La sera volge al tardi. Il caldo non è più soffocante. L’afa che rende difficile il giorno a una certa ora se ne va. Avverto da un po’ una sensazione lieve di fresco che fa star bene. A tratti mi raggiunge un filo di brezza come se ci fosse dietro qualcuno ad agitare un ventaglio invisibile. La brezza passa, poi l’aria ritorna immobile, mentre mi metto in attesa di un nuovo refolo. Non ha la precisione di un treno in orario, ma a volte ritorna portando il sollievo sperato.
Non tutto arriva quando ce lo aspettiamo e così anche il refolo di fresco può insegnare una piccola regola di vita.
Il tavolo del giardino è diventato la mia scrivania. Al mattino lo trovo umido di rugiada, ma appena asciugato lo popolo di libri, computer, notes e tutto ciò che serve allo studio. Ci metto un attimo a prepararlo di buon mattino e un altro attimo a svuotarlo prima di andare a letto. Passo il giorno all’ombra della casa e della siepe, ascoltando indifferente i camion e le macchine sulla provinciale. Il rumore in certi momenti da fastidio anche se dura il tempo del passaggio. Ci sono poi lunghi momenti di silenzio che contrastano con il rumore appena passato ma portano la stessa sensazione di benessere del refolo di fresco.
Non c’è giorno che non passi un’ambulanza in piena emergenza e a sirena spiegata. Oramai è’ diventato un appuntamento fisso, come se dall’altro capo della strada si fossero messi d’accordo per star male, a turno, uno ogni giorno. Il suono della sirena che cresce, mentre si avvicina, mi inquieta ogni volta allo stesso modo. Penso al mio viaggio la dentro appeso al filo sottile della vita.
Situazioni passate ma non dimenticate. I ricordi tristi diventano con il tempo come quelle cicatrici che restano insensibili al tatto e durante l’estate non si abbronzano. Ci sono ma appaiono come un corpo estraneo da cui non sappiamo separarci.
In certi momenti le foglie secche sotto la siepe si animano d’improvviso. Il crepitio, quasi scoppiettante, rompe la monotonia dei rumori abituali. Sono di solito due lucertole che si rincorrono, chissà se in preda al desiderio di accoppiarsi o per un semplice gioco. Il crepitio non dura che pochi secondi. Spesso si interrompe per poi riprendere di li a poco. Poi ritorna il silenzio o il rombo di una macchina diretta chissà dove.
A pomeriggio avanzato arrivano le zanzare. Si palesano verso le 18, mai sole, puntano ad obiettivi diversi. Una punge un braccio mentre un’altra si poggia sulla caviglia. Non sempre si hanno mani a sufficienza per scacciarle tutte in tempo. I rimedi sono sempre gli stessi: lo zampirone che manco a farlo apposta dirige il fumo verso il mio viso e le candele di citronella che ancora non mi hanno convinto della loro efficacia.
Qualche volta, disperato, mi spruzzo l’Autan, anche se la cosa non mi piace per niente.
Poi verso le dieci le zanzare spariscono. Mi dico ogni volta : “Hanno finito di cenare” e così posso continuare a starmene al fresco della notte che cala. Accendo la luce per individuare i tasti del computer. Non ho mai imparato a scrivere come una dattilografa. Uso due dita che spesso fatico a coordinare facendo arrossire il correttore di Word. Non me ne preoccupo, consapevole di quanto sia più importante tradurre il pensiero piuttosto che proseguire rifinendo. Il tempo per gli aggiustamenti viene dopo l’ispirazione.
Più tardi , verso le undici, anche la strada si ammutolisce e i passaggi diventano meno frequenti. Noto così il ronzio delle pompe di calore dei condizionatori accesi, appesi qua e la sui muri che guardano a tramontana. Si accendono ad intermittenza secondo necessità. Non li percepisco, di solito, durante il giorno quando gli appartamenti sono quasi tutti disabitati e torridi.
Alla fine resta ancora il rumore del telefono. Squilla ogni tanto colorando il display, nero fino ad un istante prima. Non da fastidio. Il “rumore” al di la del filo invisibile è sempre una voce amica, un refolo di brezza inaspettato che da sollievo al cuore.
Vorrei vederti contento.
RispondiEliminaSo che la voce amica non é abbastanza per arrivare a questo .