Aspetto la neve. Il servizio meteorologico sta diventando di
una precisione impressionante. Quando preannuncia la neve, questa arriva con la
puntualità di una littorina. Sono finiti i tempi quando le previsioni del tempo
erano sinonimo di incertezza e inaffidabilità. Oggi tutto sembra prevedibile.
Per decidere se portare con se l’ombrello basta consultare l’app sul cellulare.
La casa ha il solito tepore. Sul divano sto bene e il
silenzio è appena rotto dai rumori ovattati provenienti dalla provinciale. La televisione è un quadro silenzioso e nero. Esco a verificare se i primi fiocchi stiano
cadendo. Mi porto, come al solito, al
centro del piazzale da cui posso vedere il termometro della carrozzeria. Segna un grado appena.
“Tutto sembra a posto” , penso mentre ritorno in casa
chiudendo in fretta la porta, “la neve non può essere lontana”
Ripreso il calore della stanza, mi ripropongo di dare un'occhiata di li a poco, ma nel frattempo mi ritornano in mente certe cose che mi raccontava mio nonno.
Lui aveva vissuto il febbraio del “29,
l’anno del grande freddo.
Me ne aveva parlato, quando ero bambino e d’inverno
passava a trovarci. Da noi si fermava tutti i lunedì, mentre passava in bicicletta di fronte a casa, con la sporta
nera di cuoio liso, appesa la manubrio. Andava al mercato e non ne mancava uno.
Era nato nel 1905, in agosto e nell'anno del grande freddo aveva meno di 24
anni. Faceva il contadino e non so come
avesse conosciuto mia nonna Ginevra, da tutti chiamata Noemi, che abitava in
un paese a 15 km di distanza.
Mi raccontava, mio
nonno Attilio , che, nelle sere di quel freddo Febbraio andava dalla “morosa” in bicicletta correndo lungo “trosi “
(sentieri) scavati nella neve. Di neve ne era caduta molta. Il freddo quell'anno era eccezionale e quel
suo ricordare ricorrente dimostrava quanto lo avesse sofferto.
Il freddo lo deve aver convinto a sposarsi in fretta e
portarsi la Noemi a casa. In effetti si sposarono nella primavera successiva e
il primo figlio arrivò nell'aprile dell’anno successivo.
Quelle storie non le ho più dimenticate e da quel tempo sogno di rivivere anch'io una nevicata simile a quella del “29. Ogni qualvolta i primi ficchi cominciano a toccare terra, ripenso alle
stradine scavate nella neve e a quelle sere illuminate dal riverbero bianco di quel Febbraio lontano.
Un sogno di bambino che non ha mai voluto piegarsi alla maturità
ne sentirsi sminuito dall'esperienza dei tanti inverni passati.
Intanto mi affaccio alla porta, la neve comincia a cadere e mi
accorgo che a fatica riesce ad imbiancare il paesaggio.
Il sogno, anche stavolta, rimarrà tale.
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