sabato 31 marzo 2012

Andata e .... ritorno


Torno da questo viaggio con un po’ di idee, una manciata di buoni propositi e con qualche ansia in meno. Non che in questi giorni sia riuscito nell’impresa di smarcare alcune delle cose che mi mettevano apprensione, ma la lontananza ne ha attutito gli effetti. Torno fiducioso di ritrovare il ritmo, senza lasciarmi coinvolgere in cose residue.
Sono bastati pochi giorni, ma soprattutto l’essere capitato in un ambiente completamente nuovo, per ridimensionare i pensieri che l’abitudine e l’angustia dei luoghi che quotidianamente frequento, avevano ingigantito oltre misura.
Dai problemi non bisogna certo scappare, ma provare ad osservarli con gli occhi distaccati di un estraneo  aiuta a ridefinire i contorni ,come quando da bambini si calcava con la matita per evidenziare i segni che sembravano sbiaditi e poco chiari.
Poche ore di volo mi hanno fatto scoprire ambienti fino ad ora sconosciuti e spesso snobbati perché o troppo vicini, (chissà perché talvolta bello va a braccetto con lontano), oppure perché poco di moda.
Non pensavo, inoltre, che il volo diventasse per me occasione di relax. Un tempo ascoltavo i sussulti dell’aereo come un medico ausculta un paziente con lo stetoscopio. Ogni vibrazione o sussulto mi metteva in subbuglio. Certe volte sembravo un condannato a morte in attesa dell’ esecuzione.  Oggi mentre volo, mi guardo intorno, ascolto i suoni della carlinga e se la vicinanza del finestrino me lo permette, guardo il mondo dall’alto, ammirando il mare di nuvole o la piccolezza degli uomini.  Constatare quanto siano piccole le opere dell’uomo al cospetto della grandezza della natura mi mette un po’ di tranquillità. Ci vorrà non poca fatica per l’umanità per sovrastare il mondo che la ospita.
Le scosse indotte dalle turbolenze non riescono più a intimorirmi. Le vivo come i sussulti di una giostra al luna park. In certi momenti le trovo persino piacevoli come quando si cammina lesti, in discesa lungo un sentiero sconnesso saltando di roccia in roccia.
Durante il viaggio, leggo con la stessa calma di quando, sotto la lampada del salotto, seduto sul divano, passo il tempo su libri e a studiare.  Durante i voli di questi  giorni sono riuscito a leggere “L’arte di correre” di Murakami Haruki, un libro dove ho ritrovato descritte le sensazioni e le riflessioni comuni a tutti coloro che hanno potuto sperimentare la corsa prolungata.
Ho sempre considerato la corsa un esercizio di volontà sotto il completo controllo della mente. Quando vengono meno le motivazioni e la passione, improvvisamente il fisico sembra ribellarsi e svuotarsi di ogni energia. Ciò che sembrava naturale poco tempo prima diventa improvvisamente improbo.  
La forza di volontà permette di raggiungere traguardi impensabili.
Purtroppo la voglia e la grinta di arrivare al traguardo o raggiungere un obiettivo può far perdere il senso della misura sulle reali nostre forze e possibilità.
Spesso  bisogna saper riconoscere i propri limiti, senza per questo sentirsi sminuiti.
Soprattutto chi pratica la corsa, rischia di frequente una sorta di dipendenza. Correre diventa una necessità che nulla ha a che fare con l'allenamento quotidiano. Si arriva a correre quasi per vizio, anche quando una sosta, programmata o imprevista, potrebbe far bene sia allo spirito che al fisico,
In queste situazione anche il dolore, piuttosto che essere percepito come un segnale di allarme, diventa un impiccio, un imprevisto in vista della gara.
I dolori sono, il più delle volte, sintomi di adattamenti meccanici che il nostro fisico assume a fronte dei nuovi carichi di lavoro. Il nostro corpo si comporta come le macchine di un tempo che durante il rodaggio levigavano al meglio gli ingranaggi.
In misura minore succede invece che il dolore, anche se sopportabile, sia invece l'avvisaglia di problemi spesso seri, che non possono essere trascurati.
In questi casi il podista tende a "correrci sopra" fino al momento in cui è costretto a chiedere a chi lo segue pazientemente :
"Basta, mi fermo qua, fammi salire in bicicletta....."

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