Sono abbastanza vecchio ma nonostante mi consideri un po’ creativo, mi
piace, nel mestiere che faccio “ sapere di
che morte devo morire”,.
Ho imparato questo modo di dire da mio padre, che spesso lo
usava nei discorsi più vari. Mi è sempre piaciuto perché, attraverso un paradosso
sulla morte, cerca di indirizzare le
decisioni dei vivi.
Nel lavoro non mi sono mai fermato a pensare a come sarebbe
stato il mondo il mese dopo. Mi sono sempre
interessato invece, di individuare le tendenze, fiutando il nuovo con lo stesso
spirito con cui un cane annusa l’aria per cercare i tartufi. Ho confidato molto nell'intuito, magari aspettando una sorta di illuminazione, piuttosto che affidarmi alla razionalità. Spesso ci ho preso, altre volte meno, ma il
gioco mi è sempre piaciuto.
Quando ero più giovane non riuscivo a inquadrare le persone
con cui avevo a che fare. Spesso le sopravvalutavo, altre volte cadevo nella trappola
della falsa adulazione.
Solo da poco mi sono fatto un po’ più attento e, qualche volta invece ora ci prendo.
Il lavoro non mi prende più come un tempo, anche l’informatica
che giro e rigiro da un paio di decenni, pur con i suoi continui cambiamenti, non riesce più ad elettrizzarmi come un tempo.
La tratto comunque con molto rispetto, mi ha permesso di
fare un lavoro che ancora mi piace e continuo a fare con l’impegno e la
passione dell’esperienza.
Tornando a il detto di mio padre, con il passare degli anni
lo ho accostato al concetto di strategia.
Sapere “di che morte si deve morire” è forse l’essenza delle
strategia a lungo termine.
Il mondo però sembra cambiato, il significato di strategia o
visione a medio e lungo termine, non è più una peculiarità apprezzata.
Nel lavoro , o meglio , dove lavoro, le strategie hanno spesso la durata di un
giorno, talvolta qualche ora.
Ciò che si decide il lunedì può essere radicalmente cambiato
il giorno successivo, tanto che l’approccio più sensato sembra essere quello di
non far niente. Basta una cena di lavoro,
un convegno seguito da un buffet o ritrovi più o meno occasionali con fornitori, perché
al mattino successivo arrivino compiti nuovi, non previsti in aperto contrasto
con quanto deciso il pomeriggio prima.
Si prosegue come degli ubriachi, una volta si barcolla da una parte e poi, quasi a bilanciare, si
barcolla paurosamente dalla parte opposta.
Quando infine si arriva ad operare delle scelte, ci si rende
conto che la scarsa lucidità, analoga a quella dell’ubriaco barcollante, porta a definire strategie
incongruenti e talvolta incompatibili con
l’esistente, senza porsi il problema di gestire un corretto percorso di
cambiamento.
Le imprese sono oggi in balia di capitani che per scarsa
etica ed eccesso di narcisismo, appaiono come dei bambinoni o al massimo come tanti Apprendisti Stregoni, incapaci di azzeccare il più semplice dei sortilegi.
Nessun commento:
Posta un commento