La porta della cucina sembrava un tutt'uno con la porta del
corridoio. Stavano vicine in un angolo
della sala da pranzo. Quest’ultima pareva un lusso che non ci potevamo
permettere, era poco usata e perciò inutile. La vita si svolgeva d’inverno
tutta tra il cucinino e il salotto che, nei primi anni della mia infanzia, erano separati da una grande porta a vetri. Poi la porta a vetri fu rimossa. All'ora di cena, la tavola che di solito stava appoggiata a un angolo della
cucina, veniva spostata al centro. In questo modo si poteva vedere la televisione, posta in fondo al salotto, proprio nel mezzo tra due finestre. Io ero l'unico che mangiava volgendo le spalle alla
tv, così passavo parte del tempo a voltarmi. Cenavo in fretta per potermi poi sdraiare comodamente sul divano. Chissà se, per colpa di quelle cene, oggi mi
trovo a divorare le pietanze in pochi minuti.
Al centro del cucinino, proprio di lato alla porta, c’era la cucina economica, quella stufa, comune in tutte le famiglie di quegli anni, con l'apertura fatta di
cerchi concentrici, con al centro il forellino attraverso il quale si vedeva il
fuoco . La canna fumaria smaltata di bianco, saliva
sulla destra scomparendo nel muro, con un'ansa appena sopra la cappa. Su un lato della stufa stava la caldaia dell'acqua calda sempre pronta all'uso e rabboccata in continuazione. Ne usciva un vapore continuo. La cappa era lunga quanto il cucinino ed era normalmente ornata da un merletto fatto all'uncinetto.
Durante l’inverno accendere la stufa era la prima cosa che si faceva la mattina. Il tepore che ne usciva rendeva il giorno più piacevole.
Durante l’inverno accendere la stufa era la prima cosa che si faceva la mattina. Il tepore che ne usciva rendeva il giorno più piacevole.
La sala da pranzo, oltre la porta della cucina, d’inverno
era una stanza fredda, quasi un ripostiglio. La si degnava appena di uno sguardo
prima di entrare nello stretto corridoio che portava al magazzino. Mai mi è venuta
la voglia di trascorrerci del tempo, nemmeno nella buona stagione. Certi luoghi
nascono male e non accendono nessuna ispirazione ne emozione.
Il corridoio, largo appena un metro correva dietro l'entrata di casa per non più di tre metri. Una luce fioca, che stava sulla
sommità della porta lo illuminava, ma si poteva attraversalo senza intralciare, anche al buio. In
prossimità del magazzino c’era l’anfratto del sottoscala, vero ricovero di cose
inutili e dimenticate. Il magazzino, con
l’arrivo della macchina, cominciò a chiamarsi garage. Era chiuso da un grande portone scorrevole in lamiera. Si faceva fatica ad aprirlo e per questo, mio padre usava spesso lubrificarne
le rotaie. Ai lati del magazzino, in alto, c’erano
due grandi scansie dove stavano appoggiati gli attrezzi di mio padre : cazzuole,
martelli oltre che barattoli aperti di vernice, il più delle volte destinati a seccarsi. I miei erano soliti appoggiarci sopra anche tutte le cose pericolose, quelle che
dovevano rimanere inaccessibili ai bambini. Noi lo sapevamo e la curiosità non
ci ha mai spinto a pericolose scalate.
Il pavimento era in
cemento lucidato di un colore rosso porpora. Quel magazzino, tramutatosi con il progresso e un po' di benessere, in garage veniva illuminato da una sola finestra senza
balcone, protetta da una robusta
inferriata. Era quella l’unica finestra della casa che volgeva a tramontana. Guardava verso i campi e per questo pensavamo fosse molto discreta e appetibile per i ladri. Il garage proseguiva, restringendosi, verso
una zona rialzata, dove stava la caldaia del
riscaldamento. Era una Buderus a gasolio, capace di 30000 calorie, che
prendeva il gasolio dalla cisterna che stava appena davanti alla porta del
garage. Sembrava fosse protetta da
un groviglio di tubi che collegavano le pompe e l’ebollitore dell’acqua calda.
La caldaia, di un colore azzurrognolo, aveva agganciato davanti il bruciatore verde, con una luce
rossa che si accendeva quando avveniva “un blocco”, in caso di mancata accensione.
Il rumore del bruciatore ricordava quello di un vero acciarino. Durava circa
30 secondi. L’accensione aveva il suono di una enorme vampata, dopo di che un rumore
sordo e continuo ne testimoniava il corretto funzionamento.
La caldaia riscaldava pure il garage, così serviva per asciugare i panni quando non c’era il sole. Dopo pochi anni, sul lato libero di quel locale, comparve una zona lavanderia e un piatto doccia utile a salvaguardare il bagno
buono.
Quando, nel 1989, ci fu da decidere, da sposato, che caldaia
mettere nella nuova casa, c’erano già soluzioni a muro ad accensione
istantanea. Ciò nonostante, anche per evitare di prenderne una non adatta,
preferii una caldaia a basamento, di certo più moderna di quella della mia
infanzia. Era comunque massiccia e, tra
le varie caratteristiche che ricordo, emetteva un "rumore sordo che ne testimoniava il corretto funzionamento".
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