Le cose pregiate hanno diritto a un posto di primo piano, in primo luogo per essere ammirate, poi per essere curate e per farci compiacere della scelta e del nostro gusto per la bellezza.
Gli oggetti che ci circondano sono lo specchio della nostra sensibilità e forse anche della nostra serenità.
Insomma se si riesce a vedere il bello e scegliere le cose che ci piacciono vuol dire che anche la nostra vita dopo tutto non ci dispiace.
L'aver scelto il vaso per adornare il tavolo della cucina mi era sembrato la conferma che anch'io avevo una concezione del bello e portavo dentro di me una sensibilità che non conoscevo.
Di questo passo avrei imparato a scegliere, senza fare strafalcioni, i vestiti che indossavo al mattino, sempre nel dubbio di abbinarli nel modo sbagliato.
La posizione non fu difficile da trovare, la mia casa ha pochi ripiani e di quei pochi, uno o due sono degni di ospitare in modo permanente un simile gioiello, presentandolo in bella vista a coloro che fossero entrati nella sala da pranzo.
Un paio di volte alla settimana, mi preoccupavo di spolverare il tutto, facendo bene attenzione nel maneggiarlo per non farlo cadere. Tutto filò liscio e il mio primo soprammobile mi parve per molto tempo il mio primo cent portafortuna, verso una carriera di collezionista d'arte.
La sera che tornai, un pò brillo, dopo una cena nel mio ristorante di pesce preferito, verso le due della notte, decisi che era quello il momento per levare l'odiosa polvere che rendeva opaca la superficie del mio soprammobile. Presi l'occorrente dal vicino sgabuzzino e con la tremante sicurezza dell'alcool, cominciai la pulizia senza la usuale attenzione e circospezione.
Le mano sudate e tremanti persero in un attimo la presa e anche se tese verso un disperato recupero non seppero evitare la caduta e il fragoroso rumore di cocci sparati verso ogni dove.
Il rumore sembrò anche risuonarmi dentro, fondo e sordo, frantumando ciò che fino a poco prima curavo con pignoleria. Era bastato la leggerezza di una serata tra ostriche e prosecco a dimenticare l'attenzione e la tempestività delle mie azioni.
Il fatto era avvenuto. I cocci erano là per terra, fermi immobile. Li guardai , in fondo non si era ridotto in briciole, pensai, i pochi pezzi potevano essere rimessi assieme, con pazienza e una buona colla. Con un po' di fortuna potevo ricomporre tutto quasi come fosse nuovo.
Fu così che in un paio di serate, quasi a ricomporre un puzzle , rimisi assieme tutto.
A fare i pignoli, ficcando il naso a pochi centimetri si notavano le incollature ma generalmente da una certa distanza tutto sembrava intatto, anche l'antica lucentezza sembrava ripristinata.
Fu così che in poco tempo abituai l'occhio a questa nuova bellezza e il tonfo si perse sempre più nel tempo.
Passarono le settimane e nulla successe che fosse degno di nota. Solita vita, il ripetersi delle situazioni infondeva anche una certa sicurezza che il peggio fosse passato.
A breve pensavo di arricchire la mia collezione magari ricercando un quadro, qualcosa che in un pò di tempo si sarebbe rivalutato. Pensieri a cui non seguirono azioni, il ripensare più volte alle cose è una mia caratteristica. Non presi mai una decisione e i propositi rimasero solo intenzioni.
Fu invece che, un sabato mattina, riassestando la casa, questa volta sobrio, persi per un attimo la cognizione della mia posizione e in maniera quasi impercettibile andai a toccare quel vaso appoggiato come sempre sul tavolo di fronte alla tv.
Anche questa volta ogni recupero fu vano. La caduta fu meno fragorosa, forse perchè già la prima volta aveva creato una forma di abitudine o forse perchè minore fu il danno che tutto ciò provocò.
La delusione fu grande, probabilmente più per la sbadattaggine e la poca attenzione nel fare le cose. Oramai il mio rapporto con quel prezioso era anche e solo il termometro della mia serenità, del mio saper governarmi la vita. Ogni danno provocato era un mattone della mia sicurezza che lanciavo lontano, tra sterpi e ortiche, irrecuperabile.
Anche questa volta tentai il recupero. Il lato che aveva sbattuto per terra era andato in tanti piccoli pezzi, alcuni recuperabili, altri erano briciole che nemmeno un orologiaio avrebbe ricomposto. Il resto sembrava non aver subito danni.
Raccolsi i cocci più grossi e pian piano li riassestai a riformare il bordo danneggiato.
Il lavoro nei limiti del possibile sembrò un successo. Ma il risultato non era quello voluto. Alcuni pezzi non recuperati creavano delle irregolarità visibili anche a uno sguardo distratto e lontano.
Il gioiello era distrutto, ma caparbiamente non lo buttai e continuai a mantenerlo sul tavolo, volgendo la parte ancora perfetta e nascondendo verso l'angolo quella irrecuperata.
Tenerlo fu quasi il non ammettere il fallimento, coltivando la speranza che il tempo avrebbe abituato l'occhio alla imperfezione, riconoscendo nelle parti intatte l'antico splendore.
Anche questa volta, il tempo passò, l'occhio parve non voler vedere ciò che non era più bello e prezioso. Il vaso diventò un soprammobile di ripiego, qualcosa parcheggiato in attesa di essere sostituito da qualcosa di nuovamente prezioso. A volte la poca cura, ne evidenziava ancor di più le ferite.
Insomma il destino sembrava segnato. Non destava più l'interesse di un tempo.
Non era più il simbolo di bellezza e non risvegliava più la sensibilità dei tempi migliori.
Fu così che la terza volta che fini per terra, sembrò accentuare la caduta, provocando tanti cocci da perdere ogni sembianza e identità di un tempo. Rimasero solo cocci.
Non pensai a nessun recupero. La caparbietà nel rivolerlo sul tavolo in bella mostra da tempo era perduta. Forse era il momento di buttarlo e l'ultimo incidente non aveva fatto che accelerare la decisione.
Il sogno di bellezza era svanito.
Tutto finì tra i calcinacci dietro casa.
I cocci rimangono cocci e il loro destino non può essere che diventare altri cocci, più piccoli che via via perdono l'identità e le forme originali.
L'entusiasmo e la serenità iniziali difficilmente sopravvivono ai cocci.
Inevitabilmente ne seguono il destino.
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