La porta si aprì come molte altre volte. Spingerla mi dava sempre una sensazione di solidità. Mi sono chiesto molte volte quale fosse il legno
con cui era costruita. Il colore era strano, un marrone chiaro che non mi ricordava
nessun legno conosciuto e la superficie eccessivamente liscia tanto da farmi dubitare del
fatto che si trattasse di vero legno o, non fosse piuttosto, quella forma di laminato plastico che spesso trovo
esposto in qualche fiera dell’artigianato locale.
Insomma ero ritornato a casa e varcare la soglia di casa mi
restituiva il sapore e un calore di cui avevo bisogno. Era come se, dopo un
lunga corsa, il corpo ritornasse ai ritmi usuali.
“Proprio dei miei soliti ritmi ho bisogno”, pensai, mente appoggiavo
la borsa sul divano.
Sul divano, quello destinato a diventare all'occorrenza un
letto, ritrovai quel luogo familiare su cui
ero solito smaltire le mie delusioni, la mia rabbia e soprattutto il mio
dolore. Questa era per me, la sua
funzione primaria anche se spesso, era un piacere distendersi a guardare la luna
passare oltre i vetri dei due abbaini che stanno sul tetto della stanza.
Seduto, osservai per qualche minuto il tappeto rosso e nero
che stava al centro del salotto. Poi, alzando gli occhi verso la vetrata intravvidi l’ultima
luce di quel pomeriggio invernale che, affievolendosi, preparava la sera con la
solita cura.
“I giorni si succedono veloci”, pensai filosofeggiando, un po’
catturato dalla malinconia. Stamane pensavo a quanto sarebbe stata lunga la
giornata, conoscendo gli impegni che mi aspettavano, mentre, a sera fatta, stavo
riflettendo su quanto velocemente si fossero succedute le ore del giorno.
“Ero finalmente tornato !”, pensai sorridendo mentre con lo
sguardo riprendevo possesso di quei luoghi familiari : la cucina, la scrivania sull'angolo in fondo a destra e il centro tavola con le piante grasse. Tutto
era rimasto come lo avevo lasciato. Alcuni particolari testimoniavano il passaggio
della signora che mi aiuta nelle pulizie di casa. Tutto era pulito, le cose
importanti erano al loro posto. La signora ha capito cosa deve riordinare e ciò
che deve lasciare stare per non scombussolare il mio ordine.
Avevo vissuto i giorni fuori casa con un sorta di “timore
del non ritorno”. Proprio così, chissà per quale motivo, avevo portato con me quella
paura, come fosse una premonizione: temevo di non tornare, che assomigliava a una sensazione
di morte. Pur consapevole di questo malessere, il viaggio era stato piacevole,
costellato di incontri nuovi, spesso forzati dalle situazioni, ma decisamente
interessanti. Scegliere è l’ideale, essere scelti può essere altrettanto piacevole
e appagare la voglia, nemmeno tanto nascosta di lasciarsi andare,
abbandonandosi al tempo e alle situazioni. Quel timore non mi aveva mai
lasciato e avevo passato parte del viaggio a guardarmi intorno, vigile, quasi a voler
anticipare un imprevisto incombente. Nulla di assoluto e fatale era invece
successo e, mentre stavo seduto sul divano, riflettevo sulla mia ingenuità,
capace di dare retta, lasciandomi condizionare, a sensazioni rivelatesi, col
senno di poi, frivole e fasulle.
Le scarpe mi stavano strette e accingendomi a slacciarle, le
trovai già slacciate.
“Siamo alle solite “, pensai. Ebbene si, alla mia età non ho
ancora imparato a fare i lacci alle scarpe,meglio a farli solidi ma, pur
cosciente dell’errore, non mi sono mai preoccupato di correggerlo. Ci sono
atteggiamenti e comportamenti che sono talmente radicati in noi che, seppur
sbagliati, non riusciamo a correggere. Fare le asole “deboli” alle scarpe è uno
dei miei comportamenti sbagliati, che nonostante reiterati tentativi, non sono
riuscito ancora a correggere. Sarebbe bello che fosse il solo rimasto, ma ahimè!, non
è così.
Nel frattempo i termosifoni si stavano scaldando. La casa,
che avevo trovato fredda appena entrato, si sarebbe scaldata di li a qualche
minuto, stemperando anche quella sensazione di umido mutuata dall'esterno.
“Tra poco tutto tornerà come prima del viaggio”, pensai alzandomi
dal divano per riporre le scarpe.
Era un pensiero ottimista, appeso a un filo di speranza.
Sapevo che il viaggio era stato, pur nella sua piacevolezza, un passaggio
importante e quindi era inutile ripensare al passato. Bisognava andare avanti.
Anche a voler fare le stesse cose di un tempo, diverso sarebbe stato lo spirito
e di conseguenza i risultati.
“Le motivazioni sono cambiate!”, quasi sentenziai. Ecco la
parola magica “ motivazione”, la molla che carica la nostra vita e ci aiuta a
raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo, mentre cerchiamo di realizzare i
nostri sogni ma che ci permette anche di accettare i verdetti avversi.
Fu così che, girovagando per casa, mi ritrovai senza
motivazioni.
“Non sono solo cambiate, sono semplicemente sparite!”, mi
ripetei sgomento. Sapevo cosa avevo perso ma non sapevo ancora cosa mi
riservava la nuova strada.
“Sono semplicemente stanco”, pensai, come spesso faccio
quando non riesco a venire a capo di qualcosa. Quella dell’essere stanco è una
bugia che mi racconto quando non voglio credere di essere confuso o a corto di idee.
Mi compatisco un po’, sperando che un raggio di luce mi stia attendendo dietro al prossimo angolo.
Non mi curai per molto di quest’ultimo cruccio. Potevo riposare,
riordinare le idee, prendendomi il tempo necessario. Qualche scintilla di li a
qualche giorno sarebbe di certo scoccata.
Mi avvicinai alla scrivania, alzai il coperchio del PC. Quel
tavolo, che spesso faccio illuminare puntualmente da una lampada, mentre tutto
attorno c’è il buio è il luogo dove meglio mi riesce di riordinare le idee.
Annoto, leggo e qualche volta disegno. Uso pennarelli, penne
e molte matite, quelle con la punta tenera che lasciano sulla carta un segno
scuro e largo quel tanto da apparire grezzo. Uso le matite anche come segnalino nei libri, molti, che sto leggendo.
Quando il computer fu completamente avviato, mi balenò alla
mente un pensiero. Mi era tornata la voglia di scrivere. In poche secondi la
pagina vuota di Word mi si apri davanti. Non sapevo cosa avrei scritto cosi
cominciai dal primo pensiero che si impossessò della mia mente.
Cominciai a scrivere :
“La porta si aprì come molte …
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