Ho appeso le scarpe da calcio, già nel secolo scorso, dopo
aver rischiato di prenderle da un terzino, una specie di montagna che mi seguiva dandomi dei pugni di nascosto che, con una furberia avevo fatto espellere dall'arbitro durante una partita di un torneo aziendale. Giocare a calcio è stata una delle mie
passioni più grandi. Segnare un goal procura istanti di felicità assoluta. Ad un
certo punto, però, ho capito che il
meglio era passato e non valeva più la pena rischiare qualche infortunio in
tackle a cui non ero più abituato.
Qualche anno dopo tentai la strada del calcio a cinque. Il campo era più piccolo, pensai , così potevo meglio mettere a frutto le mie doti tecniche, visto che qualche
acciacco, dovuto all’usura derivante dalla corsa prolungata, aveva pregiudicato
la prestanza e la resistenza fisica.
L’impatto fu deflagrante. Giorni e giorni di dolori
inspiegabili mi convinsero a lasciare perdere. Non mi pesò abbandonare
definitivamente il calcio.
Mi rimangono i palleggi
che, giocando con mio figlio, faccio ancora con
una discreta abilità, un tantino arrugginita ma non fino al punto da farmi sembrare
imbranato e goffo. La stoffa c’è ancora, si è sgualcita un po’, ma traspare
ancora la qualità di un tempo, come un vestito di ottima fattura ma non più
alla moda. Ogni cosa ha il suo tempo.
Da ragazzo divoravo libri. Integravo quelli che mi venivano
regalati con quanto potevo trovare in biblioteca. Per certi periodi andavo in
sequenza, ad esaurimento di scaffale. Mi
piaceva la fantascienza e le storie di viaggi impossibili. Moby Dick, i libri
di Verne e tanti altri mi hanno fatto compagnia durante l’infanzia e
l’adolescenza. Durante le scuole superiori, arrivarono gli incontri con Manzoni, Kafka, Buzzati,
Pavese, Pirandello, molti scrittori del
neorealismo italiano e altri ancora, stimolati dall’affezione verso una
professoressa di italiano che mi indusse
a portare italiano all’esame di diploma in informatica.
Ai libri mi affezionavo e i più belli li tornavo a leggere, sapendo di
scoprire sempre angoli passati inosservati.
Poi venne il militare e di li a poco l’addio all’Università.
Fu così che abbandonai la lettura. Iniziai a lavorare e sposatomi, molti pensieri ma anche molte soddisfazioni riempirono
il mio tempo. Quegli anni sono stati caratterizzati da un’energia senza uguali,
mosso dall’amore verso la mia famiglia e dalla voglia di arrivare a realizzarmi
per stare sempre meglio.
“Ogni cosa ha il suo
tempo”, mi dicevo , “tornerò sui libri ne sono certo, ma ora no ho tempo.”
Ma l’arrivare si tramutò in arrivare a tutti i costi, senza
curarsi del tempo e delle energie rimaste. Tenere il ritmo elevatissimo risultò
sempre più difficile. In maratona si sa, che se si parte a ritmo troppo elevato
si rischia di andare fuori giri e scoppiare senza arrivare al traguardo. Anche
il mio ritmo di vita risultò in quegli anni insostenibile e, come un incauto maratoneta, scoppiai.
Ne uscii con le ossa rotte e, rabberciata una vita andata in
frantumi mi ripromisi : “Ogni cosa ha il suo tempo” , ma quel “ha”, significava
ben altro. Le cose importanti, intendendo
tutto ciò che amavo, avevano bisogno del
mio tempo. Tutto andava rimesso in ordine.
Ora sono tornato sui libri, sono tornato a studiare, leggo, studio passo il tempo tra le parole,
lette e scritte. E’ terapeutico prendere
un pensiero e riportarlo sulla carta ordinando le parole con la stessa cura con cui un
pittore cerca le sfumature di un colore.
I significati stanno alle parole come le tonalità stanno ai colori. “Ogni
cosa ha il suo tempo”, ma la vita fa scherzi strani giocando con il tempo,
spesso mescola tempi e cose con l’estro di un’artista. Può succedere di
ritornare a studiare quando pensi di essere arrugginito, avere un figlio quando ti senti inutile oppure
salire le vette più alte quando pensi di avere un cuore malato.
Ho corso sette maratone e, quando nell’ottobre del 1997
tagliai il traguardo con il mio tempo peggiore, mi venne naturale pensare che
mi sarei di sicuro rifatto l’anno dopo. Però
si trattava di una bugia, in fondo pensavo che, quella era stata veramente la
mia ultima maratona. Troppa era stata la fatica e poche le motivazioni rimaste.
Per più di dieci anni non ripresi più seriamente e, solo dopo aver ritrovato l’armonia
con il mio cuore, tornai a macinare chilometri. Rimisi però le scarpe da running
con lo spirito di chi va in montagna, ma tiene il passo di chi è meno allenato di lui.
Ogni cosa ha il tempo. C’e stato il tempo delle maratone corse in meno di tre
ore e quello delle corse fatte per il gusto di esserci ancora ed arrivare
sorridendo.
Ora aspetto il tempo e le cose che l’estro della vita vorrà
riservarmi ancora. Le motivazioni non mancano come pure i sogni.
Ogni cosa avrà il suo tempo .