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Altre volte, quando la musica non era sufficientemente ritmata, non era difficile trovare altri stimoli per accelerare il ritmo come cercare di seguire una bicicletta o raggiungere un altro podista che appariva in lontananza. L'allenamento trascorreva meno noioso, il tempo si accorciava mentre la fatica si concentrava in un periodo più breve rendendo l'allenamento più efficace.
Poche volte, invece, mi è successo di allenarmi con altri. Il motivo principale era la difficoltà di trovare un compagno di allenamento dello stesso livello, spesso o si correva più lentamente del previsto oppure ci si accompagnava con chi era capace di ritmi più alti e diventava una fatica improba mantenere il ritmo senza palesare difficoltà alcuna.
In alcune occasioni la corsa in compagnia partiva in maniera rilassata, ad un ritmo lento ma non troppo, parlando del più e del meno (ma solitamente di corsa), come due amici seduti su una panchina al parco.
A dirla tutta, inizialmente, era un divertimento.
L'allenamento solitamente puntava ai venti e più km e l'obiettivo era mantenere un ritmo poco più basso del ritmo gara.
Impostato il ritmo di base si proseguiva appaiati guardando il cronometro passando davanti ai riferimenti tracciati lungo il percorso. Si facevano delle considerazioni sul ritmo e sulle condizioni di ognuno. " Nessun problema", era la risposta più comune.
Ciascuno era preoccupato di rimanere appaiato all'altro senza cedere di un millimetro, anzi possibilmente sopravanzarlo di un centimetro.
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L'effetto portava nel giro di un paio di km a un notevole incremento di velocità, nessuno più parlava ma soprattutto nessuno voleva cedere per primo. Raggiunta quindi la velocità limite, la cosa più importante diventava mantenerla per vedere chi avrebbe mollato per primo.
Il punto di rottura arrivava e uno dei due alzava bandiera bianca con una frase del tipo " meglio che recuperiamo", che dava l'impressione di pensare al bene comune ma che faceva gongolare l'altro che aveva resistito un secondo di più.
Sul lavoro invece capita di parlare con dei super esperti, in gergo si chiamano guru. Conoscono moltissime cose, spesso sanno tutto di tutto o sono super specializzati su una particolare materia o tecnologia. Alcuni di questi appartengono a una razza strana, adorano esternare le loro conoscenze, come il pavone apre la propria coda. Molti di loro però non sanno comunicare, apparendo, ahiii loro, incomprensibili.
Quando il divario di conoscenza è molto diverso, lo specialista va a nozze, utilizza le sue conoscenze per ammaliare l'interlocutore, che poverino all'inizio cerca di capire, poi nel prosieguo della discussione si preoccupa solamente di non far apparire la confusione che via via gli si sta creando in testa.
Parlare con queste persone non è facile come non era facile seguire di corsa chi era più allenato e veloce senza farlo capire.
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Dopo un pò di "quasi convenevoli", ecco il primo affondo, una sigla, un termine specifico, buttato là contestualizzato e arricchito con frasi ancora più specialistiche.
La risposta dell'altro non si fa attendere, snocciola non una ma più sigle, descrivendo scenari ancora più interni.
La tenzone continua tra un tripudio di sigle, termini inglesi usati a sproposito, concetti specifici ma completamente al di fuori del tema iniziale della discussione, spesso anche non del tutto corretti.
Un pavoneggiamento che ha il solo obiettivo di far cedere il guru meno guru.
Chi ha la sventura di partecipare a situazioni di questo tipo ne esce frastornato, maturando la convinzione che un guru basta e avanza.
Poi quando il più debole ha ceduto, il più delle volte per esaurimento sigle, dopo aver parlato di aspetti estremamente dettagliati e specifici, guru e non guru convengono su decisioni e soluzioni estremamente semplici e a volte semplicistiche che chiunque, a volte munito del solo buon senso può prendere lasciando i guru ciascuno nei propri laboratori tra alambicchi e fumi di ogni tipo.
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