre uscito con diagnosi minimali e superficiali. Lui chissà perché non ha voluto fare il medico ma soprattutto perché io non ho mai fatto il malato fino in fondo ?
Perché preoccupato della mia salute, preferivo quelle diagnosi rassicuranti alla realtà anormale che vivevo ogni giorno ?
La paura di ammalarsi e di affrontare la realtà è spesso foriera di tragedie.
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